Capitolo 68: Recidiva diffidenza

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Romi

"Ho bisogno di un aiuto. Scusami" dico soltanto, non appena Dylan apre la porta di casa sua.

Il portico antistante l'ampia abitazione mi protegge dalla pioggia torrenziale, che oggi non ha smesso di scendere durante l'intera giornata. Mi cingo la vita con le braccia, cercando di proteggermi dal freddo serale grazie all'ampio maglione di lana pesante, che tuttavia mi rendo conto non essere abbastanza per tenermi completamente al caldo. Forse perché il gelo ormai ce l'ho nelle ossa.

Le lezioni che ho frequentato questa mattina a scuola a mala pena le ricordo, considerato che la mia mente era altrove. Sono andata e tornata dalla Southern High a piedi, da sola, tentando di schiarirmi le idee. Ovviamente questa mattina e all'ora di pranzo sono passata al garage di Kevin, per cercarlo, ma lui non c'era. Non è andato neppure al lavoro, come mi ha riferito con nervosismo Mr Crawford quando mi sono recata al cantiere. Non riesco a rintracciarlo ed ho un disperato bisogno di parlargli, di spiegargli. Non posso perderlo; non voglio perderlo. Ce l'ho a morte con me stessa per come è andata ieri sera, per il modo in cui l'ho allontanato. Quella di ieri è sicuramente stata una giornata impegnativa ed emotivamente intensa, ma Kevin non ha mai cessato di restarmi affianco, finchè io non l'ho ferito nel profondo. Mi odio per come, in certi momenti, io permetta alla mia angoscia di isolarmi dal resto del mondo, di derubarmi del dono di affidarmi, di far sì che la diffidenza prenda il sopravvento, travolgendo anche chi mi ama davvero e mi capisce meglio di me stessa. E ora invece, come una recidiva pentita, avverto uno stimolo profondo nel cuore, che mi porta a cercare l'unico amore che io abbia sperimentato, ad averlo di nuovo con me, a tenerlo stretto fino a fondere le nostre anime.

Dylan mi guarda un po' incerto e sospettoso. Prego di non essere piombata, ancora una volta, come una catapulta in uno dei momenti più delicati della sua vita, portando scompiglio nella sua famiglia o peggio nella sua relazione con Tiffany, da poco risanata. Quando glielo dico, Dylan mi rassicura sul fatto che aveva appena finito di cenare con i suoi genitori e stava giocando alla playstation.

Successivamente mi chiede cosa sta succedendo, probabilmente notando la mia espressione sconvolta. "Devo trovare Kevin. Ho fatto un casino e lui sembra sparito. Potresti darmi un passaggio?" spiego, tenendo lo sguardo basso e rendendomi conto della sfacciataggine della mia richiesta. Così, non percependo un'immediata risposta dal mio migliore amico, aggiungo con voce flebile: "Non saprei a chi altro chiedere aiuto e onestamente non vorrei neppure chiederlo a nessun altro. Ho bisogno di te, Dylan. Chiamami pure egoista se vuoi, tanto sappiamo entrambi che lo sono. Ma resta il fatto che ho bisogno di te."

Alzo gli occhi e lo guardo per la prima volta da quando mi ha aperto la porta. Ha i capelli biondi spettinati e la barba un po' trascurata. Gli occhi azzurri si intonano alla felpa della squadra di football che indossa. Ha quello sguardo penetrante e affascinante che mi ha sempre catturata e tiene la mascella serrata, forse per il rancore o semplicemente per il fastidio che gli ho procurato. E' davvero un bel ragazzo, con quell'aria dura e decisa.

Fa un sospiro profondo e si passa una mano tra i capelli, distogliendo lo sguardo che teneva fisso nel mio. "Andiamo" dice poi. Afferrando le chiavi del pickup dal tavolino dell'ingresso posto accanto all'entrata.

"Romi!" Il tono di Dylan è a metà tra il dispiaciuto e il rimprovero. Durante il tragitto in macchina gli ho brevemente riassunto ciò che è accaduto ieri, prima con mia madre e poi soprattutto con Kevin. Dylan non ha commentato nulla, ma ora rimango un po' spiazzata nell'intuire che prenda le difese di Kevin. Non posso dargli torto in effetti, ma mai e poi mai avrei pensato che potesse trovarsi d'accordo con la persona che dice di non sopportare.

Il mio migliore amico fa un altro respiro profondo: "Ascolta... Da quanto ho capito, se c'è una cosa, forse l'unica, che O'Connor sa fare bene è starti vicino. Quindi perché rischiare di allontanarlo così bruscamente?" "Dylan, tu non hai idea di quanto sia difficile a volte convivere con quello che ho passato ed è frustrante anche per me vedere rovinati i momenti più belli!" provo a ribattere; la mia non è tanto una protesta, ma più che altro un lamento, nel momento in cui mi accorgo che ha ragione. "Non voglio metterlo assolutamente in discussione" mi rassicura "non posso neanche immaginare quello che provi in simili momenti e so che non puoi controllarli, ma sta a te decidere come affrontarli. E probabilmente neppure O'Connor potrà capire fino in fondo, ma non ci ha mai rinunciato. Non sto dicendo che devi ignorare ciò che senti, ma tenta almeno di renderne partecipe anche lui, soprattutto quando siete già in procinto di condividere ogni cosa, anche la più intima. Chissà, esternare quello che ti tormenta potrebbe essere già un bel passo avanti per prendere le distanze da alcuni ricordi che ti assillano. Hai tutto il diritto di fermarti e di non forzarti nel fare qualcosa che in quel dato momento non percepisci come giusto, ma ormai in questa faccenda ci siete dentro entrambi e forse anche O'Connor merita di poter fare la sua parte nello starti vicino ed aiutarti, nel prendere le redini della situazione quando ti sfugge di mano. Però è essenziale che tu ti fidi, Romi. È finito il tempo di scappare e nascondersi, ormai in questa relazione ci sei dentro e devi metterti in gioco interamente. A volte potrà andare bene e altre male, ma non puoi escludere l'altro. Sei stata tu a suggerirmi di non arrendermi e lottare per la persona a cui si tiene" mi spiega.

Ascolto in silenzio le sue parole, le quali hanno un suono severo, ben diverso da quello accondiscendente con cui Dylan è sempre stato solito parlarmi. Eppure realizzo che sono proprio l'incoraggiamento di cui necessito per reagire. Ancora una volta Dylan ha saputo esserci per me nel modo giusto. Annuisco seria, guardando fuori dal finestrino, trovandomi d'accordo e interiorizzando ciò che mi ha appena detto. Tuttavia questo accresce in me il desiderio smanioso di trovare Kevin, per farlo partecipe della lezione che spero di imparare presto, per riprovarci insieme, per dirgli che lo amo e che non lo do per scontato.

Dylan sta guidando attraverso le strade della nostra cittadina e abbiamo già controllato un po' di locali in cui lui sospettava di poter trovare Kevin. Mi rendo conto di non aver la minima idea dei posti che i ragazzi della nostra età frequentano, trovandomi ancora una volta tagliata fuori da un'esistenza che per molto tempo ho guardato scorrere davanti a me come una spettatrice immobile.

All'improvviso il mio cellulare, che tengo stretto tra le mani, comincia a squillare. Trasalisco alla vista del numero di Kevin e rispondo con apprensione. "Romi, meno male che ti ho trovata!" la voce roca dall'altro capo è quella di Stephania, la quale deve urlare per sovrastare il rumore in sottofondo. "Ascolta, O'Connor è davvero in uno stato pietoso. Se sa che gli ho fregato il telefono per chiamarti dà fuori di matto, ma penso che solo tu possa recuperarlo prima che si spinga troppo oltre. Credo che tu debba venire subito. Non so cosa sia successo tra voi, ma è evidente che qualcosa in lui non va: ha bisogno di te e ascolterà soltanto te!" mi informa.

Rimango stupita dall'accortezza, del tutto non dovuta, che Stephania dimostra e le sono infinitamente grata per l'aiuto che sta dando ad entrambi. Riferisco immediatamente a Dylan l'indirizzo che lei mi fornisce e, con il cuore in gola e lo stomaco in subbuglio, aspetto di raggiungere Kevin, sperando di ritrovarlo davvero.

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