Capitolo 36: Valerie

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La prima cosa di cui si rese conto fu il freddo.

Mentre era privo di sensi, il gelo di novembre gli era penetrato nelle ossa, lasciandolo intirizzito e tremante. Nemmeno i brividi che gli percorrevano il corpo riuscivano a scaldarlo, il che era perfettamente comprensibile, visto che all'aperto c'erano meno quattro gradi e lui era completamente nudo. I suoi vestiti erano ridotti a brandelli e non servivano più a nulla.

Lentamente, si rese conto di altre sensazioni.

Sentiva un forte dolore al petto e alla gamba sinistra.

Deglutì a fatica – aveva la gola secca – e abbassò lo sguardo. Quello che vide lo fece sentire ancora peggio. Aveva un enorme livido che gli ricopriva l'intero fianco destro, con gradazioni che andavano dal rosso al viola purulento; la sua gamba era ridotta in condizioni pietose, come se l'avessero maciullata a suon di mazzate.

Dopo il dolore, venne la consapevolezza di uno strano senso di sazietà che non gli piacque per nulla. Si sentiva come se avesse mangiato ad un banchetto da venti portate e aveva persino la pancia gonfia.

Cercò di rievocare cosa potesse aver ingerito, ma poi scosse la testa, dicendosi che era meglio non sapere.

Decise che era inutile restare lì a rimuginare sulle cose orribili che poteva aver fatto e, tra grugniti e fitte lancinanti, si alzò in piedi, aggrappandosi al tronco di un albero.

Fu assalito da una forte nausea e per un istante pensò che avrebbe vomitato, ma riuscì a trattenersi.

Doveva trovare un posto dove rifugiarsi e riposare, e uno straccio con cui coprirsi.

Ogni singolo muscolo del suo corpo tremava per la stanchezza e il dolore. L'unica cosa che voleva era rannicchiarsi in una poltrona, davanti ad un fuoco accogliente, e dormire avvolto in una morbida coperta.

Non riusciva a ricordarsi l'ultima volta in cui aveva potuto riposare senza preoccuparsi per quello che sarebbe successo la notte successiva.

Diede un'occhiata al cielo: le prime pennellate rosate dell'alba coloravano l'orizzonte. Aveva ancora diverse ore davanti a sè per fare quello che doveva e poi allontanarsi il più possibile da qualsiasi centro abitato. Era meglio che non ci fossero persone nei paraggi quando la bestia sarebbe venuta a fargli visita, al calar del sole.

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Teddy osservava con attenzione l'hamburger mentre sfrigolava sulla piastra. Aveva calcolato che il tempo esatto di cottura erano tre minuti e dieci secondi per lato, in modo da lasciare l'esterno croccante e l'interno morbido e succoso. Girò le fettine di carne con la spatola e fece ripartire il conteggio alla rovescia.

Il musetto nero di un topo fece capolino dalla tasca della sua divisa da lavoro.

– Hm, che profumino. - disse, leccandosi i baffi. - Posso mangiarne uno?

– No! - esclamò Teddy, sgranando gli occhi. - Sono per i clienti!

– Andiamo, solo un morso. - cercò di blandirlo Bonifax, facendo gli occhi dolci.

Teddy sospirò, arrendendosi.

– E va bene. - brontolò, frugando nelle scorte di hamburger.

Prese un pezzetto di carne – rigorosamente cruda – e la diede a Bonifax, che emise un verso di giubilo e la divorò in pochi morsi.

Teddy rabbrividì di disgusto. Lui mangiava la carne di tanto in tanto, ma non avrebbe mai pensato di ingerirla cruda. A volte gli faceva impressione mangiarla anche cotta. Distolse lo sguardo da Bonifax e tornò a concentrarsi sugli hamburger.

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