Paura in autogrill (parte settima)

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Lui spiegò, con il sorriso sulle labbra: "Non riesco ancora a credere al modo con cui ci siamo conosciuti. Se non fosse stato per la tua caduta, a quest'ora non saremmo qui!"

Lei annuì: "Allora le mie brutte figure servono a qualcosa!" e non riuscì a frenare la lingua: "Quel giorno ero molto agitata. Odio i luoghi affollati e in più ero molto agitata. Con la mente ero sul pullman, ma in realtà pensavo ad altro. Stavo andando a un colloquio di lavoro ed ero molto agitata..."

"Com'è andata?" chiese lui, interessato.

Lei abbassò lo sguardo: perché aveva l'abitudine di mettersi nei guai da sola?

Si passò una mano tra i capelli: "Male, ma preferisco non parlarne. Voglio svagarmi questa sera e pensare a quel colloquio non mi rende tranquilla..."

Lui si versò altro vino: "Scusami, non volevo intromettermi. Aspetta..." Si fermò un attimo e poi proseguì: "La prima volta che ho chiamato non hai risposto. Non è che... il cellulare è squillato durante il colloquio?"

Lei annuì, arrossendo: non si era mai sentita così imbarazzata come in quel momento.

"È colpa mia se il colloquio è andato male? So che ci sono alcuni datori di lavoro che non amano essere interrotti..."

"No, non è quello il problema..." lo interruppe lei. "La tua telefonata è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso..."

Stava per continuare, ma lui la interruppe: "Beh, ti capisco, purtroppo le colpe dei padri ricadono sui figli..."

Lei rimase paralizzata a quelle parole. Le sue mani, appoggiate sul tavolo, si irrigidirono: "Che cosa hai appena detto?"

In quel momento arrivò il cameriere di prima e portò le due pizze. L'uomo augurò buon appetito, ma loro non risposero. Si guardavano negli occhi, con il profumo della pizza nelle narici.

Orazio abbassò lo sguardo e si guardò il polso destro, fingendo di sistemare la manica della camicia: "Beh, è un modo di dire che si usa qui in Italia. Sta a significare che..."

"Ho capito molto bene il significato" esclamò con convinzione lei: aveva capito che Orazio conosceva il suo passato. Abbassò lo sguardo e si vergognò di portare il cognome Duca. Non avrebbe mai pensato di esprimere un desiderio simile. Prese la sua borsetta e si alzò.

Stava per scendere le scale, ma Orazio la fermò: "Aspetta, ti prego! Non te ne andare, mi dispiace..."

"Di cosa?" ribatté lei con decisione. "Di esserti interessato a me solo per il cognome che porto?"

Orazio scosse la testa e lasciò il suo braccio.

Cherifa continuò: "L'altro ieri alla fermata del pullman c'erano tante persone, ma hai chiesto a me. Mi hai presa di mira fin dall'inizio..."

"No, non lo devi neanche pensare!" esclamò lui parandosi davanti a lei per impedirle di scendere le scale.

Lei si voltò, non aveva il coraggio di guardare i suoi occhi. Si era illusa di aver trovato l'uomo della sua vita. Era stato tutto troppo bello, troppo vero.

Orazio la invitò a guardarlo: "Ieri ho cercato delle informazioni su di te su Internet. Volevo chiederti l'amicizia su Facebook, ma non ti ho trovata. Ho provato a cercarti su qualche altro social network e su Google ho trovato informazioni su una certa Cherifa Duca. Così ho visto delle foto e ho scoperto che era la stessa persona con cui avevo parlato."

La ragazza abbassò la testa: "Ti ho detto che non ho neanche il cellulare, come faccio ad avere... Facebook?"

Orazio rispose: "Ho solo voluto tentare di conoscere qualcosa in più su di te... Mi dispiace di essermi intromesso così nella tua vita. Non potevo immaginare che..."

Chiave: il lato oscuro della luceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora