Capitolo 12: Danni collaterali

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Romi

"Non posso crederci! Un'insufficienza è l'ultima cosa che mi ci voleva! I miei genitori si incazzeranno e non mi lasceranno venire alla festa di sabato. Inoltre adesso la media delle mie valutazioni è in equilibrio precario!" Una delle mie compagne di classe si lamenta con un gruppo di amiche che circondano il suo banco, prima che cominci la lezione. Io come sempre me ne sto seduta in silenzio al mio posto, ma non posso fare a meno di ascoltare. "Vedrai che recupererai" la consola un'altra ragazza "e comunque alla festa di sabato probabilmente non ci sarò neppure io. Il ragazzo con cui sono in contatto via SMS stamattina non mi ha ancora risposto: temo che le sue intenzioni non corrispondano alle mie e che mi eviterà a vita!" annuncia con tono sconsolato.

Non posso fare a meno di accennare un sorriso tra me, assistendo a quelle che, a diciotto anni, vengono giustamente considerate come le sofferenze della vita. Mi sembra nuovamente di essere un'estranea, di osservare questa vita dall'esterno: solitamente per gli adolescenti la scuola è la preoccupazione più gravosa, per me invece è sempre stata l'ultima, anzi, forse l'unica cosa che per me ha funzionato.

"Scusami Romi" un ragazzo del mio corso mi si avvicina timidamente con un quaderno tra le mani. Ancora una volta, con imbarazzo, mi accorgo di non sapere neppure il suo nome. Lui tuttavia sembra conoscermi, così gli sorrido gentile. "So che te la cavi in matematica, mentre io sono una frana. Non ho proprio capito questo esercizio riguardante la scorsa lezione. Quindi mi chiedevo se tu potevi..." mi spiega, ma io lo interrompo, felice che si sia rivolto a me e cercando di mostrarmi il più disponibile e cortese possibile. "Certo! Ecco, io credo di essere riuscita a risolverlo. Quindi se lo vuoi copiare si trova qui" gli metto tra le mani il mio quaderno e gli indico sulla pagina il procedimento che ho svolto. Il ragazzo tuttavia si ritrae e mi osserva allibito per un secondo: "Ehm, no vabbè, lascia stare. Proverò a risolverlo da solo ancora una volta" mi informa con una certa delusione, quasi offeso, poi si allontana.

Lì per lì mi trovo confusa: insomma mi ha chiesto di copiare i compiti prima della lezione e io mi sono mostrata disponibile. È quello che vogliono tutti, no? Ottenere ogni cosa subito e con il minimo sforzo, se possibile, sfruttando gli altri. O forse no? Insomma, io sono cresciuta secondo questa logica. Dai per  ricevere. Non c'è spazio per niente di gratuito.

Se io davo a mio padre ciò che voleva e facevo ciò che mia madre desiderava, ottenevo il privilegio di sopravvivere in quella casa e magari anche di poter andare a scuola e vedere altre persone.

Eppure, un dubbio si fa largo in me: il ragazzo voleva solo che gli spiegassi la scorsa lezione, in modo da aiutarlo a risolvere quel dannato esercizio. Voleva che ci lavorassimo insieme, non era un espediente per approfittarne.

Scuoto la testa, delusa da me stessa e chiedendomi se riuscirò mai ad adattarmi a una vita normale, serena, senza tenere sempre la difesa alta e capendo che le persone buone e gentili al mondo esistono e che non devo tenerle a distanza. Ho semplicemente avuto l'occasione di conoscerle soltanto una volta abbandonata la mia famiglia e ancora mi devo abituare ad esserne finalmente libera.

***

"Romi! Ehi, stai bene?" Dylan corre verso di me attraverso lo spiazzo attorno a cui si distribuiscono le casette del villaggio. Oggi a scuola non ci siamo visti, perché lui ha saltato le lezioni per incontrare la squadra degli Hunters e farsi conoscere dagli altri giocatori.

Ha sempre quell'espressione impensierita con cui mi scruta, tentando di capire cosa c'è che non va e soprattutto se può fare qualcosa, qualsiasi cosa, per aiutarmi. Non posso fare a meno di sentirmi un po' in colpa per la premura immeritata che mi riserva il mio migliore amico e soprattutto per coinvolgerlo sempre nel vortice turbinoso di danni collaterali che sembro portare con me, ma che posso risolvere soltanto io. 

Dylan osserva allarmato il cerotto sulla mia fronte e mi prende il polso fasciato tra le sue mani, ma io mi ritraggo subito. "Sto bene, grazie" gli rispondo sincera con un sorriso grato. "Non c'è bisogno che ti preoccupi per me, davvero. Sono solo inciampata" dico la verità. In maniera piuttosto imprecisa. "Vuoi che ti faccia compagnia stasera?" si offre gentile, ma io scuoto la testa convinta: "Dylan davvero, va tutto bene. Non sacrificare la tua serata per me" provo a convincerlo di non sentirsi in dovere di trascorrere con me una delle mie noiose tipiche serate a base di sandwich e film. Lui appare incerto, ma alla fine abbassa il capo con un sorriso e i segni di preoccupazione svaniscono dalla sua fronte, lasciando posto a un'espressione più rilassata: "Ok, d'accordo allora. Io questa sera dovrei uscire a cena con Tiffany" annuncia. "Ah fantastico!" esclamo entusiasta. "Divertitevi e salutamela!" mi raccomando, ma Dylan sembra voler aggiungere qualcosa.

Tuttavia veniamo interrotti dall'arrivo di sua mamma: "Romi, grazie mille per l'aiuto che mi dai! Sei stata fantastica e molto efficiente nel ripulire e riordinare la casa 51 dopo che gli affittuari hanno deciso di andarsene" mi ringrazia. "Ci mancherebbe Jadis è il minimo che io possa fare per sdebitarmi dell'ospitalità che mi offri qui al villaggio" le rispondo con un sorriso, specchiandomi nei suoi occhi azzurri come quelli di suo figlio.

Jadis è una donna molto socievole ed affettuosa. E' giovane, ma lo sembra ancora di più per il fisico asciutto e i vestiti sportivi che indossa; i capelli castani sono raccolti in una piccola coda in cima al capo e due ciuffi le incorniciano il volto sempre sorridente, su cui porta solo un velo di rossetto. Quando ho lasciato la casa dei miei genitori, mi ha accolta qui senza esitazione, a causa dell'amicizia che fin da bambina mi lega a Dylan. Mi ha permesso di restare in cambio di un aiuto nella gestione del villaggio. La famiglia dei Morris è l'unica conoscenza che sono riuscita a costruire e mantenere al di fuori della mia segregante famiglia. Mi hanno concesso di poter iniziare questo tipo di vita e gliene sarò per sempre riconoscente.

"Aspetta. Ti aiuto a riportare in magazzino questa roba" si offre Jadis, raccogliendo da terra il secchio dell'acqua per lavare i pavimenti e alcuni detersivi con cui ho appena ripulito l'abitazione che si è da poco svuotata.

Resto così in piedi davanti a Dylan, con indosso i guanti di gomma, lo straccio bagnato stretto in un mano e lo scopettone nell'altra. Mi asciugo la fronte sudata con l'avambraccio. "Be' allora buona serata" gli dico. "Vuoi che ti faccia compagnia mentre aspetti Tiffany o vai a prenderla tu?" aggiungo poi, vedendolo ancora esitante. Dylan sembra riprendersi: "No tranquilla. Devo passare io a prenderla e sono già in ritardo. Quindi... grazie Romi e buona serata anche a te!" mi saluta, voltandosi e allontanandosi. Poi sembra ricordarsi di qualcosa e mi richiama: "Ah Romi... Se hai bisogno di qualcosa, chiamami" afferma serio. Io annuisco convinta, soprattutto del fatto che con i miei danni collaterali ormai so conviverci, ma mai e poi mai farei qualcosa che potrebbe intralciare il mio migliore amico. O la sua relazione con Tiffany.

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