Le parole di Zhen mi rimbombano nelle orecchie. Le sento persino nel silenzio attonito che si è venuto a creare. Quello che stona è il suono allegro di questo suo accento stentato, poco americano, poco familiare, quasi divertito. Quella nota acida, l'impennata finale con cui Zhen ha terminato la frase si è infilata nella mia testa come uno spillo. È proprio lì, in un punto imprecisato tra il cervello e il cuore che quello che ha detto inizia da capo e poi ancora, all'infinito.
Dovresti sentirti lusingata, invece di prendertela tanto, Nash è stato così gentile da pensare che avrei gradito uno scambio.
L'eco sembra rimbalzare sui muri di pietra di questa specie di castelletto che mi restituiscono intatto il suono crudo di quell'unica parola.
Scambio.
Mi viene da vomitare. Questa specie di calore che inizia a propagarsi dallo sterno e risale verso le guance non ha niente di piacevole, brucia dove non dovrebbe, mi fa sentire umiliata.
La mia infanzia, il mio futuro, e tutte le mie mancanze, sono racchiuse in una persona sola, che sembra invece possedere quello che in me gli altri hanno sempre cercato invano.
Mio padre e lui, Nash, che continua a guardare me, solo me, forse nel tentativo di umiliarmi ancora.
Lei ride, mi ha chiamata sorella ma verso di lei io non sento niente di familiare.
Non mi piacciono gli occhi di quel verde melmoso identico a quelli di mio padre, chiusi, tossici, come uno stagno pieno di acqua stantia.
Non mi piace il sorriso sicuro, il corpo pieno, sinuoso, ospitale che contrasta col mio spigoloso, vuoto, assente.
Non mi piace che si sia presa tutto, che si sia avvicinata a Nash, che lo osservi come se volesse sbranarlo qui, adesso.
Non mi piace che lo tocchi, non mi piace perché mi fa ripensare a quando l'ho toccato io e lui se l'è presa tanto, al verso che fa quando gode e che mi sembra solo mio in questa vita in cui per la prima volta vorrei che qualcuno scegliesse me.
Scambio.
Difficile sbagliarsi, difficile pensare che le cose siano diverse da quello che sembrano.
Ora Zhen mi accarezza, mi sembra che riesca in qualche modo ad allontanare la vergogna, la rabbia, il vuoto e la voglia di vomitare tutto quello che ho dentro nel patetico tentativo di far vedere a tutti quello che resta di me, che c'è dentro di me: niente.
<<Earn?>>
<<Che nome del cazzo!>> Natalie fa una smorfia, gli prende la mano. Steve si irrigidisce ma rimane fermo dov'è. <<Un nome lungo e fin troppo pretenzioso, >> continua Natalie.
<<Earnestine stai bene? Speravo di dirtelo in un'altra maniera, >> la voce di Zhen è bassa, dispiaciuta, non avverto niente di strano, niente che possa allarmarmi. Mentre mi parla lancia un'occhiataccia a Natalie che di rimando sorride, << ma la nostra Ninì non è mai stata brava ad aspettare, non ha pazienza, non è come te.>>
STAI LEGGENDO
Once Upon Three Times
General FictionQuando Nash Keller incontra Earnestine Cox per la prima volta non si rende conto che è perfetta. Quando ha l'opportunità di incrociare di nuovo la sua strada, però, fare finta di niente è impossibile: i suoi occhi verdi sono solo leggermente più chi...