Capitolo 42 - Tempismo (im)perfetto

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SOFIA

Cerco di convincermi che non è solo il cuore ad avermi portato fuori casa di Michele, ma anche la ragione. Lui è troppo istintivo e io sto imparando soltanto ora quando è il momento di mettere se stessi prima degli altri o viceversa.
Perciò, dopo aver camminato avanti e indietro per non so quanto tempo, mi blocco e suono questo benedetto citofono. Sperando sempre che il proprietario di casa non sia andato da qualche parte.

"Chi è?" risponde Michele.

"Ehm, ciao... sono-"

"Sofia. Riconosco ancora la tua voce." Avverto chiaramente la sua risata.

Mi sta prendendo in giro?

Non faccio in tempo a trovare una risposta adeguata che sento lo scatto di apertura del portone, quindi entro e non ci penso più. Mentre salgo la prima rampa di scale penso a quanto Michele sia lunatico. Non che lo avessi sempre ignorato, sia chiaro, però non credevo di trovarlo di buonumore.
All'ultimo gradino lui apre la porta dell'appartamento e per poco non ci resto secca. Indossa il pantalone della tuta e una maglietta grigia a maniche corte, umida e che si modella letteralmente al suo torace come una seconda pelle, lasciandomi quasi godere della vista del suo fisico asciutto. I capelli sono scompigliati e ancora bagnati, segno che è appena uscito dalla doccia. 

Mi riprendo dal mio stato di confusione e mi domando se prima o poi finirà di farmi quest'effetto, ma deduco non sia il momento adatto per rifletterci.

"Che sorpresa... prego, entra pure. Evito di dirti 'fai come se fossi a casa tua' perché la conosci come le tue tasche" dichiara con tanto di occhiolino.

Quello che ho di fronte è il gemello buono di Michele, giusto?

"Ci siamo svegliati simpatici oggi" lo punzecchio a mia volta.

"Non è una decisione che prendo al mattino, sono divertente e basta. Comunque come mai questa improvvisata?" 

Con un cenno della testa mi invita a sedere sul divano, ma non accetto. Non sarà una chiacchierata piacevole e non c'è bisogno di metterci comodi.

"È una questione importante. Forse faresti meglio anche ad asciugarti i capelli, visto che impiegherò più di cinque minuti per quello che devo dirti."

"Ah." Improvvisamente sembra aver perso tutta la spavalderia. "E quanto tempo ti serve allora? Nove mesi bastano?" mi chiede grattandosi il mento.

Si sta innervosendo per cosa esattamente? Ha un sesto senso?
Ripeto le parole che ho appena pronunciato nella mia mente e arrivo a capire la sua domanda.
Ha nettamente frainteso le mie parole, tanto per cambiare. 

"No, Michele. Riprendi anche a respirare. Non ci sarà nessun bambino. Siamo sempre stati protetti entrambi e sai che non è possibile" rispondo con le guance in fiamme.

"Non sarei scappato in Messico, eh. Soltanto che avere un figlio ades-"

"Vai in questo benedetto bagno per piacere?" lo interrompo per togliere entrambi dall'imbarazzo.

Con tanto di saluto militare per continuare a farsi beffe di me, si dilegua. 
Nel frattempo io ne approfitto per togliermi il cappotto e lo zaino, per poi darmi un'occhiata intorno... è passata più di una settimana dall'ultima volta che ho messo piede qui dentro. Stava diventando praticamente la mia seconda casa e ammetto che mi mancherà non poter stare sul divano insieme a Michele, a riempirci di schifezze mentre guardiamo qualche serie su Netflix e a scambiarci coccole allo stesso tempo.

No, per carità.
Non posso farmi del male da sola lasciandomi andare a certi ricordi, perciò torno in cucina e mi accomodo su una sedia in attesa che Michele finisca.
Neanche due minuti dopo eccolo di ritorno.

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