Capitolo 73: Onore all'uomo che...

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Kevin

"Ehi, O'Connor!" John, uno degli operai della squadra, mi ferma proprio mentre sono in procinto di lasciare il cantiere.

Mi trovo nel giardino della villa padronale, la cui ricostruzione è ormai quasi terminata. Giusto in tempo per l'arrivo dell'estate, quando qualche ricco imprenditore la affitterà facendoci un mucchio di soldi e ignorando l'enorme valore che l'abitazione riveste, in quanto parte del patrimonio culturale risalente all'Età Coloniale.

"Crawford ti aspetta dentro, vuole parlarti" mi avvisa John. Sbuffo e alzo gli occhi al cielo, gettando il capo all'indietro e sfilando la sigaretta che mi ero già messo tra le labbra, per poi mettermela dietro l'orecchio. Che cazzo, oggi dovevo lavorare solo la mattina! – protesto silenziosamente dentro di me, sperando che il mio capo cantiere non mi assegni del lavoro extra per questa giornata.

Raggiungo Crawford nel suo ufficio, o meglio in quella che dovrebbe essere la cucina della villa, sulla cui isola centrale Crawford ha allestito la sua scrivania, ricoprendo il marmo pregiato con montagne di fogli, scartoffie, documenti, prospetti, disegni.

Afferro una sedia di metallo addossata alla parete e ricoperta di polvere e di calce e mi ci siedo al contrario, appoggiando le braccia sullo schienale. Dall'altra parte del tavolo Crawford mi squadra serio per qualche secondo. "O'Connor" comincia con voce grave e io mi aspetto una delle sue solite ramanzine, infatti prosegue: "Che cosa è questa roba?" chiede, porgendomi e indicando un foglio su cui è disegnato il progetto per la ristrutturazione finale dell'ingresso della villa.

Faccio un sospiro e mi affretto a giustificarmi: "Capo, ascolti. Questo disegno l'ho fatto io. Lo so che non ho la competenza per poter esprimere la mia opinione, ma pensavo che se spostassimo leggermente il muro separatorio di qualche centimetro, sarà possibile lasciare il dovuto spazio per non dover eliminare questa apertura. Si tratta di una bifora, sarebbe un peccato doverla chiudere, perché è realizzata alla perfezione; cambiando le misure e facendo un paio di calcoli, ci sarebbe comunque abbastanza forza portante per la parete superiore" provo a spiegargli, anche se, ascoltandomi dall'esterno, mi sento un po' ridicolo per questa lezione di fisica e architettura improvvisata.

Crawford mi fissa in silenzio per alcuni secondi, con uno sguardo inquisitorio. "Immaginavo fosse opera tua. Infatti volevo dirti che è una buona idea, complimenti" dice semplicemente, mantenendo un tono monocorde. Rimango interdetto, non capendo se sia serio e quale sia dunque il vero problema per cui mi ha convocato. Successivamente si schiarisce la voce e aggiunge, quasi leggendomi nel pensiero: "La ristrutturazione è ormai quasi terminata e volevo complimentarmi anche per l'ottima supervisione che hai attuato circa le operazioni sulla facciata esterna. Direi che hai fatto davvero un buon lavoro." Rimango spiazzato di fronte a una lusinga del tutto inattesa e inusuale da parte di Crawford. Rispondo alzando semplicemente le spalle e borbottando qualche ringraziamento, sentendomi per la prima volta in imbarazzo di fronte al riconoscimento dei miei meriti.

Crawford prende una sedia e si piazza di fronte a me, appoggiando gli avambracci sul tavolo. Si schiarisce la voce e finalmente arriva al dunque: "Per questo motivo non riesco a capire cosa significhi questa" dice, mostrandomi la lettera, o meglio il biglietto stropicciato, che stamattina ho lasciato sulla sua scrivania. Essendo Crawford stato assente durante gli ultimi giorni di cantiere e non avendo io altro modo per rintracciarlo, ho deciso di scrivergli le mie dimissioni dalla sua impresa, considerato che il lavoro presso questa villa è ormai terminato e che durante l'estate dovrò sbrigare le pratiche per l'ammissione del prossimo autunno presso la Scuola d'Arte della US Central University.

Abbasso lo sguardo e con voce incerta mi giustifico: "Ho deciso di frequentare il college il prossimo anno". Crawford annuisce e resta in silenzio. "Credevo fossi un tipo senza aspettative, a cui non piace prendere impegni, anche se si tratta semplicemente di arrivare puntuale al lavoro" commenta, con le mani congiunte. Mi scopro privo di una risposta pronta: "Io...  Onestamente non so cosa voglio dalla vita e non mi dispiacerebbe neppure poter continuare a lavorare per lei qui. In fondo non è male, mi sono trovato bene, davvero. Però mi dispiacerebbe dovermi separare da qualcuno a cui voglio bene. Non posso permettermelo di nuovo. E credo anche di essere bravo, di avere buone capacità nel campo artistico. Inoltre l'arte mi piace. Era tanto che qualcosa non mi piaceva così e non voglio rinunciarci. Magari fallirò, ma... voglio provarci. Del resto ho già toccato il fondo una volta; non ho più paura" decido di essere sincero.

Dopo un altro silenzio, che acuisce il mio imbarazzo, sono spiazzato nel vedere Crawford lasciarsi andare in un sorriso, mentre si appoggia allo schienale della sedia e mi guarda alzando il mento. "Bravo O'Connor. Sono pochi quelli che hanno il coraggio di non arrendersi e soprattutto di non accontentarsi al giorno d'oggi. Devo confessarti che a me un po' dispiace, perché il tuo contributo nella mia impresa e in questo lavoro è stato importante e prezioso. All'inizio non avrei mai pensato di dirlo, ma hai delle buone capacità, non le accantonare" mi raccomanda.

Sorpreso, inclino leggermente la testa. "Grazie capo" rispondo, alzandomi e stringendogli la mano, sentendomi davvero grato per le sue inaspettate parole.

Quando esco nuovamente in giardino e percorro il viale che conduce alla cancellata, mi volto a guardare la facciata della villa, che sembra aver recuperato poco a poco il suo antico splendore

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Quando esco nuovamente in giardino e percorro il viale che conduce alla cancellata, mi volto a guardare la facciata della villa, che sembra aver recuperato poco a poco il suo antico splendore. "Ma guardalo! Brunelleschi che osserva la sua cappella!" mi prende in giro John, ridendo scherzosamente. Rido a mia volta; non importa se quella di Brunelleschi è la Cupola del Duomo di Firenze e non la cappella; in questo momento mi sento soddisfatto di me stesso ed è una bella sensazione che decido di assaporare. Ricambio il sorriso di John, gli faccio un cenno con la mano e mi allontano, sentendomi per la prima volta fiero delle mie decisioni.

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