💎 Chapter 47

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Dovrebbe sapere che non è saggio sfidare un uomo come me. Io vinco sempre.
Stringo i denti e mi obbligo a raggiungere uno degli scaffali. Come se potessi riuscire a leggere uno di questi libri.
Un fruscio segnala che il camino si sta muovendo, e mi volto. Mi aspetterei quasi di vedere una dea furiosa con i capelli rossi venuta a rimproverarmi un' altra volta, situazione che nella mia mente depravata finirebbe con lei piegata sul bracciolo di una poltrona e io che la scopo tenendole le mani bloccate dietro la schiena.
Invece no. È J, il mio braccio destro.
"Abbiamo un problema. Delicato. Me ne occuperei io, ma so che vuole essere informato".
"Cosa?" Chiedo, sollevato da quel diversivo.
"Giù al casinò, il sovrintendente di uno dei capi del cartello è già stato messo in guardia una volta per come sta trattando la ragazza di stasera. Ma lo stronzo non ha ricevuto il messaggio".
Mi sento invadere da una determinazione fredda e familiare, che mi riporta in me. In questo sono bravo. Questa è una cosa che posso controllare facilmente.
J ha ragione. Non è una faccenda che ha bisogno del mio intervento, ma voglio esserne informato. E stasera... Be' stasera, magari posso anche occuparmene di persona.
"Andiamo".
Usciamo dalla biblioteca e da tutti i ricordi di Keira che vi sono racchiusi.
Ripercorriamo i corridoi del mio labirinto fino al casinò. Possedere un intero isolato del Quartiere Francese ha i suoi vantaggi, come poter abbattere pareti interne e trasformare la sezione centrale in una sala da gioco che in una notte produce più profitti di quello che guadagna la maggior parte della gente in un anno.
L' accesso è esclusivo, selezionato e tutt' altro che scontato.
Solo i più ricchi, i più potenti o quelli con i contatti giusti possono entrare, sapendo che sulle loro teste pende una silenziosa minaccia: se parli, sei morto. Se bari, sei morto. Se mi guardi nel modo sbagliato, sei morto.
Quando dico che mantengo il potere con l' intimidazione e la paura, mettendo sempre in atto le mie minacce, non esagero.
Entriamo dall' ingresso posteriore del club, quello che uso sempre, e impiego due secondi a individuare la stanza privata dove il luogotenente che ha voglia di morire sta giocando a blackjack con una posta altissima.
Le ragazze che lavorano nel club sono sotto la mia protezione: chi offende loro, offende me. Non importa se il vestito copre a malapena le tette, la fica o il culo, o se il trucco è più pesante dello strato di vernice di una delle mie macchine preferite. Non importa se si guadagnano da vivere con il mestiere più antico del mondo. Nel mio club, non può maltrattarle nessuno. È la regola. Eppure ogni tanto qualcuno che ha bevuto troppo se ne dimentica. E, quando succede, per me non è un problema ricordargli quali sono le conseguenze.
La ragazza, una biondina magra con i capelli ossigenati, sta cercando di divincolarsi dal suo abbraccio pian piano, per evitare una scenata. Il coglione non vuole lasciarla andare. Anzi, la prende per i capelli e la spinge con tanta forza da farla cadere in ginocchio.
Sento il cellulare che vibra in tasca ma lo ignoro, mentre la collera mi infiamma le vene. Chi rompe il cazzo alle bionde mi fa andar fuori di testa.
Il luogotenente, che è quindici centimetri e venti chili meno di me, le spinge il capo verso il suo inguine. "Succhiami il cazzo, puttana".
"Stanotte muore" sussurro appena, ma J non mi chiede di ripetere. È scontato.
"Ci penso io, capo".
Scuoto la testa. "No, ci penso io".
J crede che lo voglia fare per dare un messaggio al capo del luogotenente, ma c' è dell' altro. Stanotte ho bisogno di una valvola di sfogo per tutto quello che mi turbina dentro, e questo pezzo di merda ha scelto il giorno sbagliato e il posto sbagliato per creare problemi. Ma non avrà occasione di ripetere l' errore.
Entro nella stanza attirando
l' attenzione degli altri tre giocatori e del mazziere non appena chiudo la porta alle mie spalle con uno scatto deciso.
Il mazziere non racconterà mai quello che sta per vedere qui dentro perché mi deve la vita. Quando aveva solo sedici anni ho evitato che uno spacciatore di crack lo facesse fuori a un angolo di strada, un' esecuzione in piena regola. Lasciarsi scappare una sola parola su quello che succede qui sarebbe un tradimento che lo riporterebbe nella stessa identica situazione da cui l' ho salvato. E poi guadagna bene, ha messo incinta la sua ragazza e il prossimo mese devono sposarsi. Non metterebbe mai in pericolo lei o il bambino.
Gli altri sono un consigliere comunale corrotto, il predicatore di una chiesa importante e un magnate del petrolio che ha lasciato senza casa un sacco di gente per allargare i suoi territori. Con tutto quello che so, nemmeno loro oserebbero aprire bocca.
Attraverso la stanza senza parlare. So come funziona il potere. Le azioni valgono più delle parole. Mi fermo a un passo dal luogotenente e gli agguanto la treccia nera sulla nuca. Me la rigiro attorno alla mano e con uno strattone gli piego la testa
all' indietro, costringendolo a esporre il collo. Il pomo di Adamo rimbalza nella gola.
Quando allenta la presa sui capelli della ragazza, lo strappo via dalla sedia. Usando la treccia come una fune, lo costringo ad alzarsi in piedi e lo sollevo tenendolo sospeso a qualche centimetro da terra, mentre la sua faccia si tinge di stupore.
Anche se ho superato i quaranta, mi alleno fino allo stremo tutti i giorni. Ho imparato sulla mia pelle, da giovane, che a volte la forza bruta è la sola cosa che ti separa dal tuo peggior incubo.
La pelle sulla nuca dello stronzo è così tesa che una ciocca si strappa, trascinandosi dietro un brandello di carne insanguinata. I piedi toccano il pavimento, ma le gambe cedono e lui cade in ginocchio davanti a me.
Il posto in cui merita di stare.
Dalla bocca gli esce un fiume inintelligibile di parole in spagnolo, ma non mi importa quello che dice. Nessuno oltrepassa il segno qui. Senza eccezioni.
Appoggia i palmi a terra, pronto a rimettersi in piedi.
Scordatelo.
Prima che si muova, gli calpesto la mano con cui ha toccato la ragazza, frantumandogli le ossa con le mie scarpe italiane.
Il suo urlo patetico non uscirà da questa stanza perché le pareti e la porta sono insonorizzate.
Guardo la ragazza, ha dei segni rossi attorno alla gola: deve averla stretta prima che arrivassi. Disgustato, lasciò cadere la treccia sul pavimento, davanti a lui.
Credo nella legge della strada. Occhio per occhio...
Anzi, peggio ancora. Quello che fai lo paghi il triplo.
Quando lo afferro di nuovo, lo prendo per la gola, lo trascino con me e lo sbatto contro il muro.
Cerca di parlare, ma la pressione sulla trachea glielo impedisce. Gli occhi sporgono tradendo finalmente paura, e io ritorno a quella notte. La notte che mi ha trasformato in quello che sono oggi.
La ragazza sul pavimento è Hope e questo pezzo di merda è lo stronzo che voleva violentarla.
Allento la presa per un istante, ignorando il cellulare che continua a vibrare nella tasca sinistra, mentre frugo nella destra e stringo le dita attorno a un oggetto da cui non mi separo mai.
Lui respira, la mano protesa, e le suppliche in spagnolo riprendono. Può risparmiarsi il fiato. Tanto non uscirà vivo da qui, stasera. Tutti qui dentro lo sanno.
Quando tiro fuori la mano dalla tasca, stringo il mio tira pugni placcato
d' oro.
Carico il braccio e gli assesto un unico pugno alla gola, sfondandogli la trachea e spezzandogli il collo. Le lettere a rilievo sul tirapugni gli stampano sulla pelle una parola: MOUNT.
Il suo corpo si accascia sul pavimento, mentre io arretro e infilo di nuovo il tirapugni in tasca, sgranchendomi le dita.
"Fai portare fuori la spazzatura". Dico a J, prima di allungarmi verso la maniglia. Mi fermo.
Mi giro e incrocio lo sguardo terrorizzato dei presenti.
Di sicuro percepiscono la ferocia che emano e sono certo che non avrò problemi per quello che ho fatto stasera.
Contribuirà solo ad alimentare la mia leggenda e la loro paura.
Apro la porta che da' sulla sala principale e la chiudo dietro di me prima di infilare finalmente la mano in tasca per prendere il cellulare.
Ci sono otto messaggi da V e sei chiamate perse dalla sala controllo.

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