Capitolo 60: Costante

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Dylan

Non capisco il perché di questa sensazione: è come se il mio stomaco fosse chiuso in una morsa. Prima di ogni partita di football che ho affrontato, anche di quelle che avrebbero deciso il mio futuro, mi sentivo lucido, concentrato, carico. Non vedevo l'ora di scendere in campo e dare il meglio di me. Ho sempre saputo ciò che sono in grado di fare e ho sempre cercato di farlo al meglio. Sono il quarterback, i miei compagni contano su di me, così come il Coach e io ho cercato di non deluderli mai.

Quindi perché adesso mi sento come un dannato cucciolo smarrito in preda al panico?! Perché sono così nervoso? Giuro che non c'è altro posto al mondo in cui vorrei trovarmi ora. Aspettavo questo momento con trepidazione da diversi giorni, ma ho cercato di non essere avventato. Del resto, non si tratta di una partita di football in cui lo scopo è quello di travolgere letteralmente gli altri. Questa è una faccenda delicata, che negli ultimi tempi ho portato avanti con attenzione e non voglio rovinarla a causa della mia impulsività. Tuttavia ora, nella foschia serale, mi stringo nel mio giubbino di jeans e calcio la ghiaia sotto i piedi con le Timberland, crogiolandomi nel dubbio e valutando se ho davvero fatto la cosa giusta.

Guardo il mazzo di fiori di campo che ho in mano. Ah, al diavolo! Su Dylan, che diamine! Sei un Hunter adesso, ricordatelo! – mi ripeto nella testa le parole che il Coach O'Connor è solito pronunciare per incoraggiarmi.

Prendo un sassolino dallo sterrato del cortile retrostante la casa e lo tiro con più delicatezza possibile contro la finestra del primo piano, anche se devo ammettere che la delicatezza non è proprio il mio forte, tanto che temo di essermi fatto sentire più del dovuto. Una luce si accende e la tenda rosa della portafinestra si scosta. Dopo qualche secondo Tiffany esce sul balcone della sua camera. La saluto con un cenno della mano; il sorriso piacevolmente sorpreso che mi rivolge basta a calmare il mio animo angosciato e in questo momento capisco che non dovrei essere da nessuna altra parte se non qui con lei.

"Dylan!" esclama, tentando di contenere la gioia: "Ma che ci fai qui a quest'ora di sera?" mi domanda allegra. Le mostro il mazzo di fiori che le ho portato. "Dove altro dovrei stare se non con te?" decido di rivelarle subito quello che mi tengo dentro da un po' di giorni ormai, ciò che ho maturato durante questo periodo trascorso distanti l'uno dall'altra, vedendoci ogni giorno a scuola, ma senza più poter stare davvero insieme. Ed è questo quello che voglio: stare con lei, non solo ora, ma come costante della mia vita.

"Tiffany, mi sento perso senza di te. Letteralmente. Sento di non appartenere più a nessun luogo. Il campo di football è un bel posto in cui fare ciò che amo, ma giocare non potrà mai coincidere con la mia intera vita. Io vorrei poter tornare ad alzare lo sguardo verso gli spalti e trovare te, vorrei poter tornare a casa e trovare te. Sei tu il luogo a cui appartengo Tiff, quello in cui sento di non dover dimostrare niente a nessuno e soprattutto in cui mi sento completo, perché ho tutto ciò che desidero e di cui ho bisogno, senza la necessità di affannarmi per afferrare delle ombre. Ho bisogno di poter contare su una costante nella mia vita, di non perdere mai l'unica meta che vorrò sempre raggiungere, cioè tu Tiffany! Ti amo e non ho mai smesso, neppure per un secondo, da quando ti ho incontrata!" le dico tutto d'un fiato, riducendomi senza respiro.

Lei rimane sconvolta per qualche secondo, continuando a fissarmi con le mani strette intorno alla balaustra del balcone. Poi la sento pronunciare solamente: "Aspetta un attimo. Arrivo". Mi dirigo sul viale d'accesso di casa sua e, quando mi apre la porta principale, esita un secondo per poi precipitarsi verso di me e saltare tra le mie braccia, stringendo le gambe intorno alla mia vita. "Oh Dylan, ti amo così tanto! Ti ho sempre amato, anche io non ho mai smesso!" continua a ripetermi commossa. La stringo forte, premendo il capo contro il suo, senza lasciarla andare. "Non voglio perderti. E scusami se ci ho messo così tanto a capirlo, non volevo farti soffrire" le sussurro a pochi centimetri dal suo volto, prima di premere le labbra contro le sue e baciarla come non facevo da tempo, con l'unico desiderio di poter essere una cosa sola con lei.

Quando la rimetto a terra, Tiffany si scosta e mi ringrazia per i fiori, che, con mia sorpresa, la fanno arrossire. "Sei stato così romantico" mormora con voce incantata. Noto che ha tagliato i capelli, i quali adesso le arrivano all'altezza delle spalle. Mi piace così: è una pettinatura semplice e comoda, che mette in risalto il suo viso delicato. Mi sembra di rivederla dopo anni: è davvero bellissima!

"In realtà sono qui per farti una proposta: che ne dici di uscire insieme stasera e andare al Luna Park?" le propongo e lei annuisce allegra. Ci frequentiamo da più di un anno, eppure non siamo mai andati insieme al Luna Park che si trova poco fuori la nostra cittadina e io adesso avverto una voglia tremenda di vivere ogni cosa con lei come se fosse la prima volta.

Entra in casa per togliersi le sue pantofole pelose maculate e mi raggiunge dopo pochi minuti con le scarpe da ginnastica bianche. Non si è cambiata come mi aspettavo, indossa semplicemente un paio di bermuda kaki e una tshirt bianca. Mi osserva, non capendo perché non ci incamminiamo. Quando mi riprendo, le metto un braccio intorno alle spalle e le do un bacio sulla tempia: "Non mi ricordavo quanto fossi bella!" le spiego, piacevolmente sorpreso dalla semplicità con cui dimostra di sentirsi a suo agio insieme a me.

Tiffany sembra cambiata: è più rilassata e, inaspettatamente, anche più sicura di sé; come se avesse rivalutato le sue priorità e avesse capito il suo inestimabile valore, che non necessità di essere esasperato o esposto. 

LA VITA E' COME TE LA FAIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora