La Passione ha il tuo nome. Capitolo 36

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Emily.

In cucina trovo Olga, <<buongiorno signorina! Il signor Bilmar, ha detto di riferirle che è fuori per una commissione ma che tornerà presto e di avvisarlo se decide di andare a lavoro. Ora se vuole, le servo la colazione>> <<la ringrazio, ma non ho fame!>> e mi siedo al tavolo. Non ho voglia di andare al negozio, ho troppi crucci per la testa, primo: sono tormentata al pensiero che Eric abbia ucciso Pietro. Secondo: come ho fatto ad addormentarmi con tutta quell'agitazione. I minuti trascorsi appena arrivata a casa con Felicia mi tornano confusi. Ricordo di essermi cambiato l'abito e che mentre attendessi il rientro di Eric, avessi detto a Felicia di sentirmi stanca e di essere andata a letto e questo non è da me. Forse nel bicchiere di camomilla che mi aveva dato, c'era del sonnifero. Tuttavia, negli ultimi tempi, sono lontana dall'essere me stessa, ma incomincerò oggi stesso. Rammentando di aver lasciato la collana e il bracciale di diamanti sul comodino, lascio Olga alle sue faccende e vado in camera. Li depongo in una scatola poi la chiudo nel cassetto della toilette. Nel voltarmi vedo il mio abito poggiato sulla poltrona e le scarpe gettate in un angolo e poiché non lascio le mie cose in disordine, rimetto a posto. Stando nella cabina armadio, sistemo anche i suoi gemelli, nel cassetto. Ne possiede di ogni forma, messi in ordine di materiale. Nell'atro cassetto, poso il Rolex, tra la sua collezione di orologi e per non essere di disturbo a Olga che inizia a rassettare la camera, vado di sotto e decido di attenderlo nel suo studio. Tanto sarebbe tornato presto e questo è il posto, dove si reca appena entra in casa.

Mi siedo, tamburellando le dita sull'imponente scrivania nera con intarsi in argento, sentendomi irrequieta. Questa è l'unica stanza dove non metto spesso piede perché ho capito che la ritiene la sua tana. Per ingannare il tempo, leggo ogni foglio in vista sulla scrivania: sono preventivi e progetti di un nuovo centro commerciale in costruzione e li sistemo con attenzione. Scocciata, prendo a giocare con un cassetto, aprendolo e chiudendolo freneticamente: appena arrivi, mi sentirai Bilmar! Tirando l'altro che è sulla mia destra, mi accorgo che è chiuso a chiave. Di solito si conservavano cose importanti se non si lascia la chiave vicino. Senza rimuginarci, salgo di corsa in camera, prendo una forcina poi ritorno nello studio. Sentendomi come una ladra, infilo la forcina nella serratura e muovendola, come Luca mi aveva insegnato, sento lo scatto. Aprendo il cassetto, trattengo il respiro vedendo una pistola con il silenziatore. Certo per uno come lui, per la sicurezza in casa, questa non poteva mancare, ma io odio le armi. La prendo con cautela e la poggio sulla scrivania, poi continuo a guardare; c'è il suo passaporto anzi più di uno. Ne sono quattro tutti con la sua foto ma con cittadinanza e identità diverse, tranne uno che è senza foto ma intestato a Serena Bilmar. Oddio, Eric in realtà chi è? E questa donna senza volto in realtà che ruolo ha nella sua vita! Tra gli altri vari documenti, intravedo una cartellina con la scritta: "Riservata, probabile spia appartenente al nemico L". Una voce mi dice: non leggerla, ma lo stesso la apro e gli occhi quasi mi schizzano fuori. Sulla prima riga, compare: Emily Gherardi e un intero fascicolo che parla di me, della mia vita; dal giorno della mia nascita fino a documentare il mio privato e ogni mio spostamento, i tabulati del telefono, le copie delle conversazioni in chat e persino il numero del mio conto corrente. Brutto figlio di puttana. Ha sempre dubitato di me, lui mi crede una spia aziendale e mi ha voluto in casa sua solo per tenermi d'occhio, per poi raggirarmi con gesti e parole facendomi credere che provasse qualcosa per me, invece una relazione vera la tiene con quella Sheila, perché quella donna era troppo sicura di se al galà, e sicuramente i suoi viaggi non erano mai stati di lavoro, ma solo brevi vacanze con lei. Lui e la sua famiglia, mi hanno mentito e ingannata. Facendo leva con le mani sulla scrivania, mi alzo: è tutto falso, mi ripeto con il cuore pesante di collera. E passando accanto alla tela, raffigurante "amore e psiche", quella che lui non vuole che toccassi, gli do un pugno per sfogare la mia rabbia. Stupita, vedo il quadro roteare leggermente su se stesso, scoprendo una cavità nella parete. Lentamente lo spingo ancora a sufficienza per oltrepassarlo. Con le mani che mi tremano, tasto la parete sulla mia destra trovando l'interruttore e quando la luce si accende, resto senza fiato. Al centro di questa stanza segreta senza finestre c'è un sarcofago di marmo bianco con ninfe danzanti decorate e sulla mia sinistra una gabbia che funge da cella. Appese alle pareti ogni tipo di armi: dal più piccolo dei pugnali a sciabole dai manici in onice o madreperla, pistole simili a quella nel cassetto e di più complicate e tante altre armi. Dalla soffitta pendono delle catene, su una parete c'è una ruota con una x di legno al centro e cinghie, e su dei mobili, vedo altri aggeggi. Avvicinandomi, riconosco degli strumenti di tortura: pinze, fruste a più code, verghe e divaricatori per diversi usi. Sconvolta, mi copro la bocca con le mani: lui è un torturatore, un sadico sessuale, questo intendeva con sesso inumano. Indietreggiando urto qualcosa e girandomi, vedo un armadio con una lucina verde che lampeggia. Aprendolo, sono investita da un getto d'aria fredda e mi sento mancare: contiene delle sacche di sangue.

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