La passione ha il tuo nome. Capitolo 22

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Emily.

Non c'è la faccio più! Carl, nel pomeriggio, però mi dà l'occasione che aspettavo per liberarmi di lei. Anzi di loro! <<Emy, andiamo a visitare una mostra di sculture, qui vicino. Tu verrai con noi!>> <<No! Preferisco restare qui, se non vi dispiace. Il mio stomaco fa i capricci e non credo che reggerà alle curve, ma voi andate pure>> <<allora rimango con te>> <<no! Ti prego, mi sentirei terribilmente in colpa, rendimi felice, vai con loro, hai già fatto tanto per me. Io schiaccerò un pisolino, non ti preoccupare>>. E vedendolo determinato a rinunciare all'uscita, invento una balla sperando che mi credesse, <<poi sono rimasta d'accordo con Eric di riferirvi che saremmo andati insieme perché è interessato all'acquisto di alcune opere, perciò sono certa che vi raggiungeremo>> <<ne sei sicura?>> <<Certo, ma come una stupida ho dimenticato di dirtelo prima>> <<ok, ma chiamami se hai bisogno di me! Hai capito?>> <<Puoi contaci, stai tranquillo>>. Finalmente escono tutti. Traggo un respiro liberatorio e mi lascio cadere sul divano nascondendo il viso nelle mani. Dio che tensione! Mi fa male la testa e il nervosismo da sindrome premestruale, è aumentato: e se fossi veramente incinta per l'irresponsabilità di Eric. Mi domando gemendo di disperazione. Il ginecologo che ho consultato, il giorno dopo aver fatto l'amore la prima volta con Eric, tra le altre cose, mi aveva detto che un ritardo, poteva capitare quando una donna era sotto pressione, ma che non dovevo escludere una gravidanza, data la mancanza di contraccezione. Dio fa che non lo sia, ma appena torna Eric, gli parlo della situazione. Di scatto sollevo la testa: sono sola in casa. Oddio e se il fantasma decide di farsi vedere proprio adesso? Salto dal divano, guardandomi intorno: no, non è possibile! Sono da sola in una baita infestata e il mio stomaco inizia ad altalenare facendomi boccheggiare. Ho bisogno di prendere aria. Afferro la giacca infilandomela mentre esco frettolosamente da casa, allontanandomi di pochi passi. Fa freddo e mentre ritrovo il controllo del mio stomaco, mi calo il cappello di lana sulla testa. L'esperienza di un'altra febbre, non voglio proprio rifarla, penso, recandomi nella stalla. I cavalli sono nei loro box e mi avvicino a quello di Eric appoggiandomi alla staccionata <<ciao nero! Ti chiamerò così, dato che non so che nome ti ha dato il tuo padrone>>. Spero si avvicinasse per poterlo accarezzare invece il cavallo m'ignora. Sentendo la nausea accentuarsi, di nuovo, per la forte puzza di stalla, corro fuori e poggio la fronte alla corteccia di un albero. L'odore del pino, mi placa lo stomaco e cingo con le braccia il tronco ruvido: come mi manca il mio glicine. Un'impennata di malinconia mi assale, mi mancano le mie cose, la mia casa, ma scacciando via quello stato d'animo malinconico, mi volto verso la baita di Carl, non ho proprio il coraggio di metterci piede, il solo pensarci mi fa stare di nuovo male e poi anche volendo, ho dimenticato di prendere la chiave. Carl ha detto di chiamarlo, ma con quale telefono? Il mio era sfracellato, contro la parete, nella camera a casa di Eric. Bene! Sono rimasta fuori. Sbuffando, mi pento di non essere andata con loro, ma non posso restarmene ferma al freddo, il jeans sta diventando di ghiaccio. Muovo le gambe, aggirandomi nei dintorni chiedendomi chissà Eric quando sarebbe tornato e principalmente di che umore fosse. Sono stata grata di non averlo trovato al risveglio e di non averlo incrociato, perché dalla camera, l'avevo sentito litigare ad alta voce con Tom che poi l'aveva seguito in azienda. Dai frammenti della discussione avevo capito che riguardasse il lavoro e di una riunione urgente con Albert. Spero che abbiano risolto il problema dello stronzo che li aveva derubati. Ripensando a tutto il discorso di ieri provo a leggere tra le righe: Eric, ha un timoroso rispetto reverenziale nei confronti di Albert, ma è anche un uomo complesso con un passato tormentato con un cuore pieno di cicatrici che l'hanno reso diffidente verso gli altri e reticente nei rapporti con le donne. Il suo presente è difficile a causa delle giuste preoccupazioni per la sua famiglia. Mi vengono in mente frammenti di alcune sue frasi: "Non amo che estranei entrino in casa mia". "Chi ti manda confessa". "È complicato". "Qualsiasi cosa succeda, chiama o vai dai miei fratelli". "Quando arriverà il momento, ti dirò tutto e solo allora trarrai le tue conclusioni". Oddio, ieri sera mi ha spiegato tutto. Ora capisco molte cose. Essendo stressato da quello che era successo nella sua azienda e da quello che potrebbe accadere alla sua famiglia, lui aveva sospettato che fossi io la spia. In fondo ero capitata improvvisamente nella sua vita, che senza pensarci, una volta ho usato il suo pc nello studio per accreditare gli stipendi, perché avevo dimenticato il mio portatile, poi avevo ceduto alla curiosità e avevo sbirciato i suoi progetti, e lui era apparso in quella stanza proprio in quel momento. Forse questi equivoci gli hanno dato modo di sospettare di me. Sicuramente c'erano degli investigatori che indagavano sul fatto, e che gli avevano dato la certezza che io non c'entravo nulla e per questo lui era venuto a cercarmi, dopo avermi cacciato, per riavermi con lui e per proteggermi da un probabile rapimento e mi aveva anche allontanato dai miei amici solo per non fargli correre dei rischi. Porca vacca! Potevano rapirmi, ma chi se ne frega a me importa solo di lui. Eric, affinché funzionasse il nostro rapporto, e per tenermi al sicuro mi ha fatto promettere obbedienza e questo significava che per il futuro per andare d'accordo con lui, devo fare solo tutto quello che mi chiede, anzi, impone. Sembra facile, ma non per me che ho vissuto con la mia indipendenza per tanto tempo. Ora la domanda fondamentale è: né sarò capace per amore? In fondo è la prima volta che sono travolta da questo sentimento e adesso a mente fredda devo farci i conti, inserendoci anche Pietro. Il risultato delle mie conclusioni è sempre lo stesso: per il suo bene devo sparire dalla sua vita. Provo a immaginarmi senza di lui... e goccioloni freddi mi cadono sul volto. Nel momento in cui alzo il viso al cielo ingrigito, un fulmine lo attraversa. Oddio di nuovo il temporale. Eppure siamo in primavera! Ritorno per il sentiero che avevo percorso, ma non riesco a vedere nulla per quanta acqua cade. Gesù! Sembra che l'inferno avesse aperto le dighe. Cerco di non scivolare sulla strada fangosa reggendomi ai rami sporgenti degli alberi e per la lentezza con cui mi muovo, sembra non arrivi mai a casa. Nonostante non riesco a vedere bene, mi rendo conto che sono circondata da troppi alberi che prima non c'erano. Ritorno indietro, ma dopo alcuni metri capisco di aver sbagliato di nuovo strada. Misericordia, mi sono persa, in una selva opprimente e scivolosa. E ci mancano anche i tuoni che fanno sembrare questo luogo ancora più sinistro. In preda al panico mi tappo le orecchie con le mani e cado sulle ginocchia: cosa faccio adesso? Eric dove sei! I miei occhi vagano febbrilmente, vedo sbucare mostri da tutte le parti e sento anche diversi ululati lontani. Ci sono i lupi. Adesso vengono in branco a sbranarmi, e il cuore mi balza nel petto: non svenire, nasconditi. Mi grida il mio istinto di sopravvivenza, da sopra i rumori del temporale. Tra le lacrime e la pioggia che m'inonda con la vista offusca, intravedo un enorme albero. Gattonando perché non mi reggo più sulle gambe, lo raggiungo e mi rannicchio nella cavità del tronco. Questa grotta di legno mi da un parziale senso di sicurezza ma è buio e per la forte paura mi sembra di vedere delle ombre muoversi veloci e i tuoni, e gli ululati continuano. Tappandomi di nuovo le orecchie, prego: Dio, falli smettere. Dio, falli smettere.

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