Capitolo 8: Il salvataggio di Alcarohtar
Intanto in un villaggio lontano da lì chiamato Bauxite, viveva un ragazzo molto bello, che non sapeva quanto la sua vita sarebbe cambiata nell'arco di pochi giorni.
Il ragazzo o piuttosto l'elfo si chiamava Belecthor.
Secondo tutti quelli che lo avevano visto era bello come una divinità: indossava sempre degli abiti di color turchese o delle sfumature azzurre, aveva capelli biondi lunghissimi che gli scendevano sino alle caviglie come una cascata dorata.
Tutti gli abitanti del villaggio lo desideravano, ma a lui non importava di loro. Parlava pochissimo e nei suoi occhi grigi c'era solo tristezza e solitudine; preferiva passare le sue giornate seduto sul ramo di un albero molto alto e vecchio per ascoltare la natura parlargli.
Il suo desiderio più grande era, però, quello d'incontrare altri come lui, ci sperava davvero tanto. Non sapeva che per lui il destino aveva molto altro in progetto.
Quella notte dopo essersi addormentato Belecthor ebbe una premonizione.
Un elfo dai capelli rosso fuoco e gli occhi d'oro fuso si mise in contatto con lui. Era la prima volta che gli succedeva una cosa del genere e non aveva idea di come agire.
L'elfo, però, era legato a una parete con delle catene che gli bloccavano i polsi e il suo corpo era ricoperto di ferite. Solo pochi minuti dopo sembrò accorgersi di lui e lo osservò per un attimo prima di parlargli: «Aiutami...»
Il contatto si spezzò poco dopo.
Belecthor aprì gli occhi, si mise seduto di scatto riprendendo fiato cercando così di calmare i battiti accelerati del suo cuore.
Guardando fuori dalla finestra si accorse che non era l'alba.
Sapeva che doveva fare qualcosa per salvarlo e quando prendeva una decisione era determinato a portarla a termine. Si alzò dal letto silenzioso e preso lo zaino dall'armadio, ci mise dentro tutto quello che poteva servirgli compreso un altro mantello.
Scese al piano inferiore della sua abitazione, per coprirsi da occhi indiscreti indossò un mantello con cappuccio. Aprì la porta e uscì.
Veloce e silenzioso entrò nel bosco uscendo così dal villaggio, conosceva ogni angolo del territorio e ascoltando la natura si fece guidare fino al luogo dov'era imprigionato l'elfo.
Sentiva dentro di sé che se non fosse stato veloce avrebbero fatto del male all'elfo e non poteva permetterlo. Ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva quelli d'oro fuso dell'altro che gli chiedevano aiuto e gli facevano battere forte il cuore.
Belecthor, sentendo il suo cuore battere così forte, si appoggiò contro un albero tenendo la mano poggiata al petto, cercò di riprendere il controllo di sé stesso, ma non ci riuscì.
Un'altra sensazione lo avvolse diffondendosi nel suo corpo come qualcosa di malsano: il panico.
Odiava quella sensazione.
Doveva muoversi, eppure, il suo corpo era paralizzato. Si lasciò scivolare a terra e poggiò la testa sulle ginocchia chiudendo gli occhi; il contatto con l'elfo tornò di nuovamente un po' più forte: si stava avvicinando a lui.
L'elfo gli disse debolmente: «Non arrenderti. Ti prego, aiutami...»
Belecthor a quelle parole trovò la forza di andare avanti e gli chiese: «Come ti chiami?»
STAI LEGGENDO
Il libro maledetto
FantasíaTratto dal prologo: Questa storia ebbe luogo tantissimo tempo fa, in un regno ricco di misteri e magia. La superficie del pianeta era divisa in cinque parti, ognuna con caratteristiche diverse. Questo è il luogo che i nostri protagonisti conoscon...