La principessa più bella di ogni stella

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Il Regno dei Soli Allineati era lo Stato più antico esistente, tanto che le sue origini si perdevano nel mito, era retto da una monarchia assoluta e il sovrano, con il titolo di Jaffà, era considerato un vero dio che passava ad incarnarsi di generazione in generazione, figlio del dio delle stelle e del buio e intermediario tra gli uomini e gli dei, un pantheon di quarantamila divinità e un patrimonio culturale enorme. Il loro mondo capitale era il pianeta Adok dove vivevano il Jaffà, la sua corte e la sua famiglia, così Adok era diventato il nome con cui tutti i popoli della galassia, compresi i Roviani, chiamavano la gente di questo paese. Per via del rosso intenso della loro carnagione gli Adok erano detti anche "rossetti" ma era considerato un termine da non utilizzare per educazione. Ad ogni modo gli Adok erano una società rimasta uguale a sé stessa per migliaia e migliaia di anni e il loro progresso tecnologico era lento e spesso portato avanti per imitazione, non ne avevano bisogno in realtà perché i loro mondi erano talmente ricchi di risorse che vivevano quasi tutti nel lusso e spesso ingaggiavano eserciti di mercenari per la loro difesa. Non erano rare le lotte interne alla famiglia reale per il trono e Sileus era intervenuto proprio durante una di queste dispute favorendo un giovane principe che divenne il Jaffà Torekoss XXXVII che avremmo incontrato pochi giorni dopo il nostro ingresso nel suo regno. Il debito che Torekoss aveva accumulato presso Sileus per diventare Jaffà era talmente elevato che tutti i Soli Allineati erano diventati praticamente uno Stato vassallo di Rovia da cui dipendevano militarmente e gli Adok erano fonte di grande reddito per i mercati dell'Impero.
In quel momento stavo chiedendo perdono al Redentore per la mia rabbia nei riguardi di quel popolo.
Passammo il confine entrando in un sistema chiamato Ortaias, un luogo piuttosto arido, il suo mondo era composto da due stazioni in orbita attorno ad un gigante gassoso di piccole dimensioni, non più di centomila abitanti. Era presente una piccola guarnigione di legionari che sorvegliavano il passaggio strategico da quel settore. Il capo della comunità locale comunicò che era un grande onore il nostro passaggio in quel territorio e benedì la nostra impresa. Le nostre navi legionarie facevano davvero una grande figura e dovevano suscitare un certo timore, ma ormai tutti gli Adok erano abituati a vedere le legioni roviane attraversare in lungo e in largo il loro territorio e si illudevano che fossero sottoposte alla magnificenza del Jaffà. Ci sarebbero voluti altri due giorni per arrivare su Pitonia, durante i quali avremmo assistito alla partita del campionato imperiale, Leriano e Mirus erano già pronti sul piede di guerra e ognuno aveva i suoi seguaci.
La piazza al centro della nave era un luogo perfetto per la partita e i tecnici furono efficienti nel posizionare le panche e le scalinate per gli spettatori e, la sera del incontro furono migliaia i membri del equipaggio e i passeggeri che si sedettero ad osservare i giocatori riprodotti olograficamente scendere in campo e prendersi le ovazioni, dopo l'inno dell'Impero i due capi squadra si scambiarono una stretta di mano e la bandiera della rispettiva squadra.
Una volta preso posto l'arbitro entrò in campo e pose la palla al centro del campo la quale iniziò a brillare di una luce blu, erano fibre e sensori che riconoscevano il giocatore che la toccava, avrebbe assunto i colori della squadra del ultimo a colpirla.
I sei sconciatori si misero in posizione davanti agli altri membri della squadra, per tradizione il capitano è il portiere, ma non è sempre così, nessuna regola lo impone.
Ad ogni modo quando fu avviato il fischio d'inizio gli sconciatori si lanciarono in avanti aprendo dei varchi tra gli schieramenti avversari, uno dei giocatori cratoriani prese la palla calciandola al indietro verso gli altri giocatori mentre le aree con le porte venivano innalzate verso l'alto e iniziavano a muoversi in su e in giù per tutta la parete seguendo uno schema, subito dopo i giocatori cratoriani passarono la palla al loro portiere che la tenne stretta tra le mani. Suonò una sirena, tutti si piegarono sulle ginocchia, al suono di un'altra sirena i giocatori saltarono in alto e fu un salto enorme perché era appena stata tolta la gravità e dei solidi rettangolari furono inseriti in tutto lo spazio di gioco. Le tute dei giocatori erano dotate di ganci magnetici e di ammortizzatori per muoversi con grande destrezza e sicurezza tra le strutture, ovviamente avevano dei caschi che però erano dotati di visiere trasparenti così che i loro volti fossero visibili. Per legge, non so perché ma si può immaginare, ogni squadra poteva avere solo giocatori del suo mondo natio e questo spingeva molti ad allenarsi e ad essere orgogliosi dei propri campioni.
I Cratoriani avevano ancora la palla e il loro portiere la lanciò verso uno dei giocatori appostato su uno dei solidi sospesi che roteò sul angolo colpendo il pallone che divenne verde e viola lanciandolo verso un compagno di squadra appostato dietro lo schieramento avversario. Uno dei Roviani era pronto ad intercettare la palla ma uno degli sconciatori cratoriani salì dal basso e colpì in pieno la pancia del avversario con il casco sparandolo via mentre il pallone continuava la sua corsa e veniva intercettato dal Cratoriano. Una volta in senza gravità il pallone può essere preso con le mani, ma è gol solo se lanciato in porta con un calcio o una testata.
"Quel colpo è stato incredibile- disse Sibilla- ma non si sarà fatto male?"
"Certo che si è fatto male- dissi io- molti finiscono al lazzaretto per questi scontri, ma le tute difendono bene il corpo dei giocatori e gli sconciatori sanno di esagerare ma sono tutti rischi del mestiere accettati. Da sapore al gioco."
"Quello è il miglior sconciatore di tutto l'Impero- disse Leriano con entusiasmo- si chiama Clarone e da solo è mezza squadra!"
"Ma quale mezza squadra?- intervenne Mirus- quello da solo è mezzo matto! L'ultima partita: in sette sono finiti al ospedale per colpa sua!"
Uno dei Cratoriani era nell'area di tiro, doveva stare attento perché la porta si muoveva e il portiere era agganciato ad essa. Appena credette che il momento fosse giunto mollò il pallone e gli diede un forte calcio.....
Parata, con un colpo di reni il portiere dei Lupi di Rovia aveva respinto la palla verso il centro del campo che ora schizzava brillando di un blu e rosso. I Roviani riuscirono a passarsi il pallone ed ebbero via libera perché i Cratoriani erano andati tutti in attacco. Un Roviano tirò il pallone con un colpo di testa prima che uno sconciatore calasse su di lui travolgendolo verso il basso, fu inutile: la palla passò il portiere ed entrò nel rettangolo mobile segnando un punto per i Roviani.
Mirus e i suoi si alzarono gridando a squarciagola.
Leriano e i suoi passarono ad incitare con maggior foga e presto furono accontentati. I Cratoriani misero in atto uno schema di accerchiamento e si passarono il pallone facendolo rimbalzare tra i blocchi e anche sulla testa di uno sconciatore nemico. Il forte Clarone calò dal alto colpendo sulla schiena con i piedi un altro giocatore in difesa, il portiere si lanciò ma la porta era in movimento e il pallone entrò in essa.
Leriano lanciò in aria una bottiglia iniziando a cantare l'inno della sua squadra, poco prima di abbracciare Uliria che stava esultando. Mirus era in depressione..... ma si sarebbe presto rifatto. Alla fine i Lupi di Rovia vinsero due a uno, ma fu una partita davvero molto, molto, molto accanita.
Io mi ritirai per dormire abbastanza presto mentre la musica della festa che Mirus e i suoi avevano iniziato.
Dormii quella notte, senza però togliermi dalla testa il fatto che presto avrei visto il Jaffà.
Passarono altri tre giorni di viaggio e poi saltammo nel sistema di Pitonia dove il comitato di benvenuto degli Adok ci stava aspettando.
Le navi da guerra degli Adok erano costruite in maniera abbastanza simile alle navi legionarie: erano lunghe, con una testa triangolare su cui era montato il cannone a fusione rosso e due braccia a metà corpo dove erano montate le darsene e due cannoni oculari costruiti sul modello di quelli roviani, erano lunghe circa sei chilometri, meno possenti di quelle roviane ma più veloci nello spazio. Se ne videro circa tremila schierate in parata davanti al pianeta verde e blu con le città che brillavano sul lato notturno.
La Saulus e la nostra flotta si diressero in mezzo agli schieramenti formati dalle navi Adok verso Pitonia. Ci informarono che il Jaffà era già sul suo palazzo sul pianeta e preparava il banchetto del nostro benvenuto. Sarebbero stati tre giorni massacranti ma anche piacevoli sotto certi aspetti, gli Adok erano famosi per le loro feste molto vivide ed elaborate.
Sbarcammo con una navicella e fummo scortati da un gruppo di caccia adokesi dalla forma molto allungata, erano obsoleti ma molto eleganti. La città sotto di noi era enorme, si trattava di Pi Torekoss, letteralmente "Città di Torekoss" in quanto capitale del pianeta e residenza del sovrano durante le sue visite, la radice "Pi" restava immutata, ma il nome veniva cambiato in base a quello del Jaffà in vita. Pi Torekoss si estendeva per tutta una grande vallata e aveva un ampio porto, cinque grandi piramidi si stagliavano al suo centro collegate da una grande strada illuminata che dava la forma di una W perfetta. Non erano monumenti funebri ma la residenza del Jaffà sul pianeta Pitonia: la piramide al centro era la sua casa, le altre costituivano l'harem, gli alloggi degli ospiti, una per gli affari di Stato, una era il porto dei veicoli e così via.
Poco più verso l'entroterra vi dico un edificio meraviglioso che avrei voluto con gioia visitare: un palazzo ottagonale con una collina al centro, illuminato da sette grandi torce su cui veniva fatto bruciare perennemente un gas portato da tutto il pianeta. Era la grande biblioteca di Pitonia, uno degli archivi di sapere più ricchi e famosi del intero Ecumene. Per gli amanti del sapere, quello era un luogo unico e sacro.
Atterrammo sulla piramide con aeroporto, una grande terrazza adibita all'accoglienza dei veicoli e delle folle, come quella che si era radunata per noi. Erano diverse centinaia di persone con lunghe tuniche bianche e gialle, abiti piuttosto elaborati, quasi tutti avevano dei copricapo e tutti erano di etnia adokese, almeno da quello che potevo vedere.
Sbarcammo, io e Sibilla camminavamo di pari passo, lei stava alla mia destra e i nostri seguiti erano allineati, ognuno a seguirci. Mirus era entrato bene nella parte, aveva un portamento molto solenne e si mostrava a tutti gli effetti come mia guardia del corpo con la toga rossa militare che ricadeva perfettamente sui suoi movimenti e la sua forma, Leriano dal canto suo era tranquillo, con una toga nera elegante abbinata ad una camicia bianca e al nero dei pantaloni. Negli ultimi tempi era diventato molto più educato, e sapevamo benissimo il perché. Credo che lo abbia capito pure tu Lettor.
Ricevemmo il saluto delle guardie reali dotate di un'armatura a piastre color rame e degli elmi di color zaffiro con delle visiere in cardonite trasparente che costituivano uno schermo per le analisi tattiche e le comunicazioni. Il loro comandante aveva un grande mantello, una corazza più elaborata e una grande scimitarra in diamantifero. Era molto alto e muscoloso, più di Mirus, ma la sua mente mi diceva che non era così sicuro di sé stesso e dei suoi uomini.
Molti dei presenti portavano delle grandi insegne su cui era riprodotto "l'Occhio del Jaffà", il simbolo del regno: un grande occhio privo di ciglia da cui si irradiavano raggi di luce in tutte le direzioni, era d'oro su sfondo blu. Intorno ai portatori delle insegne diversi nobili, funzionari, servitori e lì, in mezzo ai pomposi rossetti, alcune persone di etnie diverse, con belle tuniche ma anche con collari metallici intorno al collo. Era la prima volta che vedevo degli schiavi, era dai tempi dei Valeriani che su Rovia e Orissia non se ne vedevano, le macchine li avevano resi inutili e quindi la moralità dei nostri popoli aveva proibito questa pratica di sottrarre la vita di una persona e tutte le grandi religioni proibivano la schiavitù. Gli Adok erano tra coloro che usavano schiavi per i lavori domestici, la manutenzione dell'industria, e per il piacere. Un altro motivo per odiarli, una civiltà così non merita comprensione. Il Redentore mi perdoni, ma non potevo fare a meno di pensarlo in quel momento.
In seconda fila c'erano moltissime donne di tutte le età, le donne adokesi hanno fama di essere bellissime e quel giorno vedemmo che non era un'esagerazione: erano tutte di una bellezza straordinaria, con abiti tra il rosso e il bianco ornati con diversi tipi di gioielli che lasciavano scoperte le spalle, le braccia e le gambe dalle ginocchia in giù, indossavano tutte dei sandali di vari colori, a differenza degli uomini, tutti calvi, le donne adokesi avevano dei capelli di un nero intenso, corti, a caschetto, ornati con nastri, fiori o piccoli cerchietti. I loro volti, molto truccati, avevano uno sguardo intenso, nessun sorriso, ci stavano valutando.
Ed eccolo lì: il Jaffà Torekoss era seduto su un trono sospeso con la levitazione magnetica, indossava la sua corona cerchiata: una forma sferica con tre cerchi a circondarla, era la corona circolare realizzata sul modello di Bucul, il gigante gassoso del sistema Veginis dotato di tre anelli, uno al equatore e gli altri due sui poli. Si trovava nello stesso sistema di Adok e aveva una simbologia precisa: Bucul rappresentava il dio delle stelle e del buio, sovrano degli dei e creatore del universo, padrone del ordine, mentre Adok il dio terreno suo figlio che si incarnava nel Jaffà. La corona costruita sul modello del pianeta gigante era il modo del Jaffà di avvicinarsi al suo divino padre e simbolo del suo potere di vita e di morte su tutti gli abitanti del paese.
Che superbia, sarebbe arrivato il momento in cui i Jaffà avrebbero capito di essere solo carne e sangue.
Torekoss scese dal suo trono, era piuttosto anziano anche se più giovane di Sileus, comunque appariva più debole, appena fu in piedi tutti gli Adok si prostrarono a lui, portava due scettri incrociati davanti al suo torace, li fece sbattere realizzando un tintinnio, il segnale convenuto perché tutti sapessero che avevano il permesso di alzarsi.
"Benvenuti- disse Torekoss nella sua lingua con due interpreti che traducevano, uno in vilino e uno in orissiano, anche se io e Sibilla conoscevamo la sua lingua e percepivamo la sua mente- i figli della potente Rovia e della magnifica Orissia, la vostra visita nel mio regno è per me motivo di grande gioia e di onore per il mio popolo."
"Con gioia vi salutiamo nobile Jaffà- dissi io- come sempre vi porto i saluti di tutta Rovia."
"E l'ottimo Sileus, potente e pacifico Imperatore, come procede nelle sue opere?"
Cortesia mascherata, non peggiore di altre cose già viste da politici vari, in fondo Torekoss ricordava che era stato grazie a Sileus che ora indossava quella strana corona.
"La sua salute è forte e continua con il suo lavoro di assicurare pace e ordine" risposi.
"La notizia della morte di suo figlio, vostro padre, è giunta fino al nostro orecchio, una perdita molto grave e dolorosa. Ci ha causato grande tristezza, anche su Adok è risaputo che Licario figlio di Sileus era un uomo giusto."
Assurdo: stava pensando davvero quello che diceva! Un membro della sua famiglia, ma non lui. In effetti Torekoss era sempre stato un pavido senza iniziativa, doveva essere stato per forza qualcuno con del vero potere ad aver organizzato tutto. Dovevo cercare e capire ancora.
Torekoss passò poi a salutare Sibilla e poi invitò tutti noi verso gli ascensori che, seguendo l'angolo della piramide, ci avrebbero portati ai treni magnetici sulla strada. Quei mezzi ci avrebbero condotti verso la piramide dei ricevimenti.
Durante il viaggio in treno il Jaffà rimase con noi intrattenendo gli ospiti e anche altri della corte iniziavano a parlare con noi e a tessere contatti e legami. Notai un uomo molto più anziano degli altri, aveva una tunica bianca con delle linee azzurre che osservava me e Sibilla, aveva un copricapo bianco e l'occhio destro completamente cieco. Aveva un bastone con una sfera d'oro sulla punta e due strisce d'oro che correvano a spirale fino a metà del bastone. La sua mente guardava a me e a Sibilla, ma c'erano molte altre persone che coprivano quei pensieri, avrei dovuto conoscerlo più avanti.
Arrivati alla piramide prevista scendemmo dal treno e salimmo sugli ascensori che ci portarono in una sorta di salone intermedio al centro della piramide su cui si aprivano quattro grandi terrazze, con un ampio giardino interno e delle fontane, c'era un grande tavolo su cui era stata imbandita una grande quantità di cibo e bevande. Ognuno aveva un suo posto prefissato mentre io Jaffà con il suo tavolo avrebbe fluttuato sopra di noi. Eravamo io, Mirus, Leriano ed Eregesius per Rovia mentre Sibilla era con Uliria, due Zalamite e un'altra ancella dello stesso mondo di Uliria che conosceva abbastanza bene la lingua di Adok. La cena iniziò con varie portate di cibi molto speziati, erano presenti molti funghi che su Pitonia crescevano in abbondanza, tutto accompagnato da pollame che per gli Adok era considerato un cibo nobile. Erano presenti focacce e anche molte gelatine. I camerieri erano tutti schiavi simili a quelli che avevamo visto al arrivo, erano di un'etnia particolare, una pelle pallida e tendente al grigio, segno di un'umanità che si era adattata ad un mondo vicino al Nucleo, forse gli Adok li avevano sottomessi migliaia di anni prima del incontro con Rovia. Decisi di scoprire di più su di loro, ma non era il momento.
Il cibo era particolarmente buono e vedemmo gli Adok che si ingozzavano con molta avidità. Da dire che su Rovia o su Orissia sarebbero stati considerati dei maleducati a mangiare con tanta foga per loro invece era normale, un'idea derivata dal vivere in un mondo originariamente arido. Differenze culturali.
Ogni posto aveva un campanello elettronico collegato ad uno degli schiavi che, appena sentiva il suono, correva rapidamente dalla sua persona a ricevere l'ordine. Il Jaffà continuava a fluttuare e roteare sopra di noi mangiando placidamente e osservando le varie conversazioni di cui era spesso oggetto, era fastidioso e noi lo trovavamo anche piuttosto ridicolo.
Ad un certo punto suonai il mio campanello e uno degli schiavi venne verso di me per poi piegarsi sulla spalla destra senza osare guardarmi.
"Un calice di vino e del pane da spezzare per favore" gli dissi a bassa voce in adokese.
Quello subito schizzò via e tornò poco dopo con vino, pane, carne affumicata e del formaggio molle. Incredibile: gli antichi codici erano ancora vivi, quegli schiavi erano Redenziani come me, prigionieri che nascondevano la loro religione con codici segreti antichissimi e che ora avrebbero saputo di avere un alleato.
Anche Mirus e Leriano conoscevano il codice e capirono. Condividemmo quel cibo tra noi e con Sibilla per poi brindare in onore del maggiore dei valori.
Guardai il Jaffà che fluttuava sopra la tavolata, poi il mio sguardo si spostò su tutti i commensali: era tutto così effimero, così opulento e falso.... il Regno dei Soli Allineati, se era tutto così non valeva la pena lasciarlo procedere.
Chiamai di nuovo lo schiavo per fargli una domanda: "Chi è quel uomo seduto al lato opposto del tavolo? Laggiù vicino alla fontana con il bastone dorato?"
Lo schiavo alzò leggermente lo sguardo per vedere chi indicavo e riabbassò gli occhi subito dopo.
"Basuross il saggio, mio signore, un fratello del Jaffà, è custode della sapienza in quanto grande maestro della biblioteca di Pitonia, quando il Jaffà non è presente egli è il principe di questo mondo. È conosciuto per essere il più sapiente del Regno dei Soli Allineati."
Una risposta sufficiente, ora volevo conoscerlo.
Ad un certo punto il Jaffà premette un tasto del suo trono e si sentì così un campanello con un suono più distinto. Tutti rimasero in silenzio e guardarono in alto mentre il trono volante del Jaffà si posizionava davanti a tutti noi e gli schiavi iniziavano a distribuire dei calici contenenti un altro tipo di vino.
"Onorevolissimi ospiti- iniziò il Jaffà- questa sera la nostra tavola è onorata dalla presenza di due eredi dei più nobili popoli della galassia: il futuro Imperatore di Rovia e una principessa di Orissia. Questa sera noi li accogliamo nel nostro eterno regno affinché vedano che il popolo di Adok è tanto ricco quanto generoso. Beviamo insieme l'ultimo vino."
L'ultimo vino, in quel momento non sapevo cosa fosse, si diceva che si trattasse di una nobile bevanda riservata al Jaffà e ai suoi ospiti. Però c'era qualcosa di strano: tutti gli Adok invitati sembravano estremamente eccitati per ciò che stava per accadere.
Lo schiavo che mi diede il bicchiere da dietro mi sussurrò: "Non bere mio signore.... ti farà cadere nel peccato."
Si allontanò subito e io guardai Sibilla: la sua schiava le aveva detto la stessa cosa. Ci vedevano come fratelli e loro signori e volevano aiutarci, proteggerci da qualcosa che sapevano essere pericoloso. Il Jaffà scendeva intanto, i magneti del suo trono perdevano energia e lui andava ad occupare il posto tra me e Sibilla.
Io e lei ci scambiammo uno sguardo di intesa dopo aver osservato il bicchiere.
Mi rivolsi ai miei amici e pensai intensamente, sforzandomi di proiettare i miei pensieri verso di loro, gli proiettai: "Fate finta di bere..... non gettate giù nemmeno una goccia..... alzate l'indice se avete capito."
Non era stato facile ma, dopo un attimo di smarrimento, i miei amici alzarono l'indice rapidamente, tranne Eregesius che non aveva capito il perché della mia voce nella sua testa, la prese per un'allucinazione e bevve quando fu il momento. Sentii da lui che non era un vero e proprio vino ma una sorta di succo molto dolce e dal colore di un marrone scuro.
Dopo questa bevuta sembrò tutto normale, io, Sibilla e i nostri amici avevamo fatto solo finta di bere ma sapevamo di doverci comportare come se niente fosse, non potevamo sapere come avrebbero reagito gli Adok se non avessimo bevuto.
A dire il vero lo scoprimmo presto perché qualcuno accusò il grande maestro Basuross di aver posato il calice.
"Mio buon fratello- disse il Jaffà- lo sai che se non bevi non sei benvenuto al resto della sera."
Il maestro, senza dire una parola prese il bastone e si alzò con uno schiavo che correva ad aiutarlo e a sostenerlo. L'anziano stava provando disprezzo e vergogna per il suo popolo e la sua famiglia, quel evento in arrivo non gli piaceva. Fece un inchino al Jaffà e, senza dire una parola, se ne andò.
"Ancora una volta il maestro Basuross preferisce i suoi libri alle bellezze della vita" commentò il Jaffà avviando risate di scherno tra gli invitati. Notai che anche Ergesius stava ridendo, la droga cominciava a fargli effetto.
Poco dopo i tavoli calarono nel pavimento, non erano naniti, semplicemente scesero in uno scomparto al piano inferiore. Gli schiavi introdussero poi degli strani divanetti rossi e li posizionarono davanti ai commensali per poi agganciare ai braccioli delle sedie delle lunghe manette d'oro.
"Altezza che significa tutto questo?" chiese Sibilla rivolta al Jaffà.
"Un grande onore- rispose il sovrano mentre si ammanettava al trono e si alzava verificando che la catena fosse abbastanza lunga da permettergli di raggiungere il divanetto- pochi stranieri possono assistere a questa nostra tradizione..... le catene sono per assicurarsi che nessuno finisca troppo presto lo spettacolo..... e anche per sicurezza."
Cosa voleva dire? La sua mente era molto confusa dagli effetti della droga ma stava pensando chiaramente al piacere. Era molto difficile comprenderlo in quelle condizioni, in ogni caso tutti si stavano ammanettando e tutti comprendevano che era importante. Decidemmo di adattarci e chiudemmo la catenella d'oro facendo un cenno ai nostri seguiti che fecero altrettanto anche se Mirus e le Zalamite, tutti guerrieri sempre all'erta, si guardarono intorno preparandosi anche a lottare se necessario.
Uno degli schiavi mi portò un piccolo cofanetto e il Jaffà mi invitò ad aprirlo: conteneva un fiore modellato nel oro.
"A te..... Coimperatore..... il privilegio.... di.... di donare quel fiore.... alla principessa più bella di ogni stella" disse il Jaffà abbandonandosi totalmente agli effetti del ultimo vino.
Allora iniziò ad essere suonata una musica lenta e ritmica e si aprirono delle prese d'aria sulle pareti mentre delle pesanti saracinesche si chiudevano sulle terrazze lasciandoci isolati dal mondo esterno.
Fecero il loro ingresso delle ragazze che si schierarono davanti a noi, erano tutte abbigliate allo stesso modo: i capelli neri e corti fino alle spalle con dei nastri d'oro che cerchiavano la testa, un ciondolo di oro e zaffiro con l'occhio del Jaffà, una tunica di veli trasparenti che lasciavano ben poco all'immaginazione, si vedeva chiaramente che indossavano una sorta di bikini nero con intarsi in oro e pietre preziose, camminavano a piedi nudi ma avevano tutte una piccola cavigliera sulla caviglia destra simile ai braccialetti sui polsi sinistri.
Erano almeno una per ogni invitato, o meglio per tutti i commensali meno uno. Le ragazze alzarono le braccia e incrociarono i polsi. A quel punto la musica si fermò e le fanciulle rimasero immobili come statue, le loro menti erano molto concentrate.
Dalle prese d'aria si sparse una nebbia rosa che presto riempì l'intera sala, mi sentii confuso, doveva essere un altro tipo di droga da combinare con l'ultimo vino, ma quella non potevamo evitarla, presto mi sentii davvero disorientato e lo stesso valeva per gli altri, ma chi aveva bevuto l'ultimo vino era molto più preso di noi. Iniziò la musica, dei colpi di tamburo al ritmo dei quali le ragazze fecero ondeggiare i bacini dimostrandosi non solo atletiche ma anche ben coordinate. Quei movimenti furono ripetuti tre volte, subito dopo le braccia furono abbassate lungo i fianchi, ondeggiando negli abiti ampi e trasparenti. Si separarono in due linee e rivelarono un'altra ragazza voltata di spalle, aveva una piccola corona con dei fili d'oro e perle blu che calavano sui suoi capelli leggermente più lunghi rispetto a quelli delle altre, indossava una sorta di costume ad un pezzo con dei filamenti che scorrevano su di esso dai quali partivano piccoli lampi di luce viola. In quel momento ancora non sapevo che quelle frequenze luminose erano studiate apposta per innescare reazioni in alcune aree del cervello, tra cui quelle preposte al autocontrollo e al piacere. Ogni cosa in  quella sala era predisposta al puro e semplice edonismo. Mi resi conto che quelle manette servivano davvero per evitare che qualcuno saltasse addosso a quelle danzatrici.
La ragazza al centro si voltò lentamente mostrando degli occhi grigi con uno sguardo intenso e di sfida chiuso dentro una maschera d'oro che copriva gli zigomi. A quel punto iniziò la danza vera, un motivo veloce e convulso con un ritmo crescente.
La ragazza con la maschera d'oro avanzava sinuosa ma allo stesso tempo eretta con le altre che la seguivano formando due file, ognuna di loro guardava avanti, ma lei, la prima danzatrice, mi stava guardando e la sua mente mi diceva che puntava a me e che contava sugli elementi messi a sua disposizione perché quel fiore fosse dato a lei. I feromoni, le luci e le altre droghe che probabilmente erano state messe anche nel cibo ci stavano appannando i sensi e tutti noi eravamo persi nel guardare quelle fanciulle e i loro corpi che si muovevano ritmicamente tra quei vapori rosa al ritmo di quella musica martellante.
Ad un segnale convenuto le danzatrici si tolsero i veli e continuarono a muoversi ritmicamente danzando in maniera coordinata dietro la prima danzatrice. La musica diventava sempre più veloce e i movimenti sempre più frenetici, mentre gli abiti delle danzatrici continuavano ad emanare lampi di quella maledetta luce che ci rendevano sempre più ipnotizzati.
Si muovevano ondeggiando bacino e glutei, mostravano l'abilità e la corporatura leggera e atletica ma allo stesso tempo forte derivata da costante esercizio e allenamento, oltre a tutto ciò ognuna di esse scelse un obbiettivo a cui esporre le sue forme e gesti lascivi che indicavano un'istintiva abilità. Non so dire quanto tempo passò, ma ero davvero inebriato e non riuscivo più ad essere lucido, quei corpi che ondeggiavano emanando quei dannati lampi erano l'unica cosa che aveva senso per me..... eppure mi sentivo in trappola.
Le danzatrici si schierarono in due linee, la ragazza con la maschera d'oro era al centro e fece dei gesti con le mani, aveva dato il via alle altre che corsero verso i commensali, e iniziarono a danzare in maniera individuale, ormai prese da un'euforia incontenibile pur mantenendo un maggior controllo rispetto a coloro che avevano bevuto l'ultimo vino. Credo, anzi penso di poter affermare, di aver visto qualcuno che cercava di saltare verso il divanetto venendo fermato dalla catena.
Lei veniva verso di me lentamente, era come una cacciatrice e aveva scelto me come sua preda. Quella ragazza era davvero perfetta, nella sua forma, nei suoi movimenti, nel suo respiro e quei lampi di luce dal suo abito mi stava trapanando il cervello. Vidi che alcune delle danzatrici erano intorno a Sibilla e al suo seguito.... credo che le stessero distraendo. Su Rovia e Orissia simili atteggiamenti sono inaccettabili, ma eravamo tutti sottomessi da quelle maledette sostanze. Il Jaffà stava già tirando a sé la danzatrice davanti a lui e lo stesso stavano già facendo tutti gli altri. Quella ragazza con la maschera d'oro era la vera regina di quella situazione, ogni cosa sembrava sotto il suo dominio e la sua volontà, ma la sua mente mi diceva che anche lei era schiava di ciò che stava accadendo. Era la situazione più eccitante che avessi mai provato ma la vedevo comunque come.... un'aggressione.
Lei continuava ad avanzare, scavalcò con la leggiadria di una gatta quel divanetto avanzando verso di me, continuava a muoversi lentamente con quel ritmo, quella musica che continuava a farla muovere, in maniera lenta ma decisa.
Si chinò verso di me, i suoi freddi occhi a due centimetri dai miei.
"Nessuno ti comanda- sussurrò- questo è il dominio di mia madre Bahaser, la dea della passione, che vive in me."
I miei sensi erano offuscati, non leggevo bene la sua mente, ma sentivo che pensava al suo nome e al fiore che mi era stato dato.
"Chi sei?" chiesi in un sussurro.
"Io sono Alcania, figlia del Jaffà..... incarnazione di Bahaser...." disse lei sempre più vicina mentre si appoggiava al mio seggio.
Il Canto della Creazione, lo sentii di nuovo, mi risvegliava i sensi, ma ero ancora inebriato. Mi voltai e, subito oltre i Jaffà, vidi Sibilla, praticamente imprigionata da quella catena a da altre adokesi, volevano umiliarci, era il loro scopo, il senso di tutto ciò che stavano facendo.
"Octopon- sentii dire a Sibilla- Octopon...."
Non riusciva a dire nient'altro. Io tornai a guardare Alcania, il Canto era sempre più forte e ormai ero sempre più sveglio e infuriato.
"Io sono tua- diceva Alcania con quella sua voce lenta e dolce come miele- e tu sei mio.... ora e per sempre."
Il Canto mi ispirò collera e il mio potere aumentò la mia forza, ma furono la presunzione e l'arroganza di quella ragazzina a farmi alzare spezzando la catena al mio polso.
"SMETTILA!"
Non lo avevo detto, lo avevo pensato, ma tutti mi sentivano e ne rimanevano paralizzati, ma solo Alcania era abbastanza diretta da comprendere cosa dicevo, era caduta a terra e cercava di capire cosa stesse succedendo.
"TU- continuava la mia mente- tentami pure quanto vuoi.... ma il mio cuore non lo avrai mai! HO GIÀ TROVATO LA MIA ANIMA!"
Detto questo aprii la sesta dea destra che brillò come una spada di fuoco. Bellissimo e terribile balenarono nella mente della principessa adokese.
Mi diressi contro il Jaffà, ma non era in condizioni di preoccuparmi, mi avvicinai a Sibilla e tagliai quella maledetta catena, lei si alzò e iniziò a liberare le sue ancelle, io mi diressi verso i miei amici, a vedermi le danzatrici si spaventarono e si allontanarono mentre tagliavo la catena di Mirus, quella di Leriano e quella di Eregesius che era avvinghiato ad una delle ragazze. Era completamente andato e privo di autocontrollo. Fu Mirus ad afferrarlo e a portarlo via.
Uliria premette il pulsante per aprire la porta del salone e uscimmo tutti, c'erano dei servitori fuori dalla sala, alcuni funzionari della corte, uno di loro si avvicinò preoccupato della nostra uscita più della nostra reazione.
"Onorevolissimi ospiti- disse- è successo....?"
"SILENZIO!- gridai- Noi adesso andiamo via! Dica al Jaffà che.... porterò i suoi saluti a Sileus!" una minaccia ben velata in puro stile roviano. Sibilla fu più diretta e inferocita: "Voglio che il Jaffà sappia- disse con rabbia- che il Vasilus, l'Unico lo regga allungo, sarà informato di questo affronto!"
Detto questo andammo via incamminandoci verso gli ascensori mentre Mirus chiamava il capitano della Saulus per organizzare il teletrasporto.
Sentii qualcosa però, mi voltai verso un corridoio e vidi lo schiavo del maestro Basuross che mi faceva cenno di avvicinarmi, sentivo da lui che era sinceramente importante.
"Aspettatemi qui" dissi.
"Dove vai?" chiese Sibilla.
"Torno subito."
"Octopon- disse Mirus- questo è un covo di pazzi pervertiti...."
"Se osassero farmi del male Rovia e Orissia collaborerebbero con gioia per radere al suolo tutto questo. Lo sanno bene. Arrivo subito!" dissi andando verso quel corridoio con Sibilla che mi seguì, le sue ancelle rifiutavano di lasciarla sola, insomma vennero tutti, e i miei amici disubbidirono al mio ordine, erano leali e preoccupati, anche se li avevo appena liberati.
Quando arrivammo nella sala alla fine del corridoio vedemmo il maestro Basuross che si avvicinava a me, aveva pensieri di vergogna e umiltà.
"Mio padre- disse- mi ebbe da una schiava, per questo mi mandò via da Adok facendomi crescere su Pitonia. Arrivai qui, su Pitonia, quando avevo un anno e mezzo. Da allora non ho mai lasciato questo pianeta."
"Cosa stiamo facendo qui? Dovremmo andarcene, subito!" disse Mirus.
"Qui ho imparato ad amare la storia del mio popolo. Che meraviglia che era..... com'era bello ciò che il nostro popolo ha costruito in settemila anni di storia.... eppure lo abbiamo buttato via, distrutto tutto per.... avete visto per cosa....! Ciò che Rovia, giustamente, disprezza."
Quel vecchio aveva una mente molto diversa da quella del Jaffà: era triste e sincero.
"Quali sono le tue storie?" gli chiesi. Era una formula tradizionale adokese che indicava la mia totale attenzione, mi guardò lieto della mia conoscenza della tradizione.
"È proibito- disse- dal Re del Universo vedere il futuro, tranne quello che Egli rivela ai suoi eletti per il bene dell'Umanità. Ma i figli di Adok conoscono delle arti arcaiche, molto più antiche dello stesso Fondatore.... pratiche proibite che sono custodite nei saperi di Pitonia. Con quelle arti io ho potuto vederti Caros Vandor, ho visto il futuro di ciò che farai....."
Si inchinò davanti a me e prese un lembo della mia toga: "Ti prego.... ti prego.... ti prego..... quando ti vendicherai sulla mia nazione, sul mio governo, sul mio Jaffà..... perché io ti ho visto a capo di tutte le legioni, di schiere infinite di legionari e di navi di fuoco e fulmine, venire dal Abisso e annientare tutte le schiere del Jaffà, io ti ho visto guidare i tuoi eserciti di metallo, pietra e folgore, su Pitonia e su Adok.....ti prego, quando verrà quel giorno, il giorno della tua vendetta sui Soli Allineati.... non distruggere la nostra biblioteca su Pitonia..... non annientare l'eredità del nostro popolo.... come se non fosse mai esistito.... giuro solennemente sul animo mio e di mia madre che se mi farai questa promessa farò per te qualunque cosa..... lo giuro.... lo giuro...."
Iniziò a ripeterlo all'infinito mentre teneva il lembo della toga piegato davanti a me e mi fece pena, la sua mente mi diceva che era sincero.
"Un membro della famiglia reale è responsabile della morte di mio padre- dissi lasciando tutti i presenti sconvolti tranne Sibilla- credevo fosse il Jaffà, ma non ne sa niente. È stato escluso dal complotto perché, chiaramente, Torekoss è Jaffà solo di nome. Scopri il vero mandante, fammi sapere il suo nome.... e hai la mia parola che la biblioteca di Pitonia, nel giorno della mia vendetta sui Soli Allineati, sarà risparmiata e conservata."
La gioia e la speranza iniziarono ad emanare dal anziano maestro Basuross che lasciò il mio abito un attimo prima del teletrasporto che ci riportò sulla mia ammiraglia.
"Adesso tutti in infermeria- dissi appena smaltita la vertigine- e proibisco l'uscita finché non saremo completamente purificati da quel..... qualunque cosa sia."
Nessuno osò discutere e l'archiatro di bordo ebbe molto da fare: a quanto pareva il cibo stesso era stato condito con diverse droghe e i feromoni avevano alterato la biochimica dei nostri corpi in maniera tutt'altro che innocua. Una delle Zalamite si stava rivelando allergica ad una delle sostanze somministrate, fu necessario ricoverarla ma l'archiatro assicurò che non era grave.
La flotta eseguì subito un salto che ci portò molto lontano da Pitonia e dalla sua gente.
L'archiatro ebbe il suo bel da fare con il povero Ergesius che, avendo bevuto l'ultimo vino, era messo molto peggio di tutti noi. Comunque non ci furono conseguenze troppo gravi per il fisico, ma quella era stata per noi una vera e propria violenza e un motivo in più per detestare gli Adok.
Inoltre, quel giorno avevamo conosciuto Alcania, sì Lettor, era davvero lei, la stessa. La mia perfetta nemesi, il più grande nemico che Rovia e il Grande Impero abbiano mai avuto. Io la maledico per sempre quella strega..... maledetta lei e tutta la sua stirpe di tutte le sue generazioni. Ma tutto ciò accadde in seguito.
Quando uscimmo dall'infermeria avevamo tutti intenzione di dormire e non desideravamo altro. Mi accorsi solo in quel momento che avevo qualcosa in tasca: era il cofanetto contenente il fiore d'oro da donare a..... la principessa più bella di ogni stella.
Se stai pensando a qualcuno Lettor.... ci pensai anch'io ovviamente.
Prima che Sibilla salisse sul suo treno magnetico per arrivare al alloggio la raggiunsi e le porsi il cofanetto.
"Cos'è?" mi chiese con aria molto stanca.
"Il Jaffà me lo ha dato come un regalo da fare" risposi.
Sibilla lo aprì e ne estrasse il fiore guardandolo con occhi ammirati che ritrovarono la scintilla della vita.
"Cosa c'è scritto qui?- mi chiese- Sai io so parlare l'adokese ma non lo so leggere."
"C'è scritto solo..... che è per te" dissi augurando la buona notte e ritirandomi. Se non altro quel dovere era stato compiuto.
Passammo oltre i confini del Regno dei Soli Allineati dopo aver inviato messaggi su Rovia e su Orissia denunciando l'accaduto su Pitonia e raccomandando provvedimenti. Eravamo indignati ma sapevamo che la cosa si sarebbe risolta con procedure politiche.
Ci riprendemmo bene, fino al giorno in cui Ergesius, rimessosi, entrò nel mio ufficio sulla Saulus tenendo lo sguardo basso.
"Come ti senti?" gli chiesi.
"Molto bene vostra signoria. L'archiatro dice che ormai sono completamente rimesso" rispose provando forte vergogna per ciò che era accaduto.
"Ergesius- dissi- gli unici che si devono vergognare sono gli Adok per il loro vile atto e la loro perversione."
"Ottimo Caros- continuò- io non ho parole per il mio comportamento...."
"Nessuno di noi le ha! Nessuno di noi deve trovarle o spiegare qualcosa. Se ti vuoi dimettere dal incarico fallo pure, ma non sarò io a chiedertelo."
Non sapeva cosa dire, era molto.... grato e lieto della comprensione.
"Grazie vostra signoria...."
"Solo una cosa: non scrivere niente di ciò che è successo. Nel caso me ne occuperò io."
"Sì Coimperatore. Posso solo chiedervi una cosa?"
La sua mente mi diceva che voleva sapere della mia voce nella sua testa.
"Come ho detto: non scrivere e non ricordare niente" dissi chiudendo il discorso e congedandolo. Mi sarebbe dispiaciuto perderlo: è stato un ottimo cronista.
Passarono altri cinque giorni, prima del Nucleo arrivò il capodanno, una bella festa che facemmo in linea con l'orario tradizionale corrispondente a quello di Vandorra. Una festa come tante, gli Orissiani avevano un calendario diverso ma si unirono volentieri ai festeggiamenti. Eravamo ormai in grado di vedere il Nucleo ad occhio nudo quando si avvicinò il giorno del mio compleanno. I miei amici volevano organizzarmi una festa a sorpresa, ma nessuno di loro poteva sorprendermi, così si organizzò qualcosa di ufficiale, ma promisi di tenermene lontano finché non fosse stato tutto pronto.
Che storia quando venne fuori che io e Sibilla avevamo lo stesso compleanno, ma lei disse chiaramente di non volerlo festeggiare e io sapevo perché.
"Sibilla- le chiese Leriano mentre ne discutevamo sul ponte di osservazione della nave- ormai ci conosciamo da tanto, siamo molto amici..... ti chiedo scusa ma non vedo perché non dovremmo festeggiare tutti insieme una ricorrenza così bella e importante.... che entrambe le nostre culture riconoscono e apprezzano."
"Leriano- disse lei- è vero, siamo amici ed è una bella ricorrenza, ma io mi devo preparare per un'altra questione.... di cui preferirei non parlare."
Era difficile dire che doveva iniziare un anno di riti purificatori prima di diventare una sacerdotessa del Unico a vita. Era ormai molto vicino il tempo in che Merus aveva stabilito per quella strada, ma Sibilla non era obbligata e ora aveva un'alternativa per la sua vita.... forse l'unica speranza per la mia.
La sera prima dei nostri compleanni, subito dopo cena, andai al suo alloggio e suonai il campanello.
Mi aprì la bella Sibilla con il suo lungo abito blu, il ciondolo di emerite che le avevo regalato su Viduus e un sorriso molto gentile.
"Buona sera Sibilla" dissi.
"Ciao Octopon.... ci siamo salutati dieci minuti fa ma...."
"Scusa, posso entrare? Ti dovrei parlare di una cosa molto importante!"
Lei rimase a riflettere dieci secondi, o forse di più, non saprei, ma alla fine prese la sua decisione. Si fece da parte e mi fece entrare.

Le memorie dell'Imperatore CarosDove le storie prendono vita. Scoprilo ora