Una stella nell'Abisso

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Cos'è l'Amore? Lo scrivo con la maiuscola perché voglio dire quello vero, quello assoluto che da senso e completezza alla vita. Non lo so descrivere, ma so che ho avuto la fortuna di incontrarlo quel giorno. In quel momento non mi sarei definito davvero "innamorato" nel vero senso della parola; folgorato, impressionato .... sì credo di aver reso l'idea. Ma non fui di certo il solo quel giorno.
Quando i pretoriani si schierarono sul attenti tutti videro che il dignitario non era affatto come ci si aspettava. Il corteo scortato dai pretoriani era composto da quattro energumeni dotati di una divisa argentea con un'armatura in diamantifero a scaglie di pesce, flessibile e resistente quanto un lorica da legionario, e indossavano un elmo circolare che terminava in un pennacchio metallico da cui spuntava un grosso aculeo, avevano delle alabarde in diamantifero simili a quelle della vulnia ma molto elaborate e su di esse erano montati dei mitragliatori al lec. I loro volti erano molto gravi e osservavano i pretoriani con diffidenza, i simboli che portavano dicevano che appartenevano ai Diecimila, il reggimento delle guardie del corpo del Vasilus, vederli era considerato un privilegio. C'erano almeno dodici donne di varie età, vestivano degli abiti pesanti riccamente ornati con perle e catenine in oro bianco che facevano un gran tintinnio ad ogni movimento, avevano dei disegni sui volti: alcune avevano gli occhi e gli zigomi coperti di un rosso scuro, altre le guance su cui erano riprodotti dei fumi argentati, due avevano delle stelle argentate riprodotte sulle guance e le mani coperte da tatuaggi che percorrevano le dita e i polsi. Erano ancelle personali dei Lyriani, la famiglia sovrana del Gran Reame. I tatuaggi erano simboli delle loro mansioni e ogni mansione era prerogativa di una particolare tribù tra quelle che popolavano i sistemi intorno ad Orissia: da una i Lyriani prendevano i cuochi, da una i medici, da una le guardie del corpo, i sarti e così via. In mezzo a loro si trovava una ragazza della mia stessa età: aveva i tratti tipici dei Lyriani, pelle bianca ma abbronzata, occhi di un azzurro intenso, capelli di un colore oro brillante. Indossava un lungo abito bianco con rifiniture in oro, portava una spilla che raffigurava la Triplice Fiamma, simbolo del Gran Reame, e un ferma capelli in corallo rosso, scolpito alla stessa maniera, come per sembrare una fiamma. I capelli erano raccolti in una lunga coda, chiaro simbolo di nubilato, nessun tatuaggio sul suo volto, se, come sembrava, apparteneva alla famiglia reale non aveva ruoli da mostrare, era al di sopra di tutti gli incarichi. Aveva uno sguardo fiero, forse era la prima volta che era così lontana da casa sua ma mostrava una volontà di ferro. Il resto della delegazione si muoveva seguendo il suo passo, ma mentre le ancelle, specialmente quelle con le stelle tatuate, le stavano molto vicino, i quattro soldati si curavano di rimanerle ad almeno cinque passi di distanza, per non essere invadenti nell'intimità della nobile. Su Orissia è un comportamento molto educato.
Quando fu entrata nella sala guardò dritta avanti a sé: stava studiando i presenti. Percepivo molta tensione tra le ancelle e i quattro, molte di loro erano spaventate dai pretoriani, e in effetti non credo che sia stato piacevole vedere quei giganti di metallo blu scuro correre verso di loro per poi ritrovarsi letteralmente circondati. Meno male che era stato tutto organizzato.
Quando la fanciulla fu abbastanza vicina mi resi conto che qualcosa in lei era diverso: non la sentivo, anche concentrandomi non riuscivo a sentire niente da lei, né emozioni né pensieri, e fui certo che anche lei mi guardò con uno sguardo sorpreso come il mio almeno per qualche istante. Ci dovemmo riprendere subito, non sapevo come spiegare qualcosa di simile, ma la cerimonia doveva procedere, io mi feci avanti, scesi le scale del palco in cui ci trovavamo e mi diressi verso il corteo mentre tutt'intorno partiva un applauso per dare il benvenuto. Come prevedevano le antiche tradizioni dei Valeriani, rimaste comuni tra Rovia e Orissia, io mi misi in "avanguardia" avevo una toga di un blu metallico, una camicia rossa, una fascia rossa anch'essa, simbolo della mia autorità di magistrato e una corona civile argentata, simbolo del fatto che ero parente e rappresentante del capo dello Stato, indossavo gambali e seste dee con la Stella dai Nove Raggi, insomma facevo la mia figura.
Una delle due ancelle con le stelle tatuate si fece avanti dal fianco della principessa, camminava di lato come un granchio pur mantenendo un'eleganza nel portamento davvero eccezionali, si muoveva così per non commettere il sacrilegio di dare le spalle ad una persona di sangue reale, ma anche per non dover dare le spalle agli interlocutori. Leggevo ansietà in lei, ma anche un forte autocontrollo, era una fanciulla giovane e bella, aveva una pelle olivastra e dei capelli neri ramati e lunghi, erano raccolti in sette trecce, aveva studiato medicina, le stelle sul suo volto indicavano anche uno studio di retorica e lingue: era infermiera e interprete e gli ornamenti del abito la indicavano come una delle più fidate dame di compagnia della sua signora.
Sapevo di dover cominciare. Alzai il dito per chiedere il silenzio della folla. Quando gli applausi e i saluti si furono placati parlai: "O Autrocoton ronoes erchetei nai sta sfatiai touas." Era Orissiano, voleva dire "L'Imperatore chiede perché venite nella sua casa."
La fanciulla fece un profondo respiro e disse in Vilino: "Veniamo invitati e in cerca di ospitalità, portiamo doni e buone notizie."
"Se è così siate i benvenuti, non avete nemici qui e in casa nostra nessuno soffrirà mai la fame."
"La benedizione dell'Unico scenda su di voi e sui buoni padroni di questa casa. Auguriamo a Sileus, potente Imperatore di Rovia, lunga vita e vittoria sui suoi nemici."
Io parlavo in Orissiano, lei in Vilino, niente era fatto a caso, tutto era sulla base di antichi rituali degli antenati dei nostri popoli, tradizioni che permettevano davvero di creare ponti tra le diversità.
Dopo queste frasi rituali la fanciulla, tenendo sempre lo sguardo basso disse: "Con umiltà saluto il grande Imperatore Sileus, la sua famiglia, i suoi grandi e tutta Rovia. Presento Sibilla Lyriana, principessa della seta, nipote e pupilla del Vasilus Merus, Re dei Re di Orissia, l'Unico conservi il suo regno e lo renda longevo e forte."
Osservai direttamente la principessa e feci un inchino, dissi in Orissiano: "La principessa della seta Sibilla Lyriana è la benvenuta con tutto il suo seguito presso Rovia. Ogni cosa qui è a vostra disposizione. Il mio nome è Octopon Vandor Caros, figlio di Renor Vandor Licario, figlio di Genor Vandor Sileus, servo di Sibilla Lyriana (profondo inchino) per il tempo che sarete qui sarò per lei un padre, un fratello e un figlio."
Sibilla fece un leggero inchino, voleva dire che gradiva il rispetto del protocollo o che mi trovava ridicolo? Non lo sapevo, non lo capivo, non glielo leggevo. Non mi era mai successo, era incredibile: quella persona era un totale mistero per me. Era davvero la creatura più misteriosa e affascinante su cui avessi mai posato gli occhi.
A quel punto era previsto uno scambio di doni, uno per Sibilla da Sileus, uno per Sileus da Sibilla. Uno staffiere mi portò un piccolo pacco mentre l'ancella tornava camminando lateralmente verso Sibilla la quale le diede un altro cofanetto. Tornata in posizione l'ancella mi porse il cofanetto dichiarandolo come un dono speciale fatto realizzare dal Vasilus appositamente per Sileus il Grande. Io ricambiai con un dono fatto appositamente per Sibilla, sotto la mia diretta supervisione.
Il rituale prevedeva l'esposizione dei doni: Merus aveva mandato un pugnale ornato con simboli degli antichi Valeriani sulla cui lama era riportato il nome dell'Imperatore e una preghiera di protezione per il padrone del oggetto. La lama era di un rosso acceso perché era fatta di emirite, un rarissimo minerale estremamente prezioso e duro quasi come il diamantifero, certa gente avrebbe dato tre pianeti per possedere quel pugnale. Sibilla aveva ricevuto invece una collana fatta con perle di odona, un minerale presente nel sistema di Ecton che impiegava secoli per raggiungere la forma di sfere perfette e di una bellezza straordinaria, di un colore celeste vivo, sarebbe passato molto tempo prima che fosse possibile raccogliere le perle necessarie per farne un'altra. Anche quella collana poteva valere tre pianeti, più un paio di comete.
Diedi il pugnale allo staffiere che lo portò all'Imperatore il quale lo mostrò alla folla che lo accolse con un altro grande applauso.
Anche Sibilla espose il dono ricevuto e anche lei si mostrava soddisfatta. Dalle ancelle e dalle guardie sentivo soddisfazione e una ritrovata tranquillità e anche dai Roviani tutt'intorno. Era iniziata bene. Sileus scese le scale e si diresse verso Sibilla, io feci un inchino e mi misi di lato, anche io evitando di dare le spalle all'ospite.
"Sibilla Lyriana - disse Sileus - sono onorato di incontrarvi. Su Rovia giravano molte voci riguardo alla vostra bellezza. Errate come sempre: dicevano di voi dieci, dovevano dire mille."
Repertorio di bassa lega, ma detto da lui....
L'Imperatore prese la mano di Sibilla e la baciò, lei teneva i guanti, ma erano previsti dell'educazione del suo mondo.
"Vi ringrazio molto potente Imperatore - disse Sibilla parlando per la prima volta tenendo la mano di Sileus con entrambe le sue - sono commossa dal vostro dono e dalla vostra accoglienza. La bellezza del vostro mondo supera ogni descrizione."
Cortesia per cortesia. Sileus passò a presentare mia nonna, mio padre, mia madre, il Pontefice, i due consoli e io.
"Magistrato Caros - disse - complimenti lei parla molto bene la mia lingua."
"Essendo anch'essa frutto dei nostri comuni avi e del loro coraggio ho ritenuto molto tempo fa di impararla con l'assistenza di mia madre Efulsa di Orissia."
Avevamo appena parlato in Orissiano, lei mi rispose in Vilino.
"Essendo però su Rovia preferirei però far pratica della vostra lingua."
Non mostrava nessun accento.
Sileus informò la principessa che sarebbe stata condotta immediatamente al Palazzo Centrale e accompagnata al suo alloggio. Era mezzogiorno su Vandorra, anche se Rovia si era appena immersa nei suoi cinque giorni di oscurità, e quella sera era stato organizzato un ricevimento al Padiglione dei Meli se Sibilla non fosse stata troppo stanca per il viaggio. Forse lo era davvero ma non lo avrebbe mai ammesso, e lo dico perché dopo l'ho conosciuta.
Mentre ci incamminavamo verso la navicella Mirus (entrato a far parte del picchetto d'onore) mi si accostò quatto quatto e mi sussurrò: "Niente male questa principessa della seta. Deve essere vero che le sabbie di Orissia fanno davvero bene alla pelle."
"Lo sai che se fossimo su Orissia verresti messo a morte solo per averlo detto?"
"Meno male che questa è Rovia. E comunque sarai tu a doverla frequentare" mi avrebbe dato una pacca sulla spalla se il suo superiore non lo avesse sorvegliato, non sapeva che, vedendolo in confidenza con me, l'ufficiale non avrebbe osato proferire parola. Io sì, sapevo tutto di tutti tranne che di Sibilla Lyriana. Perché non percepivo niente da lei?
"Hai ragione.... dovrò conoscerla meglio."
Quella sera indossai una toga nera su cui erano riprodotti ornamenti floreali con fili d'argento, sulla mia schiena era raffigurato un calice da cui sgorgava l'acqua e nascevano rose e allori, la mia camicia era bianca, i pantaloni e i mocassini erano neri come la toga, indossavo ancora la corona e le seste dee che fungevano da ornamento. La vulnia era largamente praticata anche nel Gran Reame quindi gli ospiti avrebbero compreso le mie mani coperte. Non era strano trovare altri ospiti con le seste dee o spade o pistole in fondina riccamente ornate e simbolo di un alto rango, purché fossero da cerimonia, ovvero belle e inoffensive. La storia riportava di molti attentati a certi ricevimenti, quasi tutti falliti o comunque conclusi con una folgore lec sparata da un pretoriano contro l'attentatore. Vista l'importanza della serata la sicurezza era maniacale, persino il Pontefice e l'Imperatore si fecero perquisire.
Inutile dire che mia madre era particolarmente eccitata nel conoscere una principessa della seta, ovvero la figlia di un fratello o di una sorella del Vasilus. Dopotutto Orissia rimaneva la sua madrepatria.
Sileus era stato capace di organizzare un rinfresco tipicamente orissiano da un lato è uno roviano dall'altro. Lì si vedevano molte differenze: Rovia era un mondo fertile e ricco di vari generi di frutti, coltivazioni e bestiame, mentre Orissia era un enorme deserto, tranne alcune oasi e i due poli del pianeta che costituivano le coste di piccoli mari e territori fertili nei dintorni. Quindi al tavolo roviano frutta, verdura cotta in vari modi, formaggi, spiedini, salami, pesci e calamari, piatti di pasta, pane di varie forme e qualità e dolci di vario tipo, e una curiosa focaccia molto larga, appiattita, su cui veniva sparsa la salsa di pomodoro, delle mozzarelle a fette e vari ingredienti in più, una ricetta molto antica di cui però nessuno conosceva il nome. Il tavolo orissiano, dal canto suo, artropodi arrostiti, carni di uluma (animale grasso con alto valore proteico) in tutte le salse, bocconcini di formaggio bianco, pane non lievitato ma scaldato alla griglia, verdure fresche, ortaggi cotti alla griglia, un piccolo orcio contenente olio e qualcosa di bizzarro: il popone marino, una specie di melone lungo dodici metri che cresceva nei mari sotterranei di Orissia e veniva raccolto quando si staccava ed emergeva nelle oasi. Conteneva un succo molto dissetante e spesso impediva alla gente di morire di sete. Era stato realizzato con la biologia meccanica dai primi coloni del pianeta apposta per risolvere il problema della scarsità di acqua e nutrimento. Infine il tavolo roviano esponeva un'orgogliosa collezione di vini della migliore qualità di quel firmamento, da Orissia soprattutto birre.
Ogni popolo è ciò che mangia, e le tavole mostravano le nostre differenze, ma in pratica ogni mondo umano ha tradizione sue riguardo a tutto, compreso il cibo. Sileus era convinto che gli ospiti avrebbero gradito i sapori di casa, e aveva ragione, anche se avrebbero provato volentieri qualcosa di nuovo.
Gli Orissiani stavano arrivando, era appena il tramonto quando fecero il loro ingresso: le guardie e le ancelle avevano gli stessi abiti, dopo tutto erano in servizio ma i soldati avevano accettato di non portare le alabarde. Avevano però le loro armature, e si misero con le braccia incrociate mentre le ancelle facevano il loro ingresso, disponendosi ai lati e poi entrò Sibilla.
Come descriverla?
Aveva un abito lungo e bianco con bardature in oro che lasciava scoperte le spalle e le braccia, comunque coperte da un tessuto semitrasparente, il braccio destro era completamente rivestito di un monile d'oro: un bracciale a forma di serpente che avvolgeva in spirali tutto il braccio fino a dietro la spalla. Un piccolo diadema d'oro e pietre preziose bianche e rosse era posto sul suo capo, in cui i capelli rimanevano sempre legati in una lunga coda che arrivava fino alla schiena, mentre la collana di perle ectoniane circondava il suo collo completando quella visione.
Bellissima. Era l'unica parola che veniva in mente a tutti i presenti.... me compreso.
Mi ripresi quando Sileus mi lanciò un'occhiata rapida e un pensiero speciale. Andai in avanti mentre lo staffiere che dirigeva la serata dava all'orchestra il segnale per cominciare con le musiche della serata. Quando arrivai davanti a Sibilla ero retto: petto in fuori, pancia in dentro, passo lento e solenne. Brutta cosa il voler apparire, però esercitavo già un certo fascino tra le giovani presenti e anche tra alcune ancelle orissiane. Sibilla, dal canto suo, si mostrava anche lei sul attenti e fiera. Non capivo perché ma stavo avvertendo un leggero tremore, cercai di mantenere la mia fermezza mentre facevo un inchino alla principessa e le porgevo la mano destra chiedendole l'onore di poterla condurre alla serata. Lei prese la mia mano e fece un cenno approvando. Credetti di vedere anche un leggero sorriso in quel momento, ma non ne ebbi mai la certezza. Le cedetti l'onore della destra, e la condussi verso il ponte e verso l'Imperatore, tra inchini e saluti generali, mentre il seguito di Sibilla ci seguiva. C'era anche il Magister Legionibus che ci guardava, quando gli passammo davanti fece qualcosa che non avevo mai visto da lui o dagli altri legionari: si era inchinato. Non lo aveva mai fatto a nessuno ne ero certo.
Mi ripresi quando Sileus si rivolse a noi dicendo: "Principessa Sibilla, di nuovo benvenuta - musica di vìolino in un crescendo nel sottofondo, silenzio tutt'intorno - benvenuta nell'Impero di Rovia."
La voce di Sileus risuonava come un eco.... tutto studiato per creare un senso di meraviglia tra gli ospiti. Con le ancelle funzionò, sentivo la loro suggestione, mio nonno era un vero maestro in questi effetti.
"Ancora una volta ringrazio l'Imperatore e l'ospitalità del popolo roviano" rispose Sibilla.
"Tutto qui è a vostra totale disposizione. Buona serata" disse Sileus.
"Octopon, adesso sta a te. Sii suo amico e buon lavoro" pensò Sileus sapendo che lo sentivo.
In quel momento il ricevimento si avviò e ciascuno iniziò a contrattare, a cercare e a discutere del futuro, degli affari e di come avvicinarsi a quei due..... ovvero io e Sibilla.
"Spero vi rendiate conto che questa sera chiunque cercherà di conquistare la vostra amicizia mia signora" dissi io a bassa voce mentre la accompagnavo a camminare in tondo per il padiglione, mentre le sue guardie ci seguivano da distante, Sibilla si voltò un attimo, aveva lanciato un segnale alle ancelle che finalmente si dispersero, sorvegliandola da distante.
"E voi, principe? Voi non volete conquistare la mia amicizia?"
"Io non sono un principe, almeno non come voi. E per me è diverso: io devo conquistarla. Me lo comanda il mio Imperatore, così come a voi lo comanda il Vasilus" avevo ritrovato il sangue freddo.
"Sì, lo capisco e lo condivido. Ma perdonatemi non capisco: se non siete un principe come potete essere imparentato con l'Imperatore?"
"Qui su Rovia non è il sangue a determinare una vita o una successione: è il merito. Mio nonno, il grande Sileus, è nato bambino, è diventato soldato e magistrato ed è divenuto Imperatore con la sua forza e il suo ingegno."
"Abbattendo la Repubblica che Rovia era in precedenza. Nessuno lo considera un tradimento?"
Lo chiese aspettando una reazione offesa, ma io ormai avevo capito il gioco.
"È tradimento ribellarsi alla corruzione? È tradimento estirpare un sistema fallimentare che ormai serve solo a rende i ricchi sempre più ricchi sulle spalle della gente comune? È tradimento distruggere la tirannia dei numeri diventata ormai una vera e propria truffa? È tradimento abbattere una falsa libertà per sostituirla con rigore, giustizia e un ritrovato orgoglio? Non sono traditori tutti coloro che si ribellano ai tiranni?"
Sibilla mi fissò per qualche istante, forse rifletteva sulla mia risposta.
"Credo di dovermi scusare - disse - il fatto è che voi Roviani siete così complessi ed è difficile capire voi e il vostro sistema."
"Strano, qui su Rovia si dice la stessa cosa di voi. Ma in fondo siamo tutti umani: essere imprevedibili è nella nostra natura e credo il nostro miglior pregio."
Continuavamo a camminare e a ricevere e dare inchini e saluti. Meno male che eravamo entrambi esercitati altrimenti avremmo preso come minimo il colpo della strega.
"Ora però è un grosso problema: se non principe, come vi posso chiamare?" chiese ancora Sibilla.
"Io ho la carica di magistrato, perché sono un funzionario pubblico, potreste chiamarmi onorevole, oppure dottore, poiché sono dotto nella legge e nei caratteri dello Stato. Però se vogliamo essere amici potreste chiamarmi Caros, il mio prenomen che significa uomo libero. Gli amici più stretti e i parenti usano la confidenza di chiamarmi con il mio nomen Octopon che significa rigenerato."
"Ecco, questa usanza dei tre nomi e del grado di chiamata è davvero interessante e per alcuni incomprensibile."
"Basta fare pratica, e sapere chi si ha davanti."
"Potrei chiamarvi semplicemente Caros, almeno finché non saremo amici più stretti?"
"Ne sarei onorato, principessa."
"Allora però, io sono solo Sibilla e vorrei che ci dessimo del tu. Se non crea disturbo."
Presi la sua mano e la guardai negli occhi. Le tremava un po' anche a lei, non lo ha mai ammesso ma ne sono sicuro.
"Piacere di conoscerti Sibilla - baciai la mano, con il volto del serpente d'oro a guardarmi - io sono Caros, servo tuo."
Ecco, ora vedevo davvero un sincero sorriso sul suo volto.
"Caros ... ti ringrazio e spero vorrai farmi da guida su questo tuo mondo che per me è alieno."
Le avrei fatto da guida, era il mio dovere, ma in fondo non sarebbe stato un arduo compito anche perché lei non sembrava impreparata ad affrontare un nuovo mondo.
"Dunque Sibilla - dissi mentre tornavamo a camminare a braccetto - se vuoi capire i Roviani devi comprendere la loro società: noi ci distinguiamo con le nostre divise. La toga è simbolo del nostro ruolo, e su di essa portiamo i simboli dei gradi."
"So che una grande importanza è data dal colore" disse lei guardandosi intorno e soffermandosi su un gruppo di senatori che se ne stavano in disparte.
"Esatto: il bianco per esempio è la nobiltà e la solennità del potere, per questo chi è al comando delle istituzioni pubbliche ha il diritto di indossare quel colore associandolo al rosso se può realizzare la legge, al nero se ha il compito di farla rispettare."
"E questo è determinato dalle fasce vero?" chiese Sibilla evidentemente interessata.
"Sì e i senatori portano la rossa perché loro è il potere di fare legge e di comandare sulle istituzioni, mentre i magistri hanno la fascia nera, loro eseguono gli ordini del Senato, pur potendo decidere come fare."
"Come si descrivono queste persone, i senatori?"
"Sileus li detesta, ma si rende conto che ha bisogno di loro. Sono come gli animali da guardia se li si nutre sono fedeli, ma è l'istinto che li guida davvero. I magistri sono più affidabili perché per mantenere la loro posizione sono disposti a qualunque atto di sottomissione e perciò sono motivati a far bene il loro compito. Di contro sono fedeli a chiunque stia al vertice della piramide."
"Certe cose sono davvero universali. Però voi lo avete ben organizzato. Loro invece chi sono?"
Stava indicando delle persone con la toga bianca ma con le maniche nere.
"Loro sono archiatri, cerusici e altri scienziati nell'ambito della medicina. Sono in bianco perché hanno il potere di lavorare sulla vita e sul suo mantenimento, mentre il nero rappresenta comunque il fatto che non hanno un potere assoluto. Sono sottomessi alla morte e al fatto che è inevitabile. Accanto a loro vedi, con il giallo gli scienziati e gli studiosi, mentre in grigio gli ingegneri. Tutti loro sono da noi amati e rispettati per il loro lavoro ma..... terribilmente noiosi."
Passammo poi accanto al ruscello, c'erano alcuni con la toga marrone, quelli li ho sempre detestati.
"Non accettare doni da coloro che indossano il marrone, sono i pubblicani: impiegati dei ministeri, in carriera per essere magistrati o magistri, o magari senatori. Se ti fanno un qualche favore ti tormenteranno per avere qualcosa in cambio. Venderebbero l'anima per poter arrivare all'ombra di Sileus."
"E quei due signori che sono ammessi in questa zona che parlano con i senatori?"
"Hanno toga grigia con linea rossa che dal collo arriva ai piedi. Sono i capitolari: sono coloro che amministrano la giustizia, se guardi bene vedrai che alla cintura portano un martello. Presiedono i tribunali e, con i legislatori che assistono o accusano, formano i capitoli, ovvero le assemblee che giudicano nei processi. Sono molto rispettati, ma Sileus ha fatto in modo che gli fossero tolti gli eccessivi privilegi che avevano durante la Repubblica. Questi sono la nuova generazione. Non troverai un martello uguale agli altri, ad ognuno ne viene donato uno unico al momento della nomina."
"Sono curiosa: cosa fanno con quei martelli?"
"Suonano una campana che è posta sui loro banchi per dare inizio e fine alle sedute e per richiamare l'ordine, e in fondo al manico c'è il loro sigillo personale che appongono agli atti di ogni processo."
"Quindi ognuno su questo mondo viene marchiato per la vita?"
"No, dipende tutto dalle scelte della vita e non è impossibile cambiare."
"Ma quand'è che si decide?" chiese lei.
Ecco qualcosa che non sapevo dire. Fui sincero.
"Non lo so. Ma prima o poi arriva per tutti il momento di fare una scelta."
"Per noi è diverso. Nella maggior parte dei casi i figli ereditano il mestiere dei genitori, oppure gli viene assegnato dallo Stato, tra varie opzioni, in base alle attitudini che ognuno dimostra. L'unica cosa che conta è che nessuno sia lasciato senza qualcosa da fare. Ognuno di noi nasce con uno scopo."
La guardai per qualche secondo, era davvero saggia.
"I tuoi colori invece? Nero e bianco?"
"Prego... questo è argento. Sono l'unico a vestire questi colori perché sono segno del mio incarico di questa sera: essere la guida dell'ospite d'onore."
"Quindi mi accompagni perché ti è stato ordinato?"
"Veramente mi sono offerto volontario, non mi si poteva dire di no visto che l'Imperatore è mio nonno."
"Ma non avevi detto che la parentela su Rovia non conta?" chiese lei con un ilarità.
"In confidenza.... certe volte ci sono delle eccezioni."
Scherzammo, non era più solo politica, stavamo davvero facendo amicizia.
Aveva già conosciuto la mia famiglia e così decisi di presentarle i miei amici. Feci avvicinare uno staffiere e gli dissi di andare nella zona "pubblica" del padiglione per chiamare qualcuno che meritava di essere lì.
"Se vuoi conoscere Rovia devi incontrare il suo futuro" dissi a Sibilla.
"Giusto. Ma il presente?"
"In effetti se guardi accanto al tavolo, quel uomo calvo con le dite lunghe che stanno agguantando una coscia di pollo è il senatore Alganor Pernor Flaccus, ed è probabilmente la persona più ricca tra i presenti per disponibilità economica, quella signora laggiù invece è la magistra Elear Milcra Octa, presiede il magistero dei trasporti e delle rotte commerciali, una delle persone più influenti dell'Impero ma anche tra le più fedeli. La storia della sua famiglia è piuttosto triste, ti basti sapere che le riforme di Sileus le hanno permesso di sollevarsi fino a questo punto."
"Su Orissia le donne possono ereditare, possono amministrare patrimoni personali, possono educare ed insegnare, ma sono escluse dalla vita pubblica. È un altro motivo per cui molti di noi non si fidano di voi: sono molto legati a certi caratteri della nostra civiltà e gli è difficile accettare le nostre differenze."
"Beh ogni popolo ha i suoi retaggi."
Arrivarono in quel momento lo staffiere e le persone che avevo mandato a cercare.
"Ecco il futuro- dissi io- Sibilla vorrei presentarti i miei più cari amici."
Erano particolarmente nervosi, però anche pronti a gettarsi nella mischia.
Ed eccoli lì, i colori riassunti: erano stati condotti davanti a noi Mirus, Imorus e Alemia.
"Sibilla Lyriana è un piacere e un onore presentarvi..... un momento.... dov'è....?"
"Al rinfresco...." disse Mirus.
"Ah ecco: stiamo parlando di un nostro camerata di studi che.... è un artista e un genio e quando c'è da mangiare gratis...."
Sibilla ebbe una leggera risata: "Come ho detto certe cose sono universali."
Sentii però che gli altri erano ansiosi che io li presentassi. Ruppi il ghiaccio.
"Il decurione Mirus Algina, dell'Arma Siderale. Mio buon amico e, parola mia, futuro Magister Classes."
"Il magistrato è troppo cortese, comunque... servo vostro" Mirus fece un leggero inchino e anche lui fece il bacia mano. Un galateo perfetto. Sentivo che non era insensibile alla bellezza di Sibilla ma non ne era troppo impressionato.
"Grazie decurione. Un grado importante... già così giovane?" chiese Sibilla.
"Come ho già detto è abile e ambizioso" dissi io.
"Detto da un futuro Imperatore è un complimento" commentò Mirus.
"Questi invece - dissi io in fretta per cambiare discorso - è l'archiatro Junor Abbicor Imorus."
"Al vostro servizio" disse lui apprestandosi a fare il baciamano ma venendo fermato da una mano forte sulla sua spalla.
"Alemia Toror, del ministero dell'istruzione. È un onore fare la conoscenza della principessa Sibilla Lyriana."
"L'onore è mio" rispose Sibilla. Si era accorta della situazione tra i due e sperava di non creare malintesi. Passò a parlare con Alemia per qualche minuto dopo aver educatamente salutato noi ragazzi. Un punto di vista femminile doveva essere ciò di cui Sibilla aveva bisogno per adattarsi alla situazione, ma non la perdei mai di vista, e non ero l'unico.
"Perché le migliori sempre a te Octopon?" chiese Imorus.
"Se ti sente chi sappiamo noi sei morto.... lo sai vero?" Queste parole di Mirus erano state sufficienti per zittire l'archiatro.
"Piuttosto Leriano - chiesi io - dove si è cacciato quel bucaiolo?"
"Conoscendolo, a quest'ora sarà ubriaco come al solito" disse Mirus.
"Comunque se la caverà. Piuttosto, se loro non sono avvicinabili quelle con gli occhi coperti di rosso...."
Imorus non diceva sul serio, era tanto innamorato di Alemia quanto lei era gelosa; era solo la sua idea di scherzare con gli amici.
"Ricordi il nostro torneo di vulnia?" chiesi io.
"E chi se lo scorda?" risposero i due quasi all'unisono.
"Una di loro avrebbe vinto tutti i turni. I segni sono della tribù degli Zalamiti del sistema Zala. I quattro soldati dei Diecimila sono solo scenografia; quelle ragazze sono le vere guardie di Sibilla, la loro tribù ha avuto come unica attività negli ultimi diecimila anni l'affinamento delle tattiche da guerra e di lotta corpo a corpo. Sono così atletiche perché passano ogni istante della loro vita ad allenarsi, persino ora, sotto quei begli abiti, indossano armature e cotte di maglia pesantissime per mantenere la muscolatura."
Erano allibiti.
"Conoscono trecento modi per uccidervi con una mano sola. Ma se usassero un coltello lo farebbero per educazione."
"E allora chi ci può provare?" chiese Imorus.
"Le donne Zalamite vanno in sposa solo agli uomini che le battono nella lotta, ma solo se accettano la sfida, a meno che la famiglia non combini il matrimonio. Comunque i Lyriani prendono le loro guardie personali dagli Zalamiti da dieci millenni per una buona ragione."
"Beh, un paio di loro io le sfiderei volentieri" rispose Imorus.
"Tu sei già stato battuto, piuttosto largo a chi è libero!" disse Mirus. Imorus stava guardando Alemia e si ricordò che era proprio vero.
"Senti Octopon ma .... la principessa?" chiese Mirus.
"È curiosa - dissi io - ma anche molto più furba di quel che può sembrare."
"Sai che battute ha fatto Alemia mentre vi osservavamo prima? A braccetto, a passeggiare...."
"Sicuramente di un gusto migliore del tuo. No dobbiamo fare attenzione: quella vuole solo fare gli interessi del suo mondo" risposi.
"La biasimi?" chiese Imorus.
"No, la capisco e so che lei capisce noi. Per ora le saremo amichevoli: è un mondo nuovo per lei."
"Hoi Octopon" sentimmo gridare.
Era Leriano che cercava di passare tra gli staffieri che bloccavano il ponte.
Alzai gli occhi al cielo e feci segno agli staffieri di farlo passare. Non era ancora ubriaco ma poco ci mancava.
Sileus e gli altri membri della sua cerchia non sembravano molto contenti di ammetterlo tra loro ma i miei cari sapevano che potevo controllarlo.
"Adesso però basta vino, va bene?"
"Senti sono brillo ma non sbronzo, dov'è la Lyriana?" chiese.
"Te la presento, ma mi raccomando ..... sii garbato."
"Come con quella ectoniana che ....?"
"No!"
"Allora come con quelle adokesi che l'anno scorso ...."
"Prova qualcosa di simile a quello e ti butteranno fuori non dalla festa, ma dal sistema."
"Ma feci sbocciare belle emozioni."
"Emozioni? I pugni in faccia non sono emozioni, sono pugni in faccia."
Una piccola risata e poi Leriano si ricompose. Ci teneva davvero a farmi fare bella figura, capiva che stavo svolgendo un compito molto importante e quindi si scrollò le briciole dalla toga gialla e grigia, mi guardò e pensò "pronto".
Passammo accanto a tre senatori e facemmo un inchino ad un cardinale. Non si poteva perdere di vista Sibilla, e vidi che lei ed Alemia stavano parlando con un uomo con la toga di un rosso sangue, il rosso dei militari. Era lo zio Gulnius. Stava parlando con Sibilla, ma c'era qualcosa di allarmante in lui. Sentivo un enorme disprezzo da lui, malgrado i modi gentili e cortesi. Non avevo mai sentito niente di simile nello zio Gulnius, anzi non avevo mai sentito niente di simile in nessuno. Avrei imparato a conoscerlo in seguito come ..... odio puro. Lo stava provando per Sibilla, ma lo mascherava bene.
Accelerai il passo, istintivamente, sentivo che dovevo allontanare Sibilla da lui.
"Buona sera" dissi .... brillantemente..... in cerca di una scappatoia.
"Ed ecco il maestro della serata" disse Gulnius.
"Magister Classes" lo salutai in maniera molto cordiale e formale, ma quel terribile odio e fanatismo dentro di lui..... mi stava davvero spaventando. È stata quella sera che ho iniziato a credere davvero alla possibilità delle possessioni demoniache: da fuori sembrava l'uomo di sempre, ma dentro di lui.... una bestia, una vera bestia.
"Il Magister ci stava parlando del rinfresco" disse Alemia.
Sibilla teneva lo sguardo basso, respirava con leggero affanno, non osava guardare il generale. Notai che due delle ancelle tatuate col volto rosso si stavano avvicinando. Osservando la loro signora avevano capito che qualcosa la preoccupava.
"Chiedo scusa Magister, se permette vorrei rubarvi la principessa qualche istante. Il caro Caros mi aveva promesso di presentarmela" disse Leriano. Non aveva i miei poteri ma era abbastanza intelligente da capire che doveva aiutarci.
"E tu saresti?" chiese Gulnius anche se glielo avevo presentato tre volte.
"Leriano da Nichia. Servo vostro, e sklavios perincipexsias metarktsi, monia korima o Enòs baraklitàiana kai arkezoi."
Aveva detto a Sibilla, in un Orissiano perfetto, "sono schiavo della principessa della seta, possa l'Unico renderla longeva e fertile", il saluto più cortese che si potesse rivolgere alla principessa da parte di un perfetto estraneo. Gli altri erano allibiti, io no: primo perché sapevo che Leriano era un genio, secondo perché da bambini avevamo studiato Orissiano insieme.
"Dunque Leriano hai davanti Sibilla Lyriana della discendenza di Oromio" dissi io sempre in Orissiano.
"Quanta gloria e coraggio dimostrò quel uomo e la sua gente. Venite da Chetrala di Orissia vero?" questa non era una frase cerimoniale che si può memorizzare, Leriano dimostrava di saper parlare davvero quella lingua.
Sibilla sembrò risollevarsi, fece un cenno di capo e rispose nella sua lingua: "Sì, sono nata e cresciuta in quella città, la nostra capitale, sotto la tutela di mio zio il Vasilus Merus, Re dei Re di Orissia, possa il suo regno durare allungo ed essere prospero."
"E la sua anima benedetta e illuminata dall'Unico e dai dettami dei suoi padri."
Niente da dire, anche Sileus avrebbe pensato che Leriano era l'uomo giusto al posto giusto.
A proposito di Sileus, uno staffiere mandato da lui si stava appunto avvicinando a Gulnius per sussurrargli qualcosa.
"Vogliate scusarmi - disse il Magister Classes - principessa..." fece il saluto militare, un leggero inchino e si accinse ad allontanarsi.
"È stato un piacere Magister, spero di rivedervi presto" disse Sibilla. La principessa lanciò uno sguardo alle Zalamite nei dintorni che si allontanarono senza perderla di vista.
Si rivolse di nuovo a noi e non esagero se dico che le faceva più piacere parlare con i ragazzi che eravamo piuttosto che con chiunque altro dei presenti.
"Sono molto lieta di conoscerla ingegnere Leriano e onorata dal suo perfetto uso della mia lingua ma vorrei fare pratica con il vostro Vilino" disse lei nella nostra lingua rivolta a tutti.
"Se volete seguirci, potreste provare qualcosa di tipico della nostra cucina" dissi io, che in effetti avevo anche fame.
"Con piacere" disse lei.
Una delle ancelle con le stelle tatuate sul volto, quella che non aveva parlato alla cerimonia di benvenuto, si affrettò a venire verso di noi, ma uno staffiere la precedette. Sentivo che doveva parlare con me, l'Imperatore chiedeva la mia presenza.
Feci un inchino e affidai Sibilla alle cure dei miei amici, ormai sicuro che fosse in armonia con loro. Mi diressi verso il seggio di Sileus, lui si alzò, aveva un bicchiere di vino in mano, ma non lo avrebbe mai svuotato, beveva solo per i brindisi davvero importanti o faceva finta di bere. Mi si avvicinò e mi disse: "Come va la serata?"
"Direi abbastanza bene."
"Speravo che te la cavassi bene e mi dicono che sei perfetto."
"Sto cercando di farla sentire a suo agio e con i nostri coetanei credo che sarà più facile, ma non temere le ho già presentato chi di dovere..... ovvero tutti qui."
"Cosa pensi di lei?" mi chiese l'Imperatore. Era certo di aver visto qualcosa sia in me che in lei quella sera.
Credo di aver arrossito un po', per questo mi affrettai a dire che dovevo tornare da Sibilla immediatamente.
Però mi voltai e chiesi a Sileus: "Nonno, tu ti fidi di Gulnius?"
Il suo stato d'animo cambiò: era diventato cupo, sorpreso da quella domanda. Immaginava che doveva esserci qualcosa sotto.
"Io nell'universo mi fido solo di cinque persone: di tua nonna, di tuo padre, di te, del Redentore e di Gulnius" disse lui.
Annuì e tornai verso Sibilla.
Arrivai che stavano provando un po' di tutto del rinfresco e una piccola folla si era radunata intorno a loro. Vari leccapiedi che dicevano a Sibilla di provare questo e quell'altro.
"Se posso permettermi - dissi io - credo che la nostra ospite dovrebbe avere il diritto di scegliere da sé. Avete qualche preferenza altezza?"
Sibilla si guardò intorno e disse: "Sul mio mondo, e in effetti in tutti quelli che ho visitato, c'è un piatto roviano molto diffuso, è una specie di focaccia .... ah ecco credo che sia quella...."
Stava indicando quel piatto di cui esistevano tanti nomi, ma di cui nessuno conosceva la storia.
"In effetti è una buona scelta, ma avverto che non è come ci si aspetta, questa è diversa da quelle prodotte in massa nei ristoranti di strada" Dissi io mentre lo staffiere addetto prendeva una spatola e poggiava una fetta in un piattino. Il piatto fu dato a me e io lo porsi a Sibilla, ma fu preso dall'ancella con le stelle la quale fece un inchino a Sibilla e assaggiò. Dopo aver ben masticato e mandato giù fece un ulteriore inchino e porse il piatto a Sibilla la quale la ringraziò.
"Spero di non offendervi, è solo un protocollo. Ulira è la mia assaggiatrice, è obbligata ad assaggiare ogni cibo prima di me per verificare che io non corra pericoli. Certe volte è necessario ma ormai è una vera e propria tradizione" disse Sibilla.
"Attenzione prego - tuonò la voce di Sileus tra i presenti, aveva il calice del vino in mano e lo sollevava tra i presenti - ognuno prenda un calice, c'è da riconoscere l'indomito coraggio di questa fanciulla che senza esitazione mette in pericolo la sua vita per difendere quella della sua signora. Una devozione simile è al di sopra di ogni dovere e se anche solo un quinto degli uomini la possedesse ..... questo sarebbe davvero un cosmo più felice. In alto i calici per Ulira di Orissia."
"Per Ulira di Orissia!" gridarono i presenti in un grande brindisi. Inutile dire che quella ancella era molto imbarazzata ma anche onorata e anche Sibilla si volle unire al brindisi.
Sileus aveva fatto un altro colpo da maestro.
Dopo quella sera è diventato una tradizione nel Grande Impero dire "Brindiamo a Ulira di Orissia" quando si vuole onorare qualcuno pronto a sacrificarsi per una giusta causa.
Ulira comunque assaggiò molte altre cose, era venuta fin su Rovia apposta per questo.
Sibilla diceva comunque di non aver mai assaggiato niente di così squisito come quella focaccia al pomodoro e al formaggio. Chiedeva come si chiamava e le vennero detti vari nomi: "ceresina", "caramina", "pangiara" e molti altri, alcuni anche assurdi. Ad un certo punto il Magister Legionibus si avvicinò e si chinò verso di me e Sibilla, tutti tacquero alla sua presenza. Si piegò in modo che solo io e Sibilla potessimo sentirlo e ci disse: "Pizza. Si chiama pizza e viene da Terra."
Che ne sapeva lui? Lo avrei scoperto tempo dopo, ma aveva ragione.
"Posso chiedervi chi siete signore?" domando Sibilla evidentemente impressionata dal titano che aveva davanti.
"Il mio nome non esiste più, ciò rinunciato tempo fa per servire. Se i vostri schiavi hanno nome, ecco quello è il mio. Io sono la forza pura della storia, io attendo."
Detto questo il Magister Legionibus si voltò e si allontanò.
"Che cos'è quel essere?" chiese Sibilla.
"Bella domanda" rispose Mirus alle spalle.
"Per quel che ne sappiamo i legionari, come lui, sono una potenza della natura di cui nessuno conosce le esatte fattezze" dissi io.
"Però sono fedeli a Rovia."
"Non ai suoi governanti. Durante le guerre civili nel Regno e nella Repubblica non sono mai scesi sul campo, hanno solo ubbidito ai vincitori. Sono una potenza terribile ma non si sono mai rivolti contro qualcuno incapace di difendersi da loro."
"Tra la mia gente girano molte voci su di loro. Alcuni dicono che sono demoni."
"Qui alcuni dicono che sono angeli. Ma comunque è sempre la stessa razza."
Dopo questo si udì il suono di una campana collocata su una torre vicina al padiglione, tre rintocchi. Era il segnale che spinse tutti i presenti a radunarsi in silenzio e a mostrare reverenza. Entrarono tre cardinali con le loro toghe purpuree e con loro il Pontefice accompagnato e assistito da due diaconi con toga nera. Sileus gli si avvicinò e gli diede il benvenuto baciandogli l'anello per poi condurlo a sedersi su un seggio preparato per lui.
"Lui è il Santo Padre, il patriarca di Rovia?" chiese Sibilla.
"Sì, quello è il nostro Pontefice Eumontos, vicario del Redentore, Padre dell'Ecclesia e Maestro della Fede" risposi io.
Sentivo da Sileus che era il momento di fare quella presentazione. Condussi Sibilla verso il seggio del Pontefice, mentre tutti ci facevano largo.
"È venuto adesso perché era impegnato nei Vespri che sono preghiere molto importanti del nostro clero. Se vuoi Sua Santità conosce perfettamente la tua lingua."
"Grazie Caros, ma voglio esprimermi nella lingua del mondo che mi sta ospitando."
Detto questo fummo davanti al Pontefice e a lui ci piegammo fino a porre il ginocchio a terra. Quando ci alzammo io mi avvicinai e presi l'anello del Pontefice facendo attenzione a baciarlo senza toccare la pelle del Santo Padre. Sentivo che era lieto di quel momento: un momento in cui finalmente si compiva un disegno di pace.
Mi alzai e, in tono solenne, com'era mia specialità, dissi: "Vostra Santità, Sommo Pontefice Eumontos, nostro padre nella fede, con onore e reverenza io presento a voi Sibilla, della famiglia Lyriana, principessa della seta, emissaria del Vasilus Merus, Re dei Re di Orissia. Maestà Sibilla della discendenza di Oromio, io presento a voi l'eminentissimo e reverentissimo Padre dell'Ecclesia della Redenzione Eumontos XLVII del Suo nome."
Il Pontefice volle alzarsi per dimostrarsi cortese mentre Sibilla si avvicinava e porgeva le mani per prendere la mano del Pontefice e baciare l'anello. Lo fece lentamente e con una grazia ammirevole. Era stata educata molto bene sul suo mondo e sapeva come comportarsi davanti ad un'autorità come il Pontefice. La religione del Gran Reame, lo Shasamazi, era in realtà una diversa confessione del Redenzianesimo e la figura del Pontefice era di grande importanza anche per gli Orissiani, non gli davano la stessa importanza di noi Roviani ma lo riconoscevano come una vera autorità della fede anche loro.
"Pax tecum" disse il Pontefice.
"Et cum spiritus tui" rispose Sibilla.
Ora tutti su Rovia avevano davvero dato il benvenuto alla principessa di Orissia.
Il resto della serata fu abbastanza sereno e tranquillo, anche un po' noioso, finché non arrivò il momento più temuto, quello a cui qualcuno preferirebbe una battaglia, o farsi esplodere la testa in una camera di decompressione o farsi ingoiare intero da un dionicodonte.... il momento degli incubi più terribili per ogni piccolo membro dell'alta società da quando esiste l'alta società.... l'apertura delle danze.
Devo dire che i musici erano bravissimi: avevano suonato tutta la sera e ora si apprestavano ad avviare quella che per molti era una vera tortura.
Si cominciò con una classica balera, danza tipica di Ecton dove si formava un semicerchio e ci si muoveva con un'allegra musica di strumenti a fiato quali cornamuse. Uomini e donne divisi e come in competizione per chi riusciva a seguire meglio il ritmo. Andò avanti finché i suonatori di cornamuse non ebbero completato le coreografie, per poi chiedere acqua e riposarsi un attimo. Allora si passò alla cornucopia, una danza da fare a coppie in cui le persone si mettevano spalla a spalla e danzavano formando dei cerchi, per poi cambiare compagno/a per tre volte ad un segnale del maestro dell'orchestra, era dettata da un allegro motivetto di strumenti a fiato, campanelli, due flauti e un mandolino. Strumenti così antichi eppure era considerato fortunato chi sapesse suonarli. Dopo il terzo scambio si doveva fare il resto del ballo con la persona che toccava e ci si muoveva in cerchio. Leriano non ne perse una e si ritrovò anche con una figlia di senatore niente male.
Imorus e Alemia erano vicini a Sibilla, sembrava che quelle due stessero davvero facendo amicizia.
Io mi avvicinai ad Imorus nel momento in cui stava iniziando un valitero, un ballo formale ma considerato più romantico, i miei genitori e i miei nonni erano già in pista, non ne perdevano l'occasione. Anche perché i miei nonni si erano conosciuti in una serata simile. Mia madre mi aveva sempre incoraggiato a provare con qualcuno però io dovevo mantenere il distacco visto che ogni contatto fisico con me aveva sempre causato ferite e ustioni a chiunque lo avesse provato. Era una cosa che causava molto dispiacere ai miei cari perché mi aveva procurato molta solitudine. Ma questo non mi impediva di divertirmi un po'; prima del inizio della musica dissi ad Imorus: "Imbecille, cosa stai aspettando?"
Il messaggio arrivò chiaro, il problema era che non ne aveva il coraggio. Lo trovò quando vide un bel imbusto che si avvicinava ad Alemia dopo averla osservata tutta la sera. Prima che l'intruso arrivasse Imorus aveva già invitato Alemia. Lei rispose di sì come fosse una concessione, ma la sua mente e le sue emozioni mi dicevano che ne era molto contenta.
Danzavano placidamente, niente di nuovo, niente di particolare tranne i globi luminosi che fluttuavano sulla pista indicando la via da seguire alle coppie per impedire che si scontrassero tra loro.
Anche Mirus si era inserito, era riuscito ad invitare un'altra ragazza lì presente, doveva conoscerla perché indossava la toga rosso sangue dei militi.
"Su Orissia ci sono tradizioni simili?" chiesi.
"Certo, anche noi utilizziamo questo sistema di socializzazione, però noi abbiamo balli tradizionali diversi, tranne il valitero e altri che abbiamo in comune" rispose.
"Li conosci?" Perché glielo domandai? Passai giorni, mesi, anni a chiedermi perché diavolo le avevo fatto quella domanda. DA DOVE MI ERA USCITA?
Ero certo che ci sarebbero state conseguenze.
"È abitudine impararli alla corte del Vasilus. Però io non ho mai voluto praticarli, credo di non avere talento. Tu?"
"Sinceramente? Stessa risposta."
La feci ridere. Era un bel suono la risata di Sibilla.
In quel momento però avvenne qualcosa di veramente grave, forse qualcosa che avrebbe davvero messo in pericolo il progetto per la pace.
Gulnius, dopo la fine del ultimo ballo si rivolse a tutti i presenti con l'amplificatore vocale del maestro d'orchestra: "Amici carissimi, in occasione del nostro primo vero incontro pacifico con Orissia, rappresentata nella persona della principessa Sibilla Lyriana, propongo una pacifica competizione. Una competizione nell'Armonia delle Sfere Celesti."
Quella delle Sfere Celesti era una danza basata sul muoversi anche in tre dimensioni seguendo le vibrazioni della radiazione cosmica di fondo, il tutto con un collegamento ad un elaboratore che proiettava tramite ologrammi delle immagini basate sulle emozioni della coppia, perché solo in coppia, maschio e femmina era possibile vivere veramente questa esperienza e più si era uniti, più si era anime gemelle, meglio la si compiva. Gulnius sapeva che per la legge orissiana la cosa era molto più seria e grave di un semplice divertimento, anche noi Roviani sapevamo che in realtà era qualcosa tendente al sacro perché aveva a che vedere con la natura dell'anima. Se Sibilla si fosse rifiutata sarebbe stato messo in dubbio il suo onore, se non avesse fatto qualcosa di eccezionale sarebbe stata una vera umiliazione per la sua cultura, in ogni caso avrebbe certamente deciso di tornare in patria molto presto. Dato l'entusiasmo dei presenti Sileus e mio padre, benché si rendessero conto della situazione, non potevano opporsi altrimenti anche questo avrebbe danneggiato Sibilla.
Il maestro dell'orchestra però si avvicinò a Gulnius e gli disse qualcosa. Non ne erano capaci, non sapevano come avviarsi a qualcosa di simile. Forse era fatta: se non era possibile eseguire l'Armonia nessuno avrebbe potuto rimproverare qualcosa a Sibilla. Accadde qualcosa di impensabile: il Magister Legionibus si fece avanti e alzò il braccio destro. Una luce intensa si accese sul lato destro del piazzale: era un teletrasporto, si era materializzato un gruppo di legionari che accompagnavano degli uomini con guanti, stivali e gambali in diamantifero, lunghi mantelli blu e oro che li coprivano anche con un cappuccio e che trasportavano degli strumenti. Erano vetusti, legionari troppo anziani per servire ancora nell'esercito e che svolgevano altri compiti per la legione. Indossavano delle maschere che coprivano totalmente il volto e non facevano traspirare nessuna espressione, uno di loro veniva mosso su una sedia mobile che proseguiva con delle barre magnetiche che la facevano fluttuare a pochi centimetri dal terreno, doveva essere davvero vecchissimo.
"I nostri maestri sono preparati. L'Armonia può cominciare" disse il Magister.
Avrei pensato che fosse in combutta con Gulnius e la sua congiura se non avessi sentito pensieri diversi da lui e dai suoi fratelli. Erano certi che Sibilla potesse riuscirci, anzi c'era qualcosa.... pensavano che fosse la sua occasione per dimostrare qualcosa.
"Bene dunque. Chi accompagnerà la principessa della seta?" chiese Gulnius ormai certo del suo successo.
Nessuno avrebbe osato proporsi come compagno di Sibilla in quella circostanza, significava rischiare un'umiliazione e anche il rancore del Re dei Re di Orissia e dell'Imperatore di Rovia. Non c'era bisogno di sondare la sua mente per capire che era sull'orlo della disperazione, e con lei anche la pace tra i nostri mondi. Fu il mio collo a girarsi da solo, ne sono certo.
"Principessa della seta Sibilla Lyriana, mi concedete l'onore di accompagnarvi nell'Armonia?" chi disse quelle parole? Chi si era inchinato per fare la domanda? Non io, vero? Eppure i miei occhi vedevano il pavimento e i piedi di Sibilla. Ero mica stato io? No, vero? Stavo supplicando di non essere stato io.
Sibilla guardò la piazza, i vetusti con gli strumenti pronti e i presenti, si voltò verso Ulira, l'ancella, la quale le fece un cenno di incoraggiamento.
"Con molta gioia" rispose in un sospiro.
Ormai era fatta, antichissimo motto valeriano dice: "O la va o la spacca". Niente di più vero per quella situazione. Mi alzai, mi misi al fianco sinistro di Sibilla per lasciarle l'onore della destra e poi scendemmo verso il piazzale.
Mio padre pensò qualcosa apposta per farmelo sentire: "Ci sono cose che non si possono improvvisare."
Ormai però era troppo tardi: eravamo al centro del piazzale, i vetusti sul palco pronti con gli strumenti, mi tolsi la corona e Sibilla diede ad Ulira il suo diadema, cosicché potessimo indossare altre corone metalliche, in realtà interfacce che avrebbero permesso all'elaboratore dei vetusti di leggere le nostre emozioni, un po' come il mio potere.
"Si comincia mani con mani" disse il Magister Legionibus.
Io e Sibilla alzammo le mani, le aprimmo davanti all'altezza delle teste e toccammo i palmi l'uno dell'altra. Era in pericolo, le nostre teste erano le uniche parti dei nostri corpi esposte, dovevo evitare che la mia pelle toccasse la sua altrimenti avrei potuto anche ucciderla.
Fu allora che sentii di nuovo il Canto della Creazione, mi capitava quando cercavo ispirazione e sembrò rispondere al mio bisogno. Sentii di nuovo la voce, mi diceva: "Guarda ciò che hai davanti" in quel momento avevo chiuso gli occhi, e anche Sibilla lo doveva aver fatto perché vidi chiaramente che li riapriva insieme a me. Le era scesa una lacrima dal volto, ma ora sembrava nuovamente calma e fiera, e tale mi sentivo io.
E fu buio.
Una musica lenta ma ritmica che diventava sempre più veloce. Iniziammo a camminare roteando sempre con le mani attaccate l'una all'altra. Si era riaccesa una luce blu, un occhio di bue che ci illuminava. Gli strumenti stavano riproducendo il Canto della Creazione, ne ero sicuro. Io e Sibilla avevamo trovato una buona armonia nei movimenti e c'era qualcos'altro, sembrava che venisse naturale fare certi movimenti che coincidevano perfettamente con le azioni dell'altro. Ad un certo punto iniziammo a volare. Erano dei campi di forza, campi magnetici su cui venivano fatte scorrere particelle che respingevano qualunque cosa dall'orbita degli elettroni, risultando invisibili ma solidi e capaci di assumere qualunque forma attraverso una tecnologia di controllo collegata alle nostre menti. All'inizio era come un piedistallo sotto di noi, una torre che si sollevava, poi però divenne come una nuvola che si separava in due frammenti, ma tutto si muoveva sotto il nostro volere, tutto era in armonia. Iniziarono ad accendersi altre luci, globi luminosi che fluttuavano e orbitavano intorno a noi, seguendo i nostri giri. Io e Sibilla eravamo separati in quel momento, con le braccia aperte a controllare quelle stelle che orbitavano intorno a noi. Ci ricongiungemmo e abbracciati, senza alcuna tecnica, o passo predefinito, giravamo semplicemente abbracciati, mentre le stelle correvano e si fondevano formando un fiume di fuoco. Non so spiegare cosa vedevo o provavo in quel istante ma mi sentivo davvero un tutt'uno con Sibilla e con lei muovevo quelle luci e quelle forze.
Tornammo in basso, al terreno. Io avevo più libertà di movimento e stringevo Sibilla, mentre lei iniziava ad allontanarsi e a tornare da me, ad un certo punto mi voltò le spalle e si lasciò cadere, io la presi e la sollevai verso l'alto, come per offrirla al cielo e lei tornò a sollevarsi verso il mare di fuoco che c'era sopra di noi, mi tenne la mano e dalla mia prospettiva sembrò davvero un angelo che mi portava in paradiso, mentre la musica aumentava il suo ritmo. Stavamo come nuotando nell'etere. Poi cambiammo forma: io ero una grande aquila, lei un serpente d'oro, io cercavo di afferrarla ma lei fuggiva nel mare di fuoco, poi il fuoco scomparve e venne la pioggia, colonne d'acqua che formavano come un palazzo di cristallo. Io la cercavo, la vedevo di sfuggita tra le colonne: era come un gioco, a ritmo di musica io dovevo prenderla. Lei era sfuggente, ma voleva essere presa e alla fine la raggiunsi afferrandole la mano, i suoi capelli investivano il mio volto mentre la sua risata si diffondeva nei dintorni. L'acqua scomparve e ci ritrovammo nella terra, una distesa di pietra infinita, e io iniziai a forgiare qualcosa, mentre Sibilla tesseva. Era come un sogno e la musica continuava a segnare i nostri movimenti e le nostre azioni. Eravamo noi a scegliere cosa fare e come fare, e tutto ci riusciva perfettamente. Io le misi al dito un anello, lei mi avvolse con un mantello purpureo, poi quel mantello divenne un paio di ali con cui presi il volo, ma l'anello era una catena che la legava a me e le permetteva di seguirmi. Con quella catena e le ali rimanemmo uniti in un grande uragano, mentre intorno a noi ogni cosa era distrutta ma ai nostri movimenti corrispondeva la tempesta e gli uragani seguivano le vie che noi indicavano. A quel punto fummo investiti da qualcos'altro: una musica ancora più potente, ancora più bella, e vedemmo delle sfere che orbitavano intorno ad una grande luce.
Poi scendemmo, toccammo terra e ci muovemmo ancora, seguendo la musica e rimanendo uniti e con una totale sincronia dei movimenti e io sostenevo Sibilla che era ad un millimetro dalla mia bocca. Allora la musica, gradualmente, cessò. Sorgeva l'alba.
Avevamo abbandonato la percezione del tempo uscendo dalla sua imposizione, un secondo era stato lungo come una vita e una vita come un secondo.
Avevamo compiuto qualcosa di incredibile per cinque giorni e cinque notti. Avevamo raggiunto e ottenuto la vera Armonia.
Cademmo a terra stremati, mano nella mano.... penso che siano venuti a soccorrerci, non so dire chi. Faceva freddo. Dormimmo.

Le memorie dell'Imperatore CarosDove le storie prendono vita. Scoprilo ora