Capitolo 17: Ingaggio

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Dylan

"Bravo Morris, questo vuol dire giocare!" Il coach O'Connor mi dà una sonora pacca sulla schiena, mentre lascio il campo insieme ai miei compagni a fine partita.

Da quando ho iniziato a giocare a football, all'inizio delle scuole medie, vorrei non smettere più. Il coach sembra essere l'unico ad appoggiarmi, dal momento che i miei genitori non hanno il tempo di venire a nessuna partita domenicale, perché il weekend è il momento di maggior traffico al villaggio.

"Kevin! Si può sapere che diavolo hai combinando durante tutta la partita con quel dannato taccuino in mano e quel mozzicone di matita?! Fai parte della squadra anche tu, cristo santo!" L'allenatore O'Connor impreca innervosito e rimprovera suo figlio, il quale è stato seduto in panchina tutto il tempo, rinunciando ormai da tempo ad indossare la divisa della squadra. In effetti il football non è proprio il suo sport, eppure, nonostante la scarsa abilità, suo padre si ostina a farlo presenziare ad ogni partita e allenamento. "Se io fossi davvero un membro della squadra mi chiameresti per cognome, come fai con gli altri, invece di inveire continuamente contro di me. Il mio nome pronunciato da te comincio ad odiarlo! Te l'ho detto: io nella squadra non ci sto più!" sputa Kevin con risentimento. "Ah certo tu preferisci startene isolato e perso nel tuo mondo astratto! Guarda invece Dylan: cresce forte e robusto, faticando! Siamo in Texas diamine, dobbiamo abituarci a lavorare sodo per ottenere grandi risultati ed esserne fieri! Tu invece sei un fannullone!" Jack O'Connor si perde in uno dei suoi soliti discorsi appassionati, che mi hanno sempre affascinato ed incoraggiato, e continua ad ammonire il figlio. "No papà, io sono semplicemente un ragazzo di quattordici anni, diverso da quello che tu vuoi! Quindi perché non mi fai un favore e ti dedichi esclusivamente a quello sfigato di Morris, lasciandomi finalmente in pace?!" Kevin passa affianco a suo padre dandogli una spallata, avendo ereditato da lui lo stesso fisico imponente.

Quando mi sorpassa fa lo stesso con me e io volto il capo. Non so perché, ma questo ragazzo mi ha sempre messo in soggezione, fin da bambini, e specialmente ora, a causa della reputazione di tipo prepotente e arrogante, che ultimamente non fa altro che confermare.

***

"Ottimo lavoro Morris! L'ho sempre detto che hai la stoffa giusta! L'unica cosa su cui dobbiamo continuare a lavorare approfonditamente sono i lanci." L'allenatore O'Connor si complimenta con me, sistemandosi il solito cappellino della squadra, ormai di un blu scolorito, sul capo calvo. Sono fradicio di sudore; dopo essermi tolto la divisa, lo raggiungo in prossimità della panchina a bordo campo con indosso i pantaloni della tuta e una canotta nera. "Grazie coach, voglio dare il massimo durante gli allenamenti per prepararmi il meglio possibile alla prossima stagione" gli assicuro convinto. "Bravo, ma non impedire a te stesso di goderti l'ultimo anno di liceo. Sono comunque momenti significativi per un ragazzo. L'importante è che resti concentrato e non perdi di vista l'obiettivo per cui hai lavorato tanto e che hai ottenuto con molti sacrifici, cioè l'ingaggio con i Texas Hunters" mi ricorda, mettendomi una mano sulla spalla con una stretta ferrea. "Certo coach. La ringrazio per aver sempre creduto in me e avermi permesso di raggiungere gli Hunters. Non ce l'avrei fatta senza di lei!" lo ringrazio sincero.

Jack O'Connor mi ha sempre messo un po' in soggezione, fin da bambino. Ha un fisico alto e imponente, con mani grosse e braccia muscolose; indossa sempre i pantaloni di tuta sintetici e la polo con il logo ufficiale della squadra gli fascia i pettorali e l'addome ormai un po' appesantito. È un uomo severo ed esigente, ma incredibilmente integro e giusto. È stato lui a permettermi di conoscere il mio potenziale e come metterlo a frutto, per realizzare quel sogno che non sapevo di avere, ma che lui mi ha aiutato a coltivare: giocare nella Lega del Football Americano a livello professionistico. Se ho ottenuto un contratto con gli Hunters, che mi permetterà finalmente di allontanarmi dalla vita di sacrifici che ho sempre condotto con i miei genitori, è merito del coach O'Connor e per questo io gli sono grato e debitore.

Il mio allenatore mi osserva fiero. In questi anni ho imparato a conoscerlo e mi sono legato a lui, l'unico che capisca davvero la mia passione per lo sport. Ultimamente inoltre, dopo ciò che è stato costretto ad affrontare, sembra essersi addolcito. Per questo ora sono un po' timoroso all'idea di trasferirmi l'anno prossimo a Dallas e lavorare con una nuova squadra, senza di lui.

Il coach sembra leggermi nel pensiero, infatti sospira pesantemente: "Mi piacerebbe seguirti anche l'anno prossimo a Dallas, per poter continuare a lavorare insieme e vederti raggiungere grandi risultati. Però non è semplice, io devo... Non so, vedremo" taglia corto, concludendo il discorso. So che per lui sarebbe un grande sacrificio allontanarsi da questo posto e io non glielo chiederei mai. Mi rendo conto quanto le cose possano essere difficili per lui.

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