Capitolo 6: Impaccio

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Romi

La brezza leggera che spira dal fiume al tramonto mi distoglie da ricordi che ho già rivisitato fin troppe volte e che, nonostante tutto, sembrano non volermi mai dare tregua. Questa sera, prima di cenare, ho deciso di rintanarmi nella mia piccola fortezza: una casetta sopraelevata in legno bianco, collocata dove il corso del fiume si riduce ad un piccolo ruscello, ben protetto dalla vegetazione lussureggiante e ormai autunnale del boschetto che circonda il villaggio di case mobili. Sorrido tra me, felice nel respirare un po' di aria pura e sana e nel pensare alla cena che tra poco mi potrò preparare nella piccola casa mobile dove ora vivo da sola. Sollevo i gomiti dalla balconata a cui mi ero appoggiata per ammirare il corso d'acqua e torno a sedermi a gambe incrociate al centro della casetta, riparata da un tetto in tegole di terracotta e a cui si accede tramite una breve scaletta. Con il mio manuale di mitologia tra le mani, che per me ha lo stesso fascino di un libro delle favole, mi perdo nuovamente nell'osservare il cielo, che è attraversato da nuvole rosee colorate del sole, il quale si è ormai nascosto dietro gli alti pini. Mi piace ascoltare il gorgoglio tenue dell'acqua del ruscello che scorre delicata come una carezza.

Per proteggermi dalla brezza serale ho deciso di indossare quella felpa che ormai mi sono concessa di considerare mia: la felpa nera di quel ragazzo sconosciuto, la quale sembra racchiudere in sé tutta la premura con cui deve essersi preso cura di me, anche solo nel non abbandonarmi svenuta in mezzo alla strada. Mi piace indossarla: è morbida e inaspettatamente profumata. Mi fa sentire al sicuro.

Per una frazione di secondo socchiudo gli occhi, godendomi questa quiete, ma quando li riapro il mio sguardo viene catturato da un dettaglio tutt'altro che insignificante e non posso evitare di chiedermi con timore se sia apparso all'improvviso o se mi abbia fatto compagnia per tutto il tempo.

Una figura alta e slanciata si staglia contro luce su una roccia poco distante, dove un uomo, considerata la stazza, tiene in mano una canna da pesca ed è intento ad osservare un punto indeterminato davanti a sé, come se la sua mente fosse ben lontana da quanto sta facendo.

Mi alzo e, tentando di non fare alcun rumore, scendo dalla casetta, sperando di potermene andare inosservata. Tuttavia la mia inconveniente curiosità mi costringe a voltarmi nella direzione di quell'uomo, seduto sulla roccia con una gamba sospesa nel vuoto e l'altra avvicinata al petto, con il braccio appoggiato sul ginocchio e la canna da pesca tra le mani. Mi blocco e lo osservo con una maggiore attenzione. O no! - Penso sconsolata, senza alcun reale motivo: non è un uomo, è un ragazzo, quel ragazzo! Di nuovo lui! Ma perché?! Sono solita restare il più possibile distante dalle persone, quindi come mai questo sconosciuto sembra perseguitarmi?!

Eppure, nonostante il mio sgomento, o forse proprio per questo, non mi sposto di un centimetro, ma continuo a fissarlo, notando i pantaloni militari, gli anfibi neri e il cappellino con la visiera che indossa. Ha ancora quello sguardo luminoso perso nel vuoto, mentre con un mano sembra accarezzare l'accenno di barba sul mento. C'è qualcosa nel suo portamento che mi suggerisce una persona forte, sicura, ma anche misteriosa.

Non credo di essermi mossa, tuttavia qualcosa costringe il ragazzo a voltarsi di scatto esattamente nella mia direzione, come se sapesse ancora una volta che io sono proprio lì accanto a lui, intenta ad osservarlo, o meglio a spiarlo. Posa la canna da pesca, si alza in piedi e inspiegabilmente mi rivolge un sorriso d'intesa, come se ci conoscessimo: "Noto qualcosa di familiare!" accenna con un ghigno, rivolgendomi un gesto del capo. Non capisco immediatamente cosa intenda e soprattutto se si riferisca effettivamente a me; lui deve leggere tale confusione nella mia espressione, perché infatti subito dopo specifica: "Mi riferisco alla mia felpa, dolcezza!" scandisce, prendendomi in giro per il mio impaccio.

In questo momento vorrei scomparire. Mi rendo perfettamente conto che dovrei immediatamente sfilarmi questa maledetta felpa, alla cui delicatezza avevo erroneamente paragonato l'inclinazione del proprietario, il quale si è ora rivelato un cafone come altri, e lanciarla nella sua direzione senza troppi complimenti. Tuttavia le mie braccia non vogliono lasciare andare il libro di mitologia che tengo stretto al petto e i miei piedi sembrano incollati al terreno.

Non posso spiegare il sollievo che provo quando sento la voce di Dylan chiamare il mio nome. Mi volto e vedo il mio migliore amico avvicinarsi alle mie spalle. "Tutto bene?" mi chiede con voce prudente e uno sguardo sospettoso, probabilmente destato dal mio pallore. "Mia mamma ti cercava" mi avvisa Dylan, interrompendo la frase nel momento in cui, seguendo il mio sguardo, incontra il ragazzo che ora è sceso dalla roccia e sta raccogliendo la sua attrezzatura da pesca. "C'è qualche problema?" mi sussurra Dylan, senza mai distogliere gli occhi da quello sconosciuto, il quale sembra ricambiare il suo sguardo con altrettanta intensità e intenzionalità. "Io..." balbetto come al solito quando mi trovo di fronte ad un imprevisto. "Sto bene, stavo per tornare a casa e preparare la cena" rispondo evasiva. "Tua madre mi cercava? Bene, la raggiungo subito" concludo, felice di avere un'ottima scusa per allontanarmi.

Cammino a passi svelti verso il centro del villaggio e cerco di dimenticarmi il prima possibile della pessima figura che ho appena fatto, sperando che Dylan non abbia intuito nulla e tentando di soffocare l'imbarazzo in quel profumo persistente della felpa morbida che indosso e da cui sembro non volermi separare.

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