Capitolo 1: Fuggiasca

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TEXAS, USA

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Romi

Corro forsennatamente lungo la discesa d'asfalto che conduce alla sponda del fiume, dove l'imponente corso d'acqua si allarga e prosegue sempre più veloce con un'impetuosità paurosa, fuori controllo. Inciampo più volte ma riesco a restare in equilibrio. La strada è deserta al crepuscolo e la luce del sole basso di fine estate mi acceca, puntandosi dritta nei miei occhi. Sento il sudore freddo e appiccicoso scorrermi lungo la schiena, ho la vista offuscata dalle lacrime, il corpo percorso da spasmi nervosi e la gola secca intrappola dentro di sé un rantolo roco, il quale tuttavia non si traduce mai in un suono reale, ma riecheggia assordante nella mia mente. Corro, corro, corro, senza ormai avere più fiato. Del resto non mi serve, ho smesso di respirare tempo fa. Mi stanno inseguendo, le avverto alle mie spalle, mi sfiorano le costole: sono tutte le mie paure, che in momenti come questo si trasformano in mostri capaci di mangiarmi viva attraverso la mia pelle. Sono demoni che crescono nella mia testa, dentro di me, dopo essere stati introdotti con quella violenza da cui sto scappando. La stessa violenza con cui il fiume scorre, scontrandosi con le rocce che emergono dalla superficie, travolgendo qualsiasi ostacolo incontri. La stessa violenza con cui le mie mani e il torace sbattono contro la staccionata di legno che delimita la strada e oltre la quale il pendio di erbacce e rocce conduce alla riva del canale, che scorre più basso rispetto al livello della strada.

Considerato il bruciore, credo di essermi procurata alcuni tagli sulle braccia, scoperte dalla canottiera che indosso, a causa delle schegge di legno della vecchia e malconcia staccionata, la quale mi arriva all'altezza del petto. La brezza della sera mi sfiora il viso, rinfrescandolo e riportandomi in vita. Mi sembra di riuscire a tornare a respirare. Deglutisco un paio di volte e mi bagno le labbra con la saliva. Dopo qualche istante mi volto, ancora preda di quel panico che mi aggredisce a partire dallo stomaco. Mi passo una mano tra i capelli e mi accorgo di quanto devono apparire spettinati e sudici. La strada alle mie spalle, che conduce verso il centro cittadino, è attraversata da poche persone distratte. Sapevo che in periferia, in prossimità del fiume, avrei potuto trovare ristoro: questo luogo è poco frequentato, ecco perché lo prediligo.

Mi volto nuovamente ad osservare la vegetazione sull'altra sponda del fiume: il vento che si insinua e scuote la macchia verde sembra tranquillizzarmi. Una paura inspiegabile e, al momento, immotivata scorre nelle mie vene e mi costringe continuamente a guardarmi alle spalle, ormai da diversi anni a questa parte. In questi istanti capisco che non potrò continuare a vivere a lungo così, braccata dal mio passato, in costante fuga come una fuorilegge. Così vengo travolta da un'altra ondata di disperazione, quella per cui il mondo sembra dover finire nell'istante successivo e sei grata anche solo per i respiri che riesci ancora a compiere; ti accorgi allora, con un senso di rassicurazione inattesa, che per poter sopravvivere non occorre molto.

All'improvviso un fruscio al mio fianco mi distoglie dal labirinto di cui è prigioniera la mia mente. Mi rendo conto soltanto ora di non essere sola: accanto a me, ad una distanza in realtà maggiore da quella che avevo percepita, vedo ciò che di più affascinante mi sia mai capitato di incontrare. Di questo mondo io non ho visto né sperimentato molto, eppure ciò che osservo con un'attenzione spudorata mi sembra provenire da una realtà ignota. Si tratta di un semplice ragazzo, è chiaro. Indossa una maglietta e una felpa nere e dei jeans scuri stracciati, porta alcune catenine al collo e dei polsini in cuoio sulle braccia. Tuttavia sono gli occhi ad essere diversi, come se non appartenessero a quell'aspetto apparentemente anonimo: sono di un verde brillante, simile al colore del mare in prossimità degli scogli e, probabilmente, vengono resi ancora più luminosi dai capelli corti di un castano chiaro e dall'accenno di barba dello stesso colore. Vagano senza mai sostare su alcun elemento del paesaggio, tanto che il ragazzo non si accorge del mio sguardo indiscreto. Fissa un punto indeterminato davanti a sé, con i gomiti appoggiati sulla staccionata e tra le mani un raccoglitore di fogli ad anelli con le pagine bianche.

C'è qualcosa in questo ragazzo che risveglia in me tutte quelle paure da cui stavo fuggendo un attimo fa; finalmente conferisce loro una forma e un aspetto, ma questo fa sì che in me l'angoscia si faccia più viva che mai. Eppure non riesco a staccare i miei occhi da lui: non ho mai guardato nessuno con tanta intensità. Mi soffermo a notare l'anellino d'oro che porta sull'orecchio sinistro, la catena agganciata ai passanti dei jeans che dondola sul fianco della gamba destra, gli stivali da motociclista logori, il tatuaggio sulla spalla e mi accorgo che sto trattenendo il fiato.

Istantaneamente i suoi occhi si alzano dall'asfalto su cui sembravano vagare e, con una determinazione che smaschera una certa intenzionalità, si fissano nei miei, con uno sguardo duro, il quale appare come un avvertimento: so che sei qui al mio f...

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Istantaneamente i suoi occhi si alzano dall'asfalto su cui sembravano vagare e, con una determinazione che smaschera una certa intenzionalità, si fissano nei miei, con uno sguardo duro, il quale appare come un avvertimento: so che sei qui al mio fianco – sembrano volermi dire, come se la mia presenza non gli fosse indifferente. Con due dita sfila la sigaretta che teneva tra le labbra. Istintivamente mi porto le mani sul volto, tentando di asciugare le lacrime calde che mi rigano le guance, ma per la prima volta in vita mia non distolgo lo sguardo, non riesco, continuo a fissare quel ragazzo e credo che lui possa percepire le parole che inconsapevolmente vengono formulate nella mia testa: ti prego aiutami, salvami! Portami via da qui!

Non so perché mi rivolgo proprio a questo sconosciuto, senza invece continuare a scappare. Tuttavia mi accorgo che il mio grido si realizza solo dentro di me, mentre dalla bocca spalancata non esce alcun suono. Il mio petto continua ad alzarsi e abbassarsi, prigioniero di un affanno crescente, finchè l'aria non mi viene a mancare e le gambe mi cedono. Da questo punto è il buio totale, tuttavia per una frazione di secondo sono ancora in grado di sentire e, quello che è certo, è che non percepisco il mio corpo sbattere contro l'asfalto ruvido della strada con quella violenza a me familiare, bensì mi sembra semplicemente di addormentarmi in un posto caldo e sicuro

LA VITA E' COME TE LA FAIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora