Capitolo 42: Soprusi

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Romi

Sono sconcertata. Non so se mostrare una scandalizzata indignazione di fronte a tutto ciò oppure lasciarmi abbattere dalla disperazione. Sento di essere sull'orlo di arrendermi, ma so di non poterlo fare.

Mia mamma non mi crede. Lei non crede a tutto quello che le ho appena raccontato e ciò che mi destabilizza maggiormente è che non cede neppure di fronte all'ovvio. Non ammette ciò che è innegabile. Non solo non mi ritiene sincera in merito a quanto le ho appena rivelato di subire da parte di mio padre, ma non riesce a realizzare che in fondo è ciò che sopporta da sempre anche lei. Del resto però non si può aiutare chi non vuol essere aiutato, bisogna capire quali sono le battaglie che vale la pena combattere, altrimenti se ne uscirà sempre sconfitti. Se mia madre non vuole liberarsi da questa situazione per me va bene, ma io non ci sto più a sottostare a una simile tortura che finalmente ho imparato a chiamare per nome.

Così finisco di dirle con freddezza la decisione che ho preso nel rivolgermi ai servizi sociali e a questo punto lei non può più ribattere nulla, perché sa che non c'è via d'uscita: finalmente è in grado di comprendere che gli orrori che si realizzano in questa casa appaiono sufficientemente chiari visti dall'esterno, tanto da non necessitare spiegazioni e nulla sarà più in grado di camuffarli.

Prima avevo pensato di chiedere aiuto a qualche parente, ma presto mi sono resa conto che erano tutti dalla parte dei miei genitori. O perché increduli e sconvolti o perché non poi così diversi da loro, tanto da ritenere che mi merito tutto quello che mi accade. Sono sola e lo sconforto rischia di prendere il sopravvento.

"Voglio andare a scuola mamma, uscire con le altre ragazze e fare ciò che tutte le sedicenni fanno. Ed è quello che merita anche Silvy e tu lo sai" parlo decisa, tentando di ignorare il terrore che mi sta consumando persino le ossa, quello di uno tsunami che irreversibilmente stravolgerà la mia vita e che ho paura potrà travolgere anche me. Eppure una cosa è certa: restare qui equivale ad una condanna sicura.

Vedendo lo spavento di mia madre, la quale preferisce nascondere la polvere sotto al tappeto piuttosto che spazzarla fuori casa, proseguo con maggior pacatezza: "Sai mamma, a me piace imparare e credo anche di cavarmela. Me lo hanno detto i professori, ma si sono anche accorti che c'è qualcosa che non va in me e nella mia vita e tu sia di cosa si tratta. Permettimi di salvare me stessa. Non vorresti il meglio per le persone a cui vuoi bene?" le domando, ma segue ancora il silenzio.

"Vorrei potermi svegliare in un ambiente sano in cui sentirmi abbastanza sicura per potermi dedicare allo studio, così potrei approfondire la mia passione per la mitologia e le lettere classiche" le confesso, ma mi interrompo non appena mia padre sopraggiunge nella stanza. La voce mi si ghiaccia in gola, bloccando il mio respiro.

Ad ogni modo non ci sarebbe stato verso di proseguire la conversazione. Infatti mio padre parla sopra la mia ultima frase: "Ma hai visto come è ridotta questa casa? Sembra un porcile da quanto è sporca!" esclama spazientito, rivolgendo un prepotente e del tutto ingiusto rimprovero a mia madre. "E tu smettila di parlare tanto Romi, sei asfissiante! Non ti si sopporta! E non rivolgerti con quel tono a tua madre" mi dice quest'uomo ipocrita, prevaricandomi.

Poi torna a parlare alla mamma: "Ovviamente, quando ti devo parlare io, tu non sei mai disponibile ad ascoltarmi, mentre lei può sempre tutto!" mi indica frustrato e infastidito dalla mia presenza che, nella sua mente malata e nevrotica, lo allontana da mia madre.

Eppure, nonostante tutto, non rinuncia al controllo che ha su di me, all'esclusiva con cui può disporre di me e del mio corpo a suo piacere. Ma tutto questo finirà presto.  

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