MARGHERITA POV
"Forza ragazzi, seguitemi"
Dissi.
Cercavo di orientarmi in quel brulicare di gente. Probabilmente l'ansia aveva preso il sopravvento, infatti vagavo nel bel mezzo della stazione sventolando i tre biglietti per il treno che avrei dovuto prendere, cercando di orientarmi al meglio. Ma la mia mente non era particolarmente lucida."Mamma aspetta. Il binario 3 è dall'altra parte."
Disse la ragazza al mio fianco. O meglio, mia figlia.
"Oh cara, hai ragione"
Dissi accarezzandole una guancia, per poi riprendere il mio frenetico cammino.
"Mamma ma io ho male ai piedi!"
Una leggera vocina provenì dal bimbo dietro di me. Il mio secondo figlio.
"Dai pulce, siamo quasi arrivati."
Dissi, prendendogli la mano e cominciando a tirarlo dietro di me. Non potevo permettermi di perdere quel treno.
Con una rapida corsa, riuscimmo a raggiungere il binario predestinato e salimmo velocemente sul treno.
"Finalmente. Non ci voleva tanto."
Disse mia figlia, lanciandomi una delle sue solite occhiatacce.
Ci sistemammo in un vagone ancora completamente vuoto.
La mia piccola donna prese subito le cuffie e abbandonó me e il fratello. Quella ragazza portava sempre le cuffie. E come biasimarla? Non ero io la prima a isolarmi nel mondo della musica per fuggire alla realtà?Il solito battibecco fra i due fratelli interruppe il mio momento di riflessione.
"Nico! Lascia stare tua sorella!"
Rimproverai il più piccolo, solito a mettere il becco fra gli affari della sorella. Infondo lo capivo. Voleva solo essere accettato, e magari passare un po' di tempo con la sorella che invece lo snobbava completamente.
Il piccolo mise il broncio, ma dopo pochi minuti, con il viso appoggiato al finestrino, stava già dormendo beatamente.
Mi soffermai a guardarlo. Per avere solo sei anni era un bimbo davvero carino. Dolce, premuroso e anche un po' mammone. Gli volevo tanto bene. Quando era nato era stato complicato scegliere il suo nome. Mio marito, o meglio, ex-marito, non era molto partecipe nella vita familiare e mi ero soffermata, come spesso capitava, a pensare al mio angelo. A colui che sempre era nel mio cuore. A volte pensavo fosse stato solo un sogno l'anno passato insieme a lui. Insieme a Niccolò. Mi mancava tanto e ogni volta che ci pensavo la mia ferita si riapriva. Faticavo ancora a comprendere la sua scelta: partire per l'America con la sua ex e il figlio che aveva scoperto di avere dopo un anno della nostra relazione. Per questo avevo deciso di chiamare mio figlio Nicodemo.
Dal greco, il nome Nicodemo significa vincitore tra il popolo. E così doveva diventare Nicodemo. Un vincitore tra il popolo, proprio come lo era stato Niccolò. La sua musica aveva conquistato tutti, anche se da quando se ne era andato in America avevo smesso di seguire la sua carriera. Non sapevo se fosse ancora famoso, se continuasse a scrivere canzoni. Avevo tagliato via di netto la sua vita dalla mia.Dall'altro lato della cabina, a necessita distanza da me, Luce continuava imperterrita a guardare fuori dal finestrino con le cuffie alle orecchie. Scegliere il suo nome era stato semplice. Mi era venuto d'impulso. Luce era stata una svolta alla mia vita. Un cambiamento che aveva segnato un uscita da un buio tunnel. La luce di una nuova alba. E ora, quella bambina che mi aveva salvata, era in piena adolescenza. Aveva compiuto da poco quindici anni e ora stavo completamente stravolgendo la sua vita. Probabilmente era proprio per questo che mi odiava.
L'avevo obbligata a lasciare la sua vita di Milano (amici, scuola, sport...) per trascinarla con me e il fratellino a Roma.Roma.
Mai avrei pensato di tornarci. L'avevo giurato. Ma aimè la vita spesso è crudele e ora mi ritrovavo a sfuggire da un compagno violento e da una carriera sfumata.
Ebbene si. Ero stata per anni vittima di un uomo spregevole. I miei figli ovviamente non sapevano nulla. Amavano così tanto il padre... Ma questo padre non amava me, probabilmente. O forse, lo dimostrava solo in modo strano. Inizialmente ero felice con lui. Lo amavo tanto e avevo ritrovato la serenità che avevo perso tanti anni prima. Poi era nata Luce. Da quel momento quell'uomo cambiò. Non voleva che uscissi con le amiche. Che mi vestissi in modo provocante (e il suo concetto di provocante era una gonna lunga fino alle ginocchia con un paio di calze). Dovevo solo stare a casa con Luce. Quando poi dopo ben nove anni di prigionia era nato Nicodemo, aveva cominciato ad usare le maniere forti. Mi picchiava. E questo succedeva molto spesso. Dopo anni avevo preso coraggio e l'avevo lasciato. Avevo preso su i bambini e avevo cambiato casa, cercando di rimanere ben nascosta. Per mancanza di prove e grazie al suo buon avvocato, la mia denuncia era subito decaduta, quindi era meglio restare ben nascosti. Fortunatamente gli assistenti sociali mi avevano assegnato la custodia totale dei miei figli dopo il nostro divorzio.
Sfortunatamente anche sul fatto di carriera mi era andata male. Ero stata licenziata più volte, ma ora mi avevano presa a Roma come insegnante di pianoforte. Ed eccomi qua. In viaggio verso quella città tanto odiata che ora mi stava riaprendo le porte. Speravo solo che non me le richiudesse in faccia come già aveva fatto.Dallo zaino nero appoggiato sul tavolino della cabina usciva un piccolo MP3 nero. L'MP3 contenente la canzone di Niccolò. Avevo ascoltato quella canzone tante volte dopo aver lasciato Roma, ma era da tanto che le mie orecchie non la sentivano. E non l'avrebbero più fatto. Non potevo permettermi di essere debole davanti ai miei figli. Non potevo. Io dovevo insegnargli ad essere forti. A non mollare mai. Che quando la vita si ribella, devi ribellati con lei.
Decisi proprio in quel momento di ribellarmi. Presi il palmare nero e con uno scatto felino lo gettai dal finestrino. Era andato per sempre. Avrei dovuto farlo molti anni prima, ma ero ancora troppo debole. Ora ero madre e capivo cosa significava essere disposti a fare mille sacrifici. Mi sarei buttata nel fuoco pur di salvare i miei bambini. Su questo ragionamento mi ero soffermata diverse volte e spesso avevo cominciato a capire Niccolò. Alla difficoltà della sua scelta, ma il ragionamento con cui l'aveva fatta. Anche io sarei partita con i miei figli.
Però gliene avrei parlato. Non saprei scappata la notte come una codarda.[**]
"Luce sbrigati, dobbiamo scendere!"
Dissi togliendo velocemente una cuffia dall'orecchio di mia figlia. Questa sbuffó e mi seguì fuori dal treno.
Strinsi forte la mano di Nico.
Roma mi si paró davanti agli occhi.
Ero tornata e non mi sembrava vero.
Espirai e cercai di mantenere la calma."Venite, prendiamo un taxi e raggiungiamo la nostra nuova casa"
"Evviva!"
Disse il piccolo Nico. Che bello essere ingenui come bambini. Dove tutto è così semplice...
Luce infatti alzò gli occhi al cielo.
"Guarda come è entusiasta tuo fratello. Prendi esempio da lui!"
Le dissi.
Luce con tono molto sarcastico pronunciò un leggero evviva. Poi tornó con lo sguardo fisso sul suo cellulare.
Sarebbe stato molto difficile riabituarsi ai ritmi frenetici di Roma. Ma ce l'avrei fatta. Ce la dovevo fare. Per me. Per loro.
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IL CAPOLAVORO CHE È IN ME 2 // ULTIMO
FanfictionDopo vari anni Margherita, ormai sposata e con due figli, é costretta a tornare a Roma. Fra mille casini, rincontrerà quello che è stato il casino più grande della sua vita. Alla fine della storia ho aggiunto un piccolo "scambio di idee" fra tutti i...