Capitolo 5: Inopportuno

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Romi

Sono pazientemente seduta al minuscolo tavolo della casa dei miei genitori, in attesa della cena che mia madre si sta affaccendando a preparare. Non c'è verso che io la aiuti, creerei troppo disordine e la distrarrei da quel suo rigido codice mentale che sembra costringerla a compiere meccanicamente le stesse azioni ogni giorno. Sento la porta di casa sbattere e sobbalzo tenendo le spalle rigide, mentre mio padre entra con grande foga in cucina e si siede di fronte a me, trascinando pesantemente la sedia sulle piastrelle consumate del pavimento.

"Ho una fame da lupi! Cosa c'è da mangiare? Sento un buon profumino! Non avrete già cominciato senza di me?" Il fiume di parole con cui mi investe rivela un eccitamento malato, pericoloso, che purtroppo ho imparato a conoscere e riconoscere fin troppo bene ormai. Tengo la testa bassa con un sorriso conveniente sempre dipinto sulle labbra, in modo da simulare il meglio possibile uno stato d'animo rilassato, anche quando lui si alza nuovamente, estrae dal frigorifero una birra, se la scola tutto d'un fiato e emette un rutto rozzo e volgare. "Romi, alzati da lì. Voglio guardare tua madre mentre ceniamo. Ecco, siediti da questa parte, a capotavola" mi intima con tono brusco, facendomi immediatamente spostare dal lato più lungo del tavolo rettangolare, in modo che lì possa sedersi mia madre e trovarsi esattamente di fronte a lui. Il mio nome, pronunciato da quell'uomo, ha un suono orribile.

La mamma serve lo sformato di patate nei nostri piatti, ma non faccio in tempo ad assaggiarlo, perchè il verdetto sulla cena viene sentenziato dalla voce spazientita di mio padre, il quale finora non ha ancora neppure preso in mano le posate: "Ma l'hai cotto come si deve questo coso?! E guarda il formaggio: che roba è questa schifezza!?" La smorfia disgustata che si dipinge su quel volto mi spinge a spostare lo sguardo serrando i denti. Mia mamma cerca qualche scusa e si alza per controllare sulla ricetta di aver seguito i tempi di cottura consigliati. "Vedi? Lei prova a fare questi esperimenti da grande cuoca, ma è proprio un'incapace!" sussurra a denti stretti l'uomo seduto al mio fianco.

Come sempre evito di rispondere, questo mi permette di illudermi di essere invisibile, intoccabile e dunque incolume. Ma si tratta appunto di una semplice illusione. Odio me stessa per questo, so di essere una persona orribile, ma ormai non posso neppure più negarlo: onestamente se si tratta di dover scegliere tra me e mia madre, preferisco se la prenda con lei, del resto lei lo ha scelto, ha scelto lui e questa vita. Io no.

Durante l'intera cena mia madre ride e scherza con un'espressione persa, dimostrando di trovarsi perfettamente a suo agio nel clima denigratorio che subisce quotidianamente. Mio padre la lusinga a suo modo, con sguardi espliciti e inappropriati, mentre si finge gentile nel tenerle la mano.

"Ti illudi di avere qualcosa da mostrare?" mio padre indica, con la punta del coltello che tiene in mano, la camicetta poco scollata sul seno appena accennato di una ragazzina di tredici anni quale sono io. Ha uno sguardo eloquente. Si tratta dell'ennesimo commento meschino a cui mia madre ride giuliva e a cui segue l'ennesimo mio silenzio.

Quando la cena è conclusa, la mamma pone sul tavolo davanti a me un piccolo muffin, cucinato nel pomeriggio apposta per me. Dopo averla ringraziata, non ho neppure il tempo di ammirarlo. "Questo lo prendo io!" ridendo entusiasta e camuffando come sempre la prepotenza con la presa in giro, mio padre se lo infila in bocca con un unico gesto, continuando a fissarmi con un malsano sguardo compiaciuto.

A questo punto non mi resta che alzarmi e sparecchiare, ma ecco che, proprio mentre sono di spalle, intenta a lavare i piatti nel lavandino, lo sento avvicinarsi a me. Una vicinanza eccessiva e chiaramente inopportuna, così come inadeguati sono i gesti che compiono le mani di quello che nel corso di una serata da mio padre si è trasformato nel mostro a cui non mi abituerò mai. Da qui mi è semplicissimo intuire quello che accadrà questa notte, qualcosa che neanche la porta chiusa della mia camera riuscirà a tenere a distanza.   

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