Capitolo 34: Partecipazione

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Romi

Odio i cimiteri. Credo di esserci stata pochissime volte in vita mia e non ricordo neppure l'ultima. So solo che non posso ignorare le presenze che avverto sotto di me mentre cammino sull'erba, ormai fradicia a causa della pioggia battente. Il cielo si è fatto scuro, nonostante sia ancora pomeriggio; le nuvole cariche di pioggia sembrano partecipare all'enorme unico lutto di cui questo posto è santuario.

Cammino cauta tra le lapidi di pietra, il cui profilo regolare le rende tutte uguali, come a ricordare che la morte rende gli uomini tutti uguali. Tengo gli occhi bassi; non voglio scorgere alcun nome inciso su queste pietre, perché ognuno di essi è carico di una storia, che io non riuscirei a lasciare sepolta, ma che potrebbe finire per seppellire me.

Finalmente lo scorgo: tiene le ginocchia piegate ed è appoggiato sui talloni mentre con una mano accarezza la pietra dura e fredda che ha davanti. Mi fermo poco distante, sotto una quercia dalla chioma folta, che mi protegge dalla rabbia con cui il cielo sembra riversare fiumi di pioggia.

Vedo le spalle di Kevin sussultare silenziosamente più e più volte, lasciando che siano i tuoni con i loro gridi a esprimere lo strazio che ha sempre portato dentro di sé. Deve avermi sentita arrivare, perché dopo qualche minuto si volta lentamente, mostrandomi un viso scavato e segnato dal dolore di un ricordo ancora vivo. Mi avvicino a passi cauti, inginocchiandomi accanto a lui e cingendogli le spalle. Kevin nasconde il viso nel mio collo, tra i miei capelli, e mi stringe in vita, abbandonandosi finalmente ad un pianto liberatorio a cui partecipo silenziosamente. 

Gli accarezzo lentamente il collo e la schiena, ricordandogli che sono qui accanto a lui. Dopo un tempo indefinito mi rivela con voce rotta: "E' stata colpa mia." Ormai Kevin deve aver capito che sono a conoscenza del perché si trova qui e sento che ha bisogno di confessare ciò che ha vissuto in una vita precedente. Tuttavia deve anche sapere che nulla mi allontanerà da lui. Resto calma e aspetto che prosegua: "Eravamo tutti in macchina. Mio padre guidava e io ero seduto accanto a lui. Stavamo discutendo, come sempre da quando era tornato a casa dopo l'ultima missione. Durante tutti gli anni delle superiori lui non mi ha mai perdonato il fatto che non facessi parte della sua squadra di football, ma la mia passione era un'altra. Avevo passato l'ammissione per la Scuola d'Arte e Mestieri della US Central University ed ero determinato ad andarci. Litigavamo furiosamente, ma lui non cedeva nell'accettare la mia decisione. Mia mamma dal sedile posteriore ci pregava di smettere e di fare silenzio, perché Lottie stava dormendo seduta accanto a lei. Non ce la facevo più, odiavo mio padre e volevo solo andarmene. Ho fatto per aprire la portiera mentre la macchina era in corsa, minacciandolo di fermarsi e farmi scendere. Lui ha perso il controllo dell'auto. C'era un masso sulla carreggiata. La macchina si è capottata e da lì è stato l'inferno" conclude in un sussurro pervaso di sofferenza. Restiamo abbracciati sotto la pioggia, finchè questa finalmente decide di lasciarci soli, di rispettare questo dolore silenzioso e solitario.


Siamo seduti sotto la quercia, le cui ampie radici si sono offerte di accoglierci. Percepisco l'umidità attraversarmi la stoffa dei jeans e insinuarsi nelle mie ossa; osservo Kevin togliersi la felpa, passarsela sul viso bagnato e restare in maglietta. Sembra più calmo ora, dopo aver finalmente raccontato qualcosa che aveva negato anche a se stesso per quasi un anno. Eppure vedo nei suoi occhi un vuoto, un baratro profondo e buio in cui non riesco più a specchiarmi.

Ricordo il nome che avevo visto inciso sulla piastrina che porta al collo, Lottie, quello della sua sorellina e nella mente mi balena quel disegno, ripetuto all'infinito sui fogli appesi ai fili sul soffitto del garage. Con esitazione lo accenno: "Era il suo volto quello disegnato con il carboncino, non è così?" gli chiedo in un sussurro. "Ho paura di dimenticarla, i suoi lineamenti si fanno sfuocati e io tento di renderli eterni fissandoli sulla carta, ma temo non funzioni" mi confessa con frustrazione, poi mi indica il tatuaggio di Simba sulla sua spalla: "Il Re Leone era il suo film d'animazione preferito: avrò fatto per lei questo disegno un milione di volte e lei si divertiva a colorarlo. Vedi quella margherita dipinta sulla lapide?" rivolge un cenno del capo alla pietra su cui è inciso il nome della sorella, affiancato da un disegno fine. "L'ho fatta l'unica volta in cui sono riuscito a venire qui. Non ci sono più tornato fino ad oggi. Non ho avuto neppure la forza di andare al funerale, avevo paura di affrontare mio padre e il dolore dei miei genitori. Me ne sono andato di casa perché non avrei sopportato la colpa che giustamente mi attribuiscono e che è la condanna che merito. Vivo nella vergogna per ciò che non sono riuscito ad affrontare e sopportare, come un esiliato" mi confessa con voce nuovamente rotta.

Resto paralizzata dal rancore che Kevin prova verso se stesso e dalla sua fermezza nel non volersi liberare di questo dolore. "Kevin non è stata colpa tua. Perdona te stesso e ti accorgerai che coloro che ti vogliono bene lo hanno già fatto" credo sia la prima frase che pronuncio da quando sono qui, ma lui non mi ascolta, non vuole farlo: "Lottie è nata non appena mio padre è ritornato dal Medio Oriente. Era l'emblema di un nuovo inizio per la nostra famiglia, la pace che mio padre meritava dopo gli anni d'inferno trascorsi in guerra. La mia famiglia è morta con Lottie in quell'incidente. Il legame tra i miei genitori è stato spezzato dalla sofferenza e si sono separati. Io ho distrutto la mia famiglia, non le ho dato altro che dispiaceri!" Kevin parla a voce alta, ora che il dolore ha lasciato posto alla rabbia e all'esasperazione.

"A causa di tutto questo hai rinunciato alla Scuola d'Arte, vero? Kevin, tua madre e tuo padre hanno dovuto fare proprio il dolore che stavano vivendo, per questo si sono allontanati, per poter vivere il lutto in solitudine e so che fa male, ma non è sbagliato e soprattutto lo sbaglio non è stato tuo. Tu hai distrutto te stesso sotto questo macigno che porti sulle spalle. Tua sorella non ti lascerà mai, ma sei tu a doverla lasciare andare. Hai messo fine anche alla tua vita rifiutandoti di proseguirla, rifiutando l'ammissione al college, rifiutando un futuro che avresti amato. Sono sicura che i tuoi genitori vorrebbero solo vederti realizzato" provo a farlo ragionare, ma onestamente mi accorgo della vuotezza delle mie parole di fronte ad un simile lutto e il vuoto che esso comporta.

"I miei genitori vogliono che mi assuma le mie responsabilità ed è quello che ho fatto. Non merito niente di diverso, credimi! Mio padre continua ad odiarmi e mia madre è troppo fragile perché io le ricordi costantemente il dolore che le ho causato. E' meglio che io stia lontano da loro!" afferma categorico e rabbioso, scattando in piedi e camminando furioso avanti e indietro sotto la quercia. 

Decido di restare in silenzio e abbasso lo sguardo sulle mani che tengo appoggiate sulle ginocchia. Kevin sembra calmarsi e torna a sedersi accanto a me, prendendo le mie mani nelle sue. "Sono tornato qui oggi perché la verità è che tu me la ricordi. Hai la stessa pelle chiara e gli occhi azzurri di Lottie, la stessa innocenza e meraviglia nei confronti della vita. Sei la prima che mi ha fatto provare di nuovo un senso di protezione: credevo di essere io a doverti proteggere, ma in realtà è il contrario. Prendendomi cura di te ho sentito di nuovo la premura e la dolcezza che solo Lottie riusciva a farmi provare. All'inizio ne avevo paura, ma non riuscivo a farne a meno. È come se mi avessi riportato in vita" mi confessa in un sussurro, fissando i suoi occhi nei miei.

Finalmente vedo rinascere quella luce nel suo sguardo, la vedo provenire da lontano e avvicinarsi a me. Prendo il viso di Kevin tra le mani, asciugando le sue lacrime e accarezzandogli le labbra con il pollice. "Credo di essere innamorata di te Kevin" gli rivelo, senza accorgermi delle parole che pronuncio, senza controllarle, ma sperando che possano essere per lui una vera rinascita. Vorrei poter rappresentare per lui l'inizio di un nuovo capitolo, in cui possa liberarsi dalle colpe del passato, come lui ha liberato me.

"Ti amo Romi" mi risponde Kevin, premendo furioso le sue labbra sulle mie e passando una mano dietro il mio collo. Mi attira a sé senza chiedermi il permesso, ma questa volta non ne ha bisogno. È la prima volta che un contatto non mi fa male, anzi mi spinge a vivere e volerne di più.

Un raggio tenue di sole spunta basso dalle nuvole verso l'ora del tramonto, manifestando la partecipazione con cui la natura ci ha accompagnato fin dall'inizio.

LA VITA E' COME TE LA FAIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora