Capitolo 27

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Il terzo marchio, ormai ero completamente al suo servizio. Non avevo più alcuna possibilità di ribattere sulle mie scelte, ero diventata come una bambola.Qualsiasi cosa avesse detto Corsius di lì a seguire, io non avrei ribattuto, anzi avrei detto di sì tutta euforica. Potevo benissimo dire addio a quello che si chiama "libero arbitrio".

Prima di perdere del tutto i sensi, ero fra le braccia dell'assassino dei miei genitori, poi il buio totale. Mi ero risvegliata che era pomeriggio inoltrato, in una stanza non mia, per giunta. Il sole stava per tramontare dietro la coltre di neve che rivestiva le montagne.

Le pareti erano rivestite con la carta da parati con motivi a croci, come ci sono nelle parodie dei film sui vampiri.Il letto sul quale ero sdraiata, era a due piazze a con il baldacchino, rivestito con lenzuola di finissima seta nera con il merletto. Per il resto, la stanza era abbastanza spoglia, se non si contava l'armadio posto alla parete opposta a quella del letto. 

Mi portai le mani sul collo per vedere i segni dei morsi, che con mio grande dispiacere sentii che erano abbastanza profondi. Mi alzai barcollante dal letto, rendendomi conto che non mi reggevo in piedi. Corsius aveva bevuto troppo sangue, rischiando quasi di mandarmi a miglior vita. Le gambe mi cedettero, costringendomi ad aggrapparmi al letto per sostenermi. – Non hai un bell'aspetto, ma poupée – esordì Corsius, venutomi accanto senza che me ne accorgessi.

– Indovina un po' il perché? – gli domandai retorica.

Il vampiro mi accennò un sorriso, che per qualche strano motivo non era beffardo ma preoccupato. Si avvicinò ancora di più a me porgendomi il suo polso. – Nutriti di me. –

Alzai un sopracciglio, sbigottita. – Cosa? –

– Se ti nutri di me, riacquisterai di nuovo le forze – mi spiegò. 

– Non ho nessuna intenzione di bere il tuo sangue, fa troppo schifo – mi lamentai, facendo una smorfia. Se c'era una cosa che non sopportavo dei vampiri, era che bevevano sangue ed ora il più antico tra loro mi stava incitando a bere il suo. Non lo avrei mai fatto.

– Non voglio ritenermi responsabile della tua morte, sia chiaro. Se muori tu, potrei morire anch'io. – Il tono di Corsius parve completamente serio e intimidatorio.

– Se mi permetti di dirtelo, hai fatto una grossa stronzata a legarmi a te come tua serva umana. Ci sono molti mostri che mi vogliono morta, e se mi uccideranno tu mi seguirai. – Mi sostenni a lui per rimettermi seduta sul letto, tirando un lungo respiro quando ci riuscii. Corsius si sedette accanto a me con sguardo morale.

– L'ho fatto solo per non farmi più uccidere da te – mi risponde poco dopo.

– Be' allora sei un codardo. Mi hai condannata ad un eternità di buio senza curarti di quello che volevo! – urlai in preda all'ira.

– Non ti chiederò scusa, sappilo. – Mi guardò dritto negli occhi, divenutigli rosso sangue.

– E tu non aspettarti che io ti perdoni. Avrai fatto di me la tua serva umana, potrò anche essere la tua marionetta ma vivrai per sempre con la consapevolezza che i miei sentimenti sono una mera illusione. Ogni volta che ti guarderò con quello sguardo falso ricordati bene chi hai davanti. Ricordati di quello che mi hai fatto perdere e non ti perdonerò mai, perché hai portato via tutto quello che consideravo umano, Corsius. – Mi voltai dall'altra parte della finestra, cercando di soffocare il nodo che avevo in gola, guardando il tramonto. Avevo fatto un grosso sbaglio ad andare in quella scuola, avrei potuto benissimo lasciare il Maestro nelle mani di Corsius, non curandomi di quello della sua vita. Avrei dovuto fare quello che ogni Cacciatore avrebbe fatto, pensare alla sua vita.

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