Rocce rosso sangue (parte diciassettesima)

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La vista di Aura cominciò ad annebbiarsi di nuovo, travolta da tutte quelle devastanti sensazioni, e le gambe iniziarono ad avanzare a passi lenti come se lei fosse un automa. Fissava davanti a sé a bocca aperta e occhi sgranati, il cuore martellante nel petto e i capelli attaccati al viso per il sudore. Da una parte voleva correre per sapere cosa era successo, ma dall'altra parte ne era terrorizzata. E se avesse visto qualcosa che non avrebbe potuto sopportare? A quel punto non avrebbe risposto delle sue azioni e ogni briciolo di umanità se ne sarebbe andato insieme all'anima del figlio.

Altri due passi e sentì qualcosa ostruirle il passaggio.

Si toccò la bocca per soffocare un lamento disperato e abbassò lo sguardo.

***

Nel mentre il tizio armato rideva guardando quel ragazzo che si trascinava nel terreno, tra foglie e rami secchi. Gli sembrava un lombrico, un animale ferito che desiderava scappare da morte certa.

Avanzò di qualche passo, calpestando la scia di sangue che fuoriusciva dalla gamba destra di quella facile preda la cui fuga sarebbe presto finita per sempre.

Strinse il mitra che teneva all'altezza del bacino e lo puntò di nuovo verso di lui, pronto a mirare la schiena e porre fine alla sua agonia. Doveva ringraziarlo: almeno non avrebbe più sofferto.

Proprio quando stava per premere il grilletto per dare vita a quella scarica di colpi fatale, il ragazzo si voltò e dal basso gli sembrò che un gigante lo stesse per calpestare.

Si mise una mano sul volto e dalle labbra uscirono versi incomprensibili dettati dal terrore.

Si sforzò di raggomitolarsi su se stesso, ma una gamba non rispondeva più ai suoi comandi e si limitò a gridare con tutto il fiato che riuscì a raccogliere con le poche forze che gli rimanevano.

Poi sentì un colpo, un tonfo tra le foglie.

Con dita tremanti tolse la mano dagli occhi e aprì e chiuse le palpebre più volte, non credendo a ciò che stava vedendo: sua madre era lì, a pochi passi da lui, e teneva un lungo tronco tra le mani.

"Mamma..." bisbigliò in un misto di felicità e sollievo, poi lasciò cadere la propria schiena sul terreno.

"Pip, amore mio!" esclamò Aura buttandosi al suo fianco. Gli accarezzò il viso e gli diede lievi schiaffi sulle guance per costringerlo a stare sveglio. "Ti prego, guardami, amore mio, guardami!"

Il figlio aprì gli occhi e allungò una mano sul viso della madre, accarezzandole una guancia. "Mamma, aiutami..." Le lacrime continuarono a scorrere lente e calde. "Sto morendo, mamma... non lasciarmi, ti prego..."

Ad Aura le si strinse il cuore, l'ansia si impossessò di nuovo della sua mente e del suo cuore e si sforzò di far sedere il figlio, abbracciandolo forte. "Non lo devi neanche pensare, hai capito? La mamma è qui, Pip, è qui con te e non ha alcuna intenzione di lasciarti."

Lui si sforzò di ricambiare l'abbraccio, ma le forze gli stavano mancando. "S-sono io che ti sto lasciando, ma-mamma..."

Lei si passò una mano per asciugarsi gli occhi e mostrarsi forte. "E-ehi, non devi dire così, okay? Stai tranquillo, andrà tutto bene. Ti fa male la gamba?"

Pip annuì e poi scosse la testa. "Non è vero, sto morendo... me lo sento, mamma! Sai quando dicono che uno prima di lasciare questa Terra se lo sente? Ecco, io s-sento che sta arrivando il mio momento."

Aura restò gelata da quelle parole e lo accoccolò a sé, tra foglie e rami. "No, non è vero. Magari hai solo freddo, ti scaldo io. Ora con le mie cure passerà tutto."

Chiave: il lato oscuro della luceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora