Capitolo 35

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Nella scrittura di questo capitolo non ho fatto altro che ascoltare l'opening di Diabolik Lovers More Blood. Anche se non sono andata a cercare la traduzione per il poco tempo, sono certa che non centri un accidente con quello che voglio trasmettere, però che dirvi... sono strana e le cose più assurde mi trasmettono sensazioni pazzesche. Spero che il capitolo vi piaccia, angioletti

- Mars :3

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Lo stavo cambiando, non c'era dubbio alcuno. Quelle parole mi avevano colto alla sprovvista, perché non erano da lui. Per un momento, ero quasi certa che avesse intenzione di dichiararsi. Non riuscivo più a guardarlo come il mostro che aveva ucciso i miei genitori e rovinato la mia vita apparentemente perfetta (cosa che non avrei avuto mai, perché io in primis non la desideravo), ma come un'altra persona. Per un brevissimo istante mi parve di scorgere un velo di umanità.

Non ero l'unica che stava cambiando a causa del legame. Mi domandai, se già i marchi avevano contribuito in questo modo, come mi sarei comportata una volta aver sancito il Giuramento del Cacciatore...

Continuai a fissare il vestito che mi aveva mandato Corsius. Era molto bello, su questo non si poteva discutere - e credo che se non fosse stato un vampiro avrebbe potuto anche aprire un atelier.
Mi poggiai il vestito addosso ed andai a guardarmi allo specchio per vedere se mi donava. Certo, i miei capelli stonavano non poco però non potevo farci nulla. No, non potevo indossare quella meraviglia avendo i capelli così. Tutta la nobiltà vampiresca mi avrebbe osservata come se fossi stata una squilibrata.

Con riluttanza rimisi il vestito dentro la scatola e la richiusi. Mi sentivo così delusa, perché non potevo essere me stessa senza avere paura del giudizio altrui?!

Guardai l'orologio. Alla festa mancavano ancora dodici ore, perciò potevo benissimo andarmene in palestra ad allenarmi con Bryan e Mitch.

Indossai velocemente una tuta e mi sbrigai ad uscire dal dormitorio per andare in quello maschile, dove alloggiavano i due Cacciatori (ricordandomi di prendere qualche pugnale per l'allenamento, ovviamente).

Entrai senza bussare nella stanza di Bryan e lo trovai beatamente avvolto tra le coperte con un sorriso da bambino stampato sul volto. Era un peccato svegliarlo, però avevo bisogno di qualcuno con cui allenarmi. Lo scossi un paio di volte, sussurrandogli all'orecchio: - Bryan, ehi... - Da parte sua ottenni un mugolio stranito. - Svegliati, su. Bryan - lo scossi ancora di più.

- Non voglio svegliarmi, lasciami dormire. E dai! - si lamentò, girandosi dall'altra parte.

Abbozzai un sorriso sedendomi accanto a lui. Era così innocente mentre dormiva, un piccolo cucciolo che andava protetto ad ogni costo. Che dovevo proteggere anche a costo della mia stessa vita. Ero troppo affezionata a Bryan, forse più di quanto avrei dovuto; ma nonostante ciò non potevo farci nulla. Lui era presente quando tutto sembrava andare storto, con il suo sorriso sempre stampato sul viso e i suoi modi galanti... più passava il tempo e più conquistava una piccola parte del mio cuore. Fino al giorno in cui dovetti ammettere a me stessa che non ce l'avrei mai fatta senza di lui. La verità era che dipendevo troppo da lui. Anche durante l'ispezione nella cripta, credevo che se lui fosse stato lì allora non ci sarebbero stati problemi.

Istintivamente gli diedi un bacio sulla guancia, sperando che potesse arrivargli tutta la gratitudine che non gli ho mai mostrato in questi anni passati insieme. I morbidi capelli di quel marrone dorato mi facevano sentire così al sicuro, in quella scuola estranea a me il solo vederlo era una gioia. Quando si girò mi aspettavo di trovare i suoi occhi chiusi, invece erano aperti e mi scrutavano. I suoi occhioni azzurri si erano posati su di me ancora una volta, e mi resi conto che non ci facevo più di tanta differenza fino a quel momento.
- Bryan - mormorai, così da non svegliare il suo compagno di stanza. Mi aspettavo che lo avrebbero messo nella stessa stanza con mio cugino Mitch ma invece avevo fatto male i miei calcoli, perché furono messi in due stanze separate. Bryan si ritrovò con un vampiro di nome Isei, proveniente dal Giappone, mentre Mitch con una iena mannara dall'aria apparentemente tranquilla.

- Dev, che ci fai in piedi a quest'ora? - mi domandò, stropicciandosi gli occhi per mettere a fuoco. Gli accarezzai il viso accennando un sorriso nostalgico. - Avevo voglia di parlarti. Sono giorni che non ci vediamo e in questo posto mi sento sola. -

- E non potevi aspettare di parlarmi quando mi sarei svegliato? - Bryan si era messo seduto, poggiando il cuscino dietro la schiena.

- Sai come sono fatta, non riesco proprio a pensare che a qualcun'altro possa recare disturbo. - Effettivamente, ero proprio così, focalizzata su me stessa non preoccupandomi minimamente se ad altri le mie decisioni avrebbero dato fastidio. Normalmente tendevo a prenderle con persone con le quali non avevo nessun legame, ma più passava il tempo e più ci facevo l'abitudine a comportarmi in quel modo, finendo di abbandonare quella che ero veramente per diventare una persona superficiale.

- Dai, non ti preoccupare gnoma! - Bryan mi cinse con il braccio le spalle e mi attirò a sé. Imbarazzata, iniziai a balbettare cercando di divincolarmi. - D-dai, lasciami Bryan. Mi fai il solletico! -

– Davvero? E se ti toccassi qui? – mi domandò passando la mano sopra la pancia, continuando a strapazzarmi. Ricominciai a ridere di cuore e non riuscivo più a smettere, tanto da farmi male anche la bocca per quanto stavo ridendo. Capita ogni volta che si tiene la bocca aperta per un certo tempo in un sorriso a trentadue denti, sembra quasi che stia per venire un crampo. – Adesso basta, mi fai mancare il fiato! –

Bryan mi lasciò andare. – Be' se ti faccio quest'effetto è un segno positivo, non credi? Non sono molte le ragazze che mi trovano affascinante, gnoma! –

Gnoma... da quanto tempo che non mi chiamava con quel nomignolo. I primi tempi si rivolgeva a me chiamandomi solo così, poi lo aveva abbandonato completamente. Non mi dispiaceva affatto, mi riportava ai giorni in cui il mondo delle tenebre sembrava solo un incubo che si fa di notte.

– Questa sì che è una supercazzola con i fiocchi! – esortai. – Adesso mi vieni anche a dire che non tutte ti trovano bello... ma fammi il piacere, Bryan. Sei bello e, ahimè, lo sai anche abbastanza bene. –

– Quindi, tu mi trovi bello?! – disse, accennando un sorriso malizioso.

– Chiunque ti troverebbe affascinante, credo che lo stesso dio Apollo scenderebbe sulla terra per fare di te il suo amante – ribadii, cercando di evitare la domanda diretta.

– Non hai risposto alla mia domanda, Dev. – Deglutii con la consapevolezza che ero diventata tutta rossa. – Ti piaccio? –

Ed ora cosa dovevo rispondergli? Non ne avevo la minima idea, insomma mi piaceva? Sì, era l'unico di cui mi fidassi veramente. Non avrei esitato nemmeno un istante a mettergli tra le mani il mio destino. Mi piaceva in senso platonico, come mi piacevano i cuccioli di gatto e i bambini piccoli. Delle volte quello che diceva mi metteva in imbarazzo e mi faceva arrossire, mi coglieva alla sprovvista sulla maggior parte delle cose e spesso e volentieri era veramente esasperante però...

– Cosa ti aspetti che ti dica, scusa? – gli domandai.

– Non so, dimmelo tu. Non voglio tirarti fuori le parole di bocca – mi rispose semplicemente. Aveva ragione, non doveva e non dovevo permetterglielo. Il problema era che non avevo il coraggio di dirgli quanto fosse importante per me perché, sebbene lo sapesse, ero convinta che in cuor suo voleva essere qualcosa di più, qualcosa che io non ero ancora pronta ad avere nella mia vita.

– Sì, sei molto bello Bryan. Ma credo che non c'è alcun bisogno che io te lo dica, lo sai benissimo da te. –

– E invece ne avevo bisogno. Anche se sembra stupido, e probabilmente lo è, avevo la voglia di sentirtelo dire. Non mi importa delle altre persone, loro possono dire quello che vogliono; mentre quello che dici tu lo prendo come oro colato. Sei ciò che ho di più vicino ad una famiglia, quindi non azzardarti nemmeno per un istante a pensare che quello che diresti non è importante per me, perché la prossima volta ti prendo a capocciate – disse, accennando un sorriso.

Arrossii, ma non perché fossi in imbarazzo, no. Arrossii perché mi resi conto di quanto gli volevo bene e che quello che aveva appena detto era una verità che non pensavo di poter mai ammettere: anche per me lui era la mia famiglia.

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