Rocce rosso sangue (parte settima)

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La donna aggrottò la fronte e studiò il volto del poliziotto. "Lei è stato il primo che ha inveito contro di lui quando è stato arrestato. Mi ricordo ciò che le ha detto. Nutriva per lui una fiducia smisurata e non poteva sopportare che l'avesse tradita in quel modo. E ora cosa la blocca? La vergogna di essersi sbagliato?"

Edoardo rispose lasciando gli occhi bassi: "Finora non ci sono prove che dimostrano la sua innocenza. Quando ci saranno, mi ricrederò." Poi alzò lo sguardo e incontrò gli occhi scuri del suo superiore. "È così che deve ragionare un poliziotto, no? Non bisogna lasciarsi influenzare dai legami di una persona e svolgere bene il proprio lavoro in nome della verità."

Giovanna sospirò e si avvicinò alla porta, posando una mano sulla maniglia. "La verità è una chimera. Noi possiamo solo avvicinarci, ma non la scopriremo mai. Anche se riuscissimo a sapere cos'è successo davvero quella notte, non potremo mai essere davvero certi di cosa spinge una persona a rubare, a uccidere o a suicidarsi. La mente è un gran mistero. Un mistero molto affascinante." Aprì la porta, oltrepassò la soglia e poi si voltò verso di lui. "Lei stia qua e mi avverta se ci sono nuovi sviluppi."

Edoardo non fece in tempo ad annuire che lei chiuse la porta e attraversò una piccola porzione di corridoio per arrivare dall'altra parte della stanza, oltre il vetro invisibile.

Giunta lì, aprì la porta e si sedette davanti a Rifino, nascondendo sulle gambe i fogli che aveva in mano.

L'uomo alzò il capo e indugiò su quel viso così angelico. "Lei... che cosa ci fa qui, signorina? Dovrebbe stare su una passerella, non in uno sporco commissariato."

Giovanna curvò le labbra in un sorriso forzato. "Aspettavo qualcuno come lei che me lo consigliasse. Davvero, grazie. Prenderò in considerazione il suo suggerimento, ma prima... ho un caso da risolvere."

Da vicino il volto di quell'uomo pareva più rugoso e tra i capelli risaltava qualche ciocca argentata, ma forse la colpa era da attribuire alle luci al neon sopra le loro teste.

"Lei si chiama Gabriele Rifino, giusto?" chiese lei incrociando le braccia al petto.

"Corretto" replicò lui non smettendo di fissare il volto di lei.

"Conosce una certa Laura Apricena?" domandò Giovanna, cominciando a indagare sul caso.

L'uomo schiuse le labbra per prendere fiato e scosse la testa. "Mai sentita nominare."

"Bene" replicò il commissario "la informo che questo è il nome della ragazza alla quale ha rubato il portafogli."

Lui sgranò gli occhi e cominciò a ridere. "Davvero? Mi fa piacere saperlo, peccato che io non abbia rubato alcun portafogli."

"Ah no?" chiese retorica lei. "Quindi questo non è Gabriele Rifino?"

Pose teatralmente un foglio sul tavolo e l'uomo rimase qualche secondo a fissarlo alla ricerca del suo volto.

Giovanna spiegò: "È un'immagine della registrazione della telecamera di sorveglianza davanti al bar Oasi. Lo conosce? È mai stato lì?"

Gabriele si mise una mano sulle labbra e appoggiò la schiena al sedile con aria rassegnata.

"Allora?" lo incalzò lei. "Era il 29 settembre, le rinfresco la memoria."

"Quel filmato non dimostra nulla" la contraddisse lui.

Il commissario alzò un sopracciglio corvino. "Come no? Quello non è lei?" Mise un dito sul foglio e lo batté sopra di esso. "Ha il coraggio di dire che questa persona non è lei?"

Gabriele alzò entrambe le mani. "Non ho detto questo. Ho solo spiegato che quel filmato non dimostra nulla." Poi inclinò la testa da un lato e sospirò di nuovo. "Vuole davvero sapere com'è andata?"

Chiave: il lato oscuro della luceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora