La maledizione del sultano

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Dopo dodici giorni la Saulus e la Ualla erano in un sistema stellare ad un solo salto di iperspazio dal sistema di Berik dove si trovava il pianeta Gavrax. Nello strategikon della mia nave ci riunimmo io, Mirus, Leriano, Ergesius e i Braco. Al centro della stanza, sopra al tavolo da strategia, un ologramma mostrava il pianeta e il suo grande satellite.
"Gavrax è un mondo ricco- stava dicendo Ergesius a cui avevo chiesto delle ricerche- un crocevia commerciale non frequentato quanto Schilas ma comunque florido, moltissimi mercanti si stabilizzano quaggiù, inoltre esistono vastissime regioni adibite a produzioni agricole e miniere di metalli grezzi. È un pianeta terriano, adatto alla vita umana, tuttavia la popolazione risulta essere arretrata tecnologicamente e particolarmente dipendente dal commercio con altri mondi..."
"Cosa ci sai dire del sultano?" chiesi.
Apparve una riproduzione del volto di un uomo sulla quarantina, con un diadema sul capo e una lunga barba nera tenuta intrecciata con un anello.
"Ben- Kafar, sultano della dinastia Zulik, regna su Gavrax da ventitré anni, sottomesso all'autorità del satrapo Mardonicus. È noto per la sua avidità, per l'abilità che ha dimostrato nell'amministrazione del suo mondo e per le sue passioni sportive."
Ergesius aveva fatto bene i compiti.
"Come contiamo di procedere?" chiese Leriano.
"Ho riflettuto abbastanza sulla questione e ho deciso che scenderemo sul pianeta in incognito prima che il Coimperatore prenda contatto con il sultano" dissi.
"Vorresti chiedere al sultano di darti l'occhio? In cambio di cosa?" chiese Mirus.
"Dovrò trovare il modo di renderlo vantaggioso per lui, anche se prima bisognerà determinare se il sultano detiene ancora il secondo occhio oppure no, dopotutto il mio nonno materno sapeva che il padre del sultano era in possesso del occhio di Oromio, potrebbe non possederlo più."
Il dubbio era davvero molto fastidioso, ma eravamo decisi ad andare avanti.
Passavo moltissimo tempo nel mio alloggio ad ammirare quel gioiello, l'occhio di Oromio sembrava brillare di luce propria, cantava per me. Non mi stupisce che si siano combattute guerre per quel repertori pensai al pugnale di emirite che Merus aveva fatto donare a Sileus e alla collana di perle di Ecton data a Sibilla, al confronto non erano niente. Mi preoccupa l'attrazione che quel gioiello esercitò su di me, ma per fortuna il motivo per cui lo cercavo era superiore al suo fascino.

La Saulus rimase in disparte mentre, su Gavrax, si presentò la Ualla da cui sbarcammo io, Leriano e Mirus. Eravamo Roviani in viaggio d'affari, poco più che turisti in verità.
La città di Myiar, capitale del pianeta, sorgeva su una baia al equatore, enormi grattacieli di metallo e vetro si innalzavano sotto una splendida stella media arancione, dovemmo indossare degli schermi a metaparticelle sugli occhi appena scesi. Lo spazioporto si trovava poco fuori dalla città ed era collegato ad essa da una lunga strada a più corsie. Avevamo una piccola auto che ci eravamo portati nella navetta.
"Sembra un buon posto per una vacanza" disse Leriano.
"Non fosse per il cielo viola" rispose Mirus.
"Cos'ha che non va?"
"Mi mette a disagio."
"Il solito impressionabile..."
"Ragazzi non voglio sentirvi bisticciare e ricordate c'è dobbiamo farci notare, spero sia chiaro!"
Si divertirono per quella mia affermazione e anche io, devo dire che fu divertente, sembrava quasi di tornare ai tempi dell'Accademia Palatina.
Quando arrivammo alla fine della grande autostrada dovemmo aspettare alcuni camion che stavano pagando l'ingresso in città.
"Tutto pronto?" chiesi.
Leriano si stava divertendo molto mentre consegnava il documento falso al doganiere.
"Roviani?"
"Esatto" disse Mirus.
"Motivo della visita su Gavrax?"
"Turismo."
Il controllore ci restituì i documenti e tre piccole piastre metalliche.
"I vostri documenti sono in regola, questi sono i vostri marcatori d'uscita, conservateli perché se li perdete non avrete più il diritto di lasciare la città. Buon viaggio e benvenuti su Gavrax!"
Il doganiere aprì i cancelli e ci fece entrare nella bella città di Myiar. La città era molto caotica anche se presentava dei bei parchi, prati e dei monumenti in metallo, alcune grosse navi passavano sopra gli edifici e gettavano ombre sulle strade agganciandosi agli edifici scaricando e raccogliendo cose e persone.
Una volta arrivati ad una strada sopraelevata trovammo un parcheggio non troppo lontano dal palazzo del sultano, una costruzione esageratamente grande, con diversi spuntoni, statue che raffiguravano il sultano e diversi cannoni a energia e batterie di missili posizionate tutt'intorno alla muraglia circolare di quella struttura.
"Troviamo un posto da cui osservare bene quel posto" dissi io.
Poco lontano trovammo un piccolo locale, una rosticceria invitante, ma che fu uno dei tanti motivi per cui non sono più tornato nemmeno su Gavrax. Il ristoratore era un ragazzo giovane ma dall'aria arrogante, ci sorrise e ci invitò ad ordinare; spiedini, cosce di animali di vario tipo, crostacei fritti, formaggi e altri cibi che non saprei definire. Mirus fu il primo a decidere.
"Vorrei queste salsicce di entelonio, la salsa rosa e una lattina di cirilia blu per favore" disse.
"Certo amico mio! Ma quanto mi paghi?"
Quella domanda lasciò perplesso il mio amico.
"Che vuoi dire scusa?"
"Quanto mi paghi se ti do il cibo che mi hai chiesto?"
"Devi dirmi tu quanto costa questo cibo. Come diavolo faccio a sapere io il prezzo?"
Il commesso si mise a ridere: "Si vede che siete stranieri, su Gavrax abbiamo un sistema che non prevede il prezzo: io posso darti del cibo, ma tu potresti non avere tanta fame e allora, con un prezzo prefissato, potrei averti rubato dei soldi che hai speso inutilmente, d'altro canto se tu avessi più che fame, ma bisogno di cibo allora potresti pagarmi un prezzo che non eguaglia il favore che ti ho fatto dandoti del nutrimento e io non sarei degnamente appagato."
"Una curiosa scuola di pensiero, anche se logica" disse Leriano.
"Ma cosa stai dicendo? Credi che sia venuto a farmi spennare?" disse Mirus che cominciava ad agitarsi.
"Va bene- dissi io prima che la situazione degenerasse- adesso vediamo cosa possiamo offrirti amico."
Fortunatamente riuscimmo ad accordarci (ottima cosa la telepatia) e ci sistemammo in un tavolo con vista sul palazzo.
"Non è ben proporzionato rispetto al resto della città" disse Mirus.
"Senza dubbio hanno demolito moltissimi altri edifici per edificarlo- disse Leriano proiettando dal suo guanto un ologramma con la mappa della città- hanno interrotto delle strade che conducevano al porto, interrompendo le vie tra i quartieri in riva al mare e i maggiori centri commerciali. Inoltre qui c'è scritto che gli uffici dell'amministrazione cittadina si trovano in questo settore, periferico è inadatto ad un centro di potere, è ovvio che quelle istituzioni sono state sfrattate per fare spazio a quella reggia."
"La reggia più splendida che Gavrax abbia mai avuto il privilegio di ospitare- disse il negoziante avvicinandosi- dimora magnifica del grande sultano del più splendido mondo da questa parte del Nucleo dopo Orissia."
Aveva un tono davvero ironico.
"Non sembri molto convinto del tuo sovrano" dissi.
"A Ben- Kafar non importa se qualcuno parla male di lui, anche perché io non mi posso lamentare: da quando lui governa il nostro mondo le cose sono migliorate qui: ci sono più soldi, più commerci, più turisti con cui divertirsi...anche più tasse è vero, ma è sempre stato così."
"Ti andrebbe di parlarci di quel palazzo?" chiesi.
"Devo stare attento ai clienti e..."
Qualche banconota esposta e il tipo ci raccontò una storia.
"Far costruire il palazzo è stato il primo ordine che il sultano ha dato quando il satrapo lo ha confermato sul suo trono, ma ci sono voluti moltissimi anni per completarlo, in effetti è stato completato solo sei mesi fa, si dice che Ben- Kafar lo progettasse anni prima della sua incoronazione. Quando è stato completato il sultano ha organizzato una grande festa invitando al palazzo gli operai, gli architetti, tutti coloro che avevano in qualche modo partecipato alla costruzione...i cannoni hanno ruggito per tutto il giorno."
Mirus pensò a dei barbari e anche Leriano.
"Così ora il nostro sultano è l'unico a conoscere tutti i segreti della sua reggia" disse il cameriere tornando al suo posto per parlare con due soldati in divisa verde scuro appena entrati.
"Dici che...?"
"Sì ragazzi. Sono stati veloci."
"Mica tanto Mirus, li ha chiamati appena siamo entrati" disse Leriano.
I soldati si avvicinarono e ci salutarono.
"Benvenuti signori- disse uno dei soldati- vi devo portare una buona notizia: sua chiarissima maestà il sultano Ben- Kafar di Gavrax ci manda con un invito per la sua dimora."
"Sua maestà ci onora, accettino l'invito con grande gioia" dissi.
"L'invito è solo per uno" disse il soldato la cui mente era concentrata su di me.
"Amici miei- dissi- voi fate pure un giro per la città...io accetterò l'invito e onorerò la casa del sultano...non voglio fare attendere sua chiarissima maestà."
Mirus e Leriano si fecero un cenno e mi salutarono mentre i soldati si facevano da parte per farmi passare.
Mi fecero salire su un...non ci potevo credere...un elicottero. Usavano ancora quelle zattere del cielo. Mi venne la nausea mentre volavamo con quegli scossoni, eppure mi fu possibile ammirare quel palazzo fortificato, composto, oltre che dalle mura, di un'alta torre e di diversi edifici tutti collegati tra loro, con dei cortili interni e diverse altre batterie e cannoni lec. Era una fortezza impenetrabile.
Atterrammo su una piattaforma poco distante dalla torre. C'erano altre guardie che sorvegliavano la piattaforma e mi accompagnarono all'interno; entrai in una sorta di grande palestra circolare in cui alcuni atleti si cimentavano in diverse discipline, non usavano tecnologie, solo pesi, bastoni e i loro muscoli, mi ricordò gli allenamenti di vulnia all'Accademia. Uno degli atleti, un uomo un po' più basso di me, sulla quarantina con una carnagione olivastra stava facendo uno strano esercizio agitando quelle che sembravano due pesanti clave. Una delle guardie sussurrò qualcosa all'orecchio di uno degli allenatori che corse subito a parlarle con quel uomo il quale gettò a terra le clave e si diresse verso di me, indossava solo dei pantaloni corti e neri, na mente arrogante ma curiosa.
"Tu sai chi sono io?" mi chiese.
"Credo di essere al cospetto di sua chiarissima maestà , il sultano Ben- Kafar di Gavrax" dissi voltandomi verso un uomo che distribuiva dei bicchieri d'acqua agli atleti e facendogli un leggero inchino.
"Molto bene- commentò il sultano con un ghigno- devo dire che non potevo crederci quando mi è stato detto chi era venuto sul mio mondo. Tuttavia vorrei la tua conferma per questo" disse il sultano attivando un ologramma in cui apparivo accanto al Vasilus.
"Sei tu Octopon Vandor Caros, figlio sia di Rovia che di Orissia, re dei Vagnar, duca di Crator, principe di Ctefo e Coimperatore dei Roviani?"
"Quello sono io" risposi.
"Posso sapere quali affari ti hanno portato suol mio mondo?"
"Vostra maestà, qui non siamo nell'Impero, questo è il Gran Reame dove io sono un principe di un mondo e tuo pari. Sono venuto in incognito per proporti un'alleanza."
Non si fidava affatto, ma era abbastanza debole da volermi ascoltare, la sua mente mi diceva che Mirus, Leriano e anche la Ualla erano sotto stretta sorveglianza delle numerose spie del sultano sul pianeta, ma per ora non correvano pericoli.
"Permettimi dunque, sovrano di Ctefo di accoglierti con tutti gli onori" disse il sultano.
Dovetti aspettare che andasse a lavarsi, cambiarsi e prepararsi. Mi fu permesso di contattare i miei amici e raccomandare loro di trovare un buon albergo, il sultano si era offerto di ospitarmi per la notte.
La cena fu imbandita in un'ampia sala che ricordava lo studio privato di Merus: era ampia, circolare, con dei cuscini posti in circolo e piccoli vassoi su cui erano disposte le pietanze. Stranamente non c'era nessuno, tranne le guardie fidatissime del sultano nascosti dietro le tende e i servitori che passavano e preparavano per la cena. Il sultano arrivò con un abito di un verde scuro, la sua corona con velo e un velo di seta che gli copriva il capo e il collo. Erano simboli del potere tra la sua gente, tuttavia non potei fare a meno di considerarli bizzarri.
"Prego illustre....chiedo scusa ma, con tutti questi nomi non so quale usare per te principe. Octopon? Vandor?"
"Caros buon sultano...io sono Caros fuori dalla mia casa."
"Caros...molto bene Caros. Il fatto è che i Roviani usano tutti questi nomi, non l'ho mai capito. Anche sul mio mondo il nome di una persona muta, io stesso da bambino mi chiamavo Sulif, quando raggiunsi la maggiore età mio padre mi diede nome Ben- Ulir e quando gli succedetti che sultano acquisii il mio ultimo nome, Ben- Kafar. Anche su Rovia funziona così?"
Mentre me lo chiedeva ci lavammo le mani su un catino d'argento, com'era tradizione in tutto il Gran Reame.
"Dipende, certe volte un nome lo guadagniamo, altre volte lo riceviamo in eredità, ma dipende da persona a persona come chiamarsi, io ho deciso di essere Caros, così come tu hai deciso di essere Ben- Kafar."
Il sultano fece un cenno e poi iniziammo a mangiare. Parlammo del più e del meno, discorsi vaghi, durante i quali il sultano mi aprì la mente facendomi percepire i suoi crimini, le sue passioni, i suoi desideri, il fatto che non si fidava di nessuno dei suoi figli e la sua smisurata avidità.
"Posso capire che tu abbia voluto visitare il mio mondo in incognito principe Caros ma, per quale ragione? Per quale ragione volevi venire qui?"
Sospirai e lanciai l'amo.
"Sono qui per costruire un nuovo futuro per il popolo che sono chiamato a governare: la gente di Ctefo ha bisogno di risollevarsi dopo gli ultimi eventi e Rovia sta cercando alleati per nuove conquiste."
"Io sono soggetto alla lealtà verso il Vasilus e il satrapo che lo rappresenta, il tradimento viene fatto pagare a caro prezzo, come tu stesso hai dimostrato con Gior- Asia."
"Rovia non vuole la guerra con gli Orissiani per ora, non è conveniente. Io parlo di conquiste nei rapporti tra i popoli, nella costruzione di nuovi rapporti commerciali che potranno far fiorire nuovamente Ctefo e molti altri mondi da entrambe le parti del Nucleo."
"Parli di patti commerciali?"
"Da cui Gavrax trarrebbe grandi vantaggi."
"Io non posso lamentarmi: il commercio è fiorente sul mio mondo, i miei sudditi mi pagano laute tasse e il satrapo è soddisfatto dei miei servizi. Per non parlare del fatto che non dispongo di una grande flotta."
"Tuttavia hai Gavrax e la sua ottima posizione strategica...e ti assicuro, buon sultano, che anche l'Imperatore sa essere molto grato con chi lo serve bene" dissi suscitando l'interesse del sultano.
"In effetti mi è giunta voce della generosità dell'Imperatore Sileus, specie nei riguardi del sovrano di Adok" stava ammiccando.
"In effetti quella è una vicenda piuttosto complessa, ma l'Imperatore decise di soccorrere il Jaffà Torekoss in pericolo a causa di una lotta per la successione nella sua famiglia. Il Jaffà gli promise alleanza e la mantiene ancora oggi. Il Jaffà volle anche dare un segno della sua gratitudine a Sileus, gli donò in segreto degli oggetti straordinari...in realtà non so se posso parlarne..."
Il sultano era curioso e allo stesso tempo offeso, colsi l'attimo.
"Però, se saremo alleati, posso rivelarti, buon sultano, questo segreto...il Jaffà era entrato in possesso, e donò all'Imperatore i due gioielli più splendidi che si siano mai visti nel intero Ecumene: gli Occhi di Oromio."
Il sultano fece cadere il calice che teneva in mano.
"Nobile Ben- Kafar...ti senti bene?"
"I due Occhi di Oromio? Tutti e due? Sei certo che fossero tutti e due?"
Trattenni un ghigno.
"Certo, mio nonno li conserva ancora molto gelosamente...e se il Vasilus dovesse scoprirlo probabilmente scenderebbe in guerra per riaverli."
"Ma erano entrambi? Gli Occhi di Oromio sono entrambi in possesso dell'Imperatore?"
Era molto insistente e stava anche iniziando a sudare.
"Stai bene buon sultano?" chiesi.
"No...in effetti non mi sento molto bene. Ti chiedo scusa principe Caros ma devo ritirarmi. Ti prego di gradire la mia ospitalità per questa notte, domani parleremo degli affari che stringeremo" disse il sultano alzandosi e andando in una delle stanze secondarie, verso un suo rifugio.
Il sultano avrebbe passato una notte infernale, mentre io dormii come un sasso. Mirus e Leriano un po' meno bene mi dissero, a quanto pareva erano a corto di denaro...su Gavrax si trovano delle persone particolarmente avide in effetti.
Il giorno dopo passai la mattina chiuso a chiave nella mia stanza, rimasi tranquillo mentre i servitori interagivano con me, portandomi cibo, notizie e qualunque cosa chiedessi.
Quando fu più o meno mezzodì fui convocato al cospetto del sultano nella stessa stanza in cui avevamo cenato, questa volta senza guardie né servi. Ben- Kafar era solo sul suo trono, ancora con gli abiti della sera prima. Aveva un'aria terribile; brutta malattia l'avidità.
"Buon sultano...ti senti male? Hai l'aria di qualcuno che non ha dormito questa notte" gli dissi.
"È così" rispose.
"E perché?"
"Tu sei certo che l'Imperatore abbia tutti e due gli Occhi di Oromio?"
Mi puntò contro una pistola lec, era in preda ad un'angoscia terribile.
"Che significa questo?"
"RISPONDI!"
Alzai le mani e indietreggiai.
"Va bene, va bene...sì...gli Occhi di Oromio sono in possesso di mio nonno Sileus, l'Imperatore."
"Non è vero...impossibile...il Jaffà non poteva averli...non può averli dati tutti e due all'Imperatore...perché uno di essi è in mio possesso! Il padre di mio padre lo trovò a caro prezzo è da allora costituisce l'eredità della mia stirpe."
"Mio signore sono spiacente...non so cosa dire, mio nonno fece datare i gioielli e i materiali corrispondevano all'epoca ipotizzata nelle leggende, ma ci sono moltissimi falsari in attività...ho visto con i miei occhi tre fucili da caccia con sopra il nome di Eufra il Grande, tutti indicati come originali e..."
"BASTA! TU MI STAI SOLO CONFONDENDO! NON SOPPORTO QUESTO DUBBIO... DIMMI CHE NON È VERO E CHE IO POSSIEDO DAVVERO UNO DEI DUE OCCHI DI OROMIO!"
Dovevo essere prudente, quel uomo era davvero impazzito.
"Anche Sileus aveva dei dubbi sull'autenticità di quei gioielli. Ma io sono un esperto di preziosi e di reperti antichi...potrei vedere il tuo occhio di Oromio e fare un confronto con quelli posseduti dall'Imperatore."
Era perplesso, non si fidava nemmeno della a famiglia quando si parlava di quel gioiello.
"Sei disposto a farti bendare prima che ti porti al cospetto del gioiello?"
"Ne capisco la ragione" dissi sospirando.
Arrivarono due guardie che mi ammanettarono e mi bendarono, ma io vedevo con i loro occhi e le loro menti. Il sultano li fece allontanare e attivò un teletrasporto che ci condusse in un'altra area del palazzo, subito dopo scesi delle scale fino ad arrivare ad un sotterraneo, una vera e propria cassaforte gigante che poteva essere aperta solo dal fiato del sultano, un riconoscimento biometrico che apriva una pesante porta in diamantifero. Era stata ingegneria roviana...più sicura di una fortezza.
Quando mi tolse la benda Ben- Kafar mi puntava ancora la sua arma contro e mi fissava con uno sguardo feroce.
"Non entrerai mai più qui dentro- disse- e vedrai il gioiello una volta sola."
Passò la sua mano su un raggio di luce, un sensore che fece emergere dal pavimento un oggetto ottagonale che Ben- Kafar aprì con un tocco, otto pezzi di quella struttura si aprirono rivelando l'occhio di Oromio appoggiato su un piccolo cuscino. Era splendido, perfettamente identico a quello che avevo trovato su Schilas, notai che c'era qualcosa scritto sui suoi contorni, una scritta in valeriano arcaico, la lingua parlata dagli avi comuni di Roviani e Orissiani.
"Posso prenderlo in mano?"
Ben- Kafar esitò, ma poi si decise: "Solo per un momento e non osare tentare nulla...non hai modo di uscire da qui senza il mio aiuto!"
Mi aveva già aiutato senza volerlo. Benché ammanettato presi il gioiello, era davvero originale come il suo gemello, il Canto della Creazione e la sua brillantezza non mi lasciavano dubbi.
"Osserva qui buon sultano" dissi indicandogli le incisioni intorno all'iride.
"Non so cosa voglia dire" disse.
"Perché non appartieni al sangue dei Valeriani: è una maledizione, dice Chi prende me e mio fratello senza essere il Re del mio popolo morirà per mano di suo figlio e di suo fratello dopo aver ucciso suo fratello e suo padre. Chi ci ha fatti ci ha destinati a sorvegliare i figli e i traditori del valore."
Ben- Kafar rimase interdetto.
"Questo ha senso per te vero?"
Non mi rispose a parole, ma la sua mente sì.
"Ecco cosa accadrà: uno dei tuoi figli ti ucciderà come tu facesti con tre dei tuoi figli, con due tuoi fratelli e con tuo padre e come lui fece con suo padre prima di te. Oppure sterminerai i tuoi cari per non perdere questo pezzo di metallo..."
"Taci..."
"Chiuso qui, in una fortezza che è la tua prigione, su un mondo che ti odia per la tua avidità..."
"Ti ho detto di tacere..."
"Migliaia di persone hanno lavorato per costruire questo posto, tutte massacrate e perché? Perché nessuno di loro potesse tentare di rubarti questo gingillo?"
"Stai zitto..."
"Mentre tu rimani chiuso qui dentro...in preda all'abissofobia...sì sultano...la vedo nei tuoi occhi, la paura dell'Abisso, il terrore del vuoto e della morte che circonda il tuo mondo e che non ti permette di viaggiare al di fuori di esso...il terrore del Vasilus se dovesse scoprire che non gli hai restituito ciò che gli appartiene..."
"SILENZIO!"
Spezzai le manette e feci volare la pistola tra le mie mani. Ben- Kafar non ebbe il tempo di riprendersi dallo stupore che lo scaraventai contro la parete opposta con un colpo del mio potere. Lo ammetto: pensai davvero di ucciderlo, ma decisi di non averne il diritto, mi faceva pena.
Seguendo le memorie del sultano che avevo sondato abbastanza bene da dirigermi verso il teletrasporto e stare le coordinate per uno spazio a due livelli sottoterra. Mi ritrovai sulla riva di un fiume sotterraneo, un canale degli edifici che Ben- Kafar aveva fatto demolire per costruire la sua grande fortezza. Avanzai dritto verso una scaletta che mi portò sotto un tombino. Mi ritrovai dentro il cortile interno di un albergo non molto lontano dal palazzo.
"Veloce!" gridò Mirus alle mie spalle.
L'ascensore ci portò sul tetto dove trovammo la nostra navetta ad aspettarci. Leriano era a bordo pronto con uno scherzo da priore.
"Fatto?" chiese Leriano.
Gli mostrai il gioiello.
La navicella decollò velocemente, arrivando presto nella stratosfera dove Leriano sganciò sedici droni che emettevano un segnale simile a quello della nostra navetta: i caccia del sultano non riuscirono ad intercettarci.
Quando attraccammo sulla Ualla tre navi da guerra di Gavrax si diressero verso di noi, appena in tempo per vedere la Saulus apparire poco distante dalla nave ctesifone.
"Missione compiuta signori- dissi ai fratelli Braco dopo essere sceso dalla navicella- pronti a partire per il punto d'incontro concordato."
Ero ancora in cammino verso la plancia della Ualla quando Orocus Braco mi contattò.
"Principe- disse- le navi gavraxiane non cessano l'inseguimento. Il capitano della Saulus comunica che il sultano ci intima di arrenderci."
"Puoi farmi inviare un messaggio verso il pianeta?"
Dopo qualche secondo ero in linea.
"Sultano Ben- Kafar- dissi- non hai modo di fermarmi, così come le tue navi non possono opporsi alla potenza di fuoco delle mie forze...ma cessa l'inseguimento ora, stai accanto ai tuoi figli e nessuno saprà mai perché non puoi lasciare il tuo pianeta."
Dopo circa un minuto di silenzio la voce del sultano risuonò sulla Ualla: "Caros, bastardo dei Valeriani...ti sei fatto un nemico oggi!"
Quando arrivai alla plancia della Ualla le navi del sultano avevano già fatto dietrofront. Dopo un salto in iperspazio chiesi di essere messo in contatto con ogni uomo, maschio e femmina, presente su entrambe le navi, tenni i due Occhi di Oromio in mano.
"Amici miei- dissi- ora siamo passati alla storia, abbiamo compiuto un'impresa che rende il Re dei Re di Orissia debitore del popolo di Ctefo e l'onore del Gran Reame di nuovo completo. Dopo diecimila anni, finalmente il tesoro più prezioso del popolo orissiano: gli Occhi di Oromio, i gioielli più sacri, perfetti e splendidi che arte umana abbia mai prodotto, rubati, perduti, venduti, comprati, scambiati e ora, finalmente, per indagine di Lugus Ben Murano, principe di Ctefo, ritrovati e da noi riconquistati.  Ecco il tesoro, ecco il successo, ecco la gloria che ci aspetta!"
Mi acclamarono con entusiasmo, specie gli Ctesifoni, per i quali gli Occhi di Oromio erano un tesoro leggendario e l'averlo ritrovato aveva un significato profondissimo per loro e per la loro cultura.
"Ad entrambe le navi- dissi- tracciate una serie di salti, rotta per Orissia!"


Le memorie dell'Imperatore CarosDove le storie prendono vita. Scoprilo ora