Capitolo 32: Una nuova vita - II

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Yezalel fece per corrergli dietro, ma Mebahiah lo trattenne.

– Lascialo stare. E' stato troppo per lui. - sussurrò, con un sospiro. - Non è ancora pronto per affrontare la verità.

– Ma non può restare qui. Kalfer doveva pagare, ma lui non ha colpa! Perché si ostina a restare aggrappato a quel corpo di carne?

– Forse si sente ancora responsabile per quello che è successo a Yalel. - sospirò Mebahiah – Non vuole affrontare il suo dolore. Raven aveva previsto una cosa del genere.

– E allora? Cosa facciamo?

Mebahiah scosse la testa con aria rassegnata.

– Niente.

– Come, niente? - gridò Yezalel, lasciandosi prendere dal nervoso. - E' uno di noi, non possiamo abbandonarlo.

– Finché lui non vorrà vedere, non ci sarà verso di costringerlo! - ribatté lei, con altrettanta ferocia.

Trasse un profondo sospiro e si calmò, abbassando lo sguardo. Si frugò in tasca ed estrasse una moneta d'argento, che porse ad Titania.

– Tenga, signora. - mormorò – Raven, il nostro Creatore, ne ha date alcune ad ognuno di noi in caso di emergenza, da quando le cose hanno cominciato a mettersi male. La dia a Lauviah, se mai dovesse tornare da lei, e gli dica che Raven ha bisogno di lui. Un disperato bisogno. Se riuscissimo a portarlo con noi e dimostrare la sua innocenza, assieme alla colpevolezza di altri, la situazione si risolverebbe.

– Quale situazione, se non sono indiscreta? - chiese Titania, osservando con attenzione la moneta. Assomigliava a quella che aveva dato a Teddy per prendere il bus del Traghettatore. Su di essa vi era impressa la scritta "RAVEN" in alfabeto Futhark.

– Temo che non possiamo riferirle questi particolari. - disse Yezalel, con un sospiro. - Ci spiace essere misteriosi, ma le faccende degli Immortali e quelle degli umani devono restare il più separate possibile. Già venendo qui abbiamo contravvenuto in parte alla legge. Se la violassimo ulteriormente potremmo incorrere in severe punizioni.

Titania annuì per far intendere loro che aveva recepito il messaggio e intascò la moneta, promettendo di darla a Teddy la prima volta in cui si fosse fatto vivo.

I due annuirono, grati, e uscirono dalla Gilda, per poi scomparire in un lampo di luce blu che illuminò il viale.

Il silenzio tornò a regnare nelle stradine di Isolde's Fair, eppure, pensò Titania, erano appena accaduti eventi che avrebbero inesorabilmente cambiato il corso del Wyrd, rendendolo ancor più imperscrutabile.

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Teddy smise di correre solo quando ebbe raggiunto la sua baracca nella pineta. Aveva il fiatone e gli faceva male ogni singolo muscolo, ma non gli importava. Doveva vedere l'oceano, subito, anche se, a giudicare dall'odore frizzante diffusosi nell'aria, si stava avvicinando una tempesta.

Caracollò verso il promontorio, mentre si liberava delle scarpe, gettandole via con rabbia. Le odiava. E odiava anche quei vestiti. Odiava quel corpo. Odiava quella vita, che gli andava troppo stretta.

Si tolse il pail, gettando anch'esso fra gli aghi di pino, e i jeans. Arrivò al promontorio con indosso solo le mutande, e aprì le braccia al vento, illudendosi di poter volare, ma non aveva più ali con cui spiccare il volo.

Crollò in ginocchio sotto un indicibile peso e si rannicchiò su se stesso, incurante della pioggia, che aveva cominciato a cadere a secchiate. Gli elementi sferzavano il suo corpo seminudo, e Teddy immaginò che lo portassero via con sè.

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