Capitolo 33: Sogni

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Timothy era seduto su una panchina dalla vernice scrostata dalle intemperie, all'interno del cimitero. Gli era sempre piaciuto passare le sue ore di libertà in quel luogo: era silenzioso, fatta eccezione per il gracchiare dissonante dei corvi, il diabolus in musica della natura. Non c'era mai nessuno, cosa che lui reputava assai positiva. Amava la solitudine. Le folle l'avevano sempre terrorizzato e, di tanto in tanto, anche le persone singole. La sua vita non era mai stata popolata da grandi affetti. Come i gatti - che se non venivano in contatto con degli umani nei primi mesi di vita, li avrebbero evitati per sempre - Timothy era molto sospettoso e diffidente. Vedeva "gli altri" come una massa informe e minacciosa, pronta ad inglobarlo non appena avesse osato avvicinarsi troppo.

D'altro canto, se Timothy non amava la compagnia delle persone, la gente tendeva ad evitarlo. Non che avessero tutti i torti: Timothy Black non aveva un aspetto incoraggiante. Era alto e magro, con un fisico che avrebbe potuto ricordare quello di Jack Skeletron; aveva occhi di un grigio cristallino, leggermente sporgenti, e la sgradevole abitudine di fissare a lungo chi avesse la rara fortuna (o sfortuna?) di suscitare il suo interesse; ed, infine, si vestiva sempre di nero, con jeans strappati e magliette raffiguranti immagini o scritte inquietanti, del tipo "emptyness" o "Welcome to the Black Parade". Non si poteva dire che fosse bello, perché i suoi lineamenti erano spigolosi ed irregolari e il suo mento un po' sporgente, con una forma che ricordava la mascella di un lupo, ma alcuni trovavano il modo in cui camminava, così elegante e leggero, molto affascinante, e lo stesso valeva per il modo in cui sistemava i capelli dietro le orecchie quando i lunghi capelli neri gli scivolavano sul volto.

Quella era una delle cupe giornate di primavera tipiche della Gran Bretagna, dove piove un giorno sì e l'altro pure: il sole marzolino era soffocato dalle nubi ed emetteva una luce incerta ed offuscata. Non sembrava per niente primavera, in effetti. Timothy arricciò il naso quando una goccia di pioggia gli cadde sulla fronte. Scivolò lungo la sua pelle pallida, come una lacrima.

Non aveva nessuna intenzione di bagnarsi. Quella era stata una giornata pessima e lasciarsi sorprendere da un temporale non era nelle sue intenzioni.

Corse fuori dal cimitero, oltrepassando il cancello cigolante con una falcata. La pioggia cominciò dapprima con poche gocce, trasformandosi, dopo appena cinque minuti, in una cascata d'acqua. Timothy fu costretto a ripararsi sotto il portico della piazza del minuscolo paesino dove viveva, davanti alla chiesa. Con sguardo torvo, fissava la pioggia, come se avesse potuto farla cessare con la sola forza del pensiero. Non aveva nè un ombrello, nè un mezzo di trasporto, nè due monete per entrare in un bar e scaldarsi con una tazza di the.

Quella era davvero la giornata più brutta dell'intero anno. Ed era una gran cosa detta da lui, che pensava che ogni singolo giorno fosse una sofferenza da portare a termine, fatta di noia e desiderio di rannicchiarsi in un angolo a piangere in silenzio, dopo essere stato imprigionato in quell'inutile e limitato corpo di carne. Se solo avesse lasciato perdere, se solo non si fosse messo in mezzo, dopo il processo... ma no, era dovuto intervenire. Aveva dovuto far sentire la propria voce – proprio lui, che non parlava quasi mai – e dire a tutti che Lauviah era innocente.

– Tutto bene? - chiese una voce sconosciuta al suo fianco.

Timothy sussultò per lo spavento, strappato dai suoi grigi pensieri, ed abbassò lo sguardo sul suo interlocutore: era un uomo piuttosto giovane, non doveva avere più di trent'anni ed i suoi capelli erano di un vivido argento. I suoi occhi erano azzurri e lo guardavano con apprensione. Era alto più o meno un metro e settanta ed era cicciottello, quel genere di grasso che rende il volto di una persona più gentile e gioviale ed il suo corpo adatto ad abbracciare gli altri e a consolarli. Indossava dei vestiti estremamente poveri: una felpa di un blu stinto, i pantaloni di una vecchia tuta da ginnastica ed un enorme giubbotto verde ricco di tasconi.

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