CAP 52

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"Sua figlia non ce l'ha fatta"

Fu l'ultima cosa che riuscii a sentire.
Appena il medico pronunciò queste parole caddi a terra. Non me ne accorsi nemmeno. Le ginocchia mi cedettero. Piangevo. Singhiozzavo. Urlavo.
Il dolore di perdere un figlio non può essere paragonato a nessun'altra cosa al mondo. È come perdere una parte di te stesso. La parte più importante. Quella che avevo tenuto in grembo per nove mesi, che avevo partorito e visto crescere. Quella che avevo assistito nei momenti di difficoltà. Questa volta però non ce l'avevo fatta. Non ero riuscita a proteggerla, non ero ruscita a salvarla. Lei se ne era andata. E io non avevo fatto niente. Stavo seduta mentre lei lá dentro la sala operatoria lottava fra la vita e la morte. E la morte se l'era portata via. Per sempre. Faticavo a respirare, il petto mi faceva un gran male. Non capivo cosa stesse succedendo intorno a me a causa della vista offuscata dalle troppe lacrime e dai suoni che arrivavano spaventosamente ovattati alle mie orecchie. Forse stavo morendo anche io. Lo speravo. Avrei potuto raggiungere Luce, darle un altro abbraccio, un altro bacio, dirle ancora una volta che l'amavo. Mi sarebbe tanto piaciuto rivedere il suo magnifico sorriso, i suoi splendidi occhi azzurri, i suoi capelli, il suo profumo. Darei di tutto per poterla stringe ancora. Darei la vita per riaverla anche solo per un minuto. Le donerei la mia vita se potessi. Tanto, non tornerò mai più a vivere. Questa volta ero caduta in una buca troppo profonda. Non mi sarei mai più rialzata.

Ad un certo punto delle braccia mi toccarono e tentarono di tirarmi su. Non riuscivo a capire chi fosse, ma in quel momento non volevo che qualcuno mi sfiorasse. Mi alzai di scatto, dimenandomi a destra e a sinistra. Diedi delle manate all'aria e Cominciai ad urlare.



"NON È VERO! NON CI CREDO! DOVE L'AVETE NASCOSTA?! ME L'AVETE PORTATA VIA!"



Dissi tra un singhiozzo e l'altro. Ancora faticavo a riconoscere le sagome davanti a me. Con uno scatto corsi all'interno della sala operatoria. Non capivo bene, ma si vedeva che era stato tutto ripulito. Mi avvicinai al tavolone, dove un lenzuolo bianco ricopriva una sagoma. Lo abbassai, non dando peso al fatto che vedere quello che c'era sotto mi avrebbe fatto ancora più male.
Lei era lì.
Pallida.
Inerme.
Aveva un'incisione nel petto, dove probabilmente avevano operato.
In preda al panico e con le lacrime agli occhi cominciai a scuoterla. All'inizio dolcemente.


"Amore svegliati"



Cercavo di sorridere come facevo tutte le mattine per svegliarla e convincerla ad andare a scuola. 

Se ne stava lì.
Ferma.
Non reagiva.


"Amore svegliati!"


Dissi scuotendola ancora più forte. Ero disperata. Non si svegliava.


"LUCE SVEGLIATI! HO DETTO DI SVEGLIARTI!!"


La scossi ancora più forte.

Questa volta nella mia voce c'era rabbia. Non si svegliava. E non si sarebbe mai più svegliata. Non avrei mai più rivisto i suoi occhi. Mai più.

Mentre le lacrime cadevano a fontana nel corpo inerme di mia figlia, sentii un pizzicore al braccio. Solo dopo mi accorsi che alcune persone erano entrate nella sala e mi avevano iniettato qualcosa nel braccio, un calmante probabilmente. Prima di crollare riuscii a dire un' ultima cosa:


" Me l'avete portata via"

Poi caddi a terra.



NICCOLÒ POV.

Era stata la notizia più brutta della mia vita. La più travolgente. La più straziante. Marghe, al mio fianco era caduta per terra e aveva cominciato a disperarsi. Sembrava assatanata. Era a pezzi e anche io. Certo, non come lei, ma almeno quanto mio figlio Tommaso. Dopo che il dottore aveva finito di parlare si era girato ed era scappato dall'ospedale. Non lo avevo visto bene, ma avrei giurato che le sue guance fossero bagnate. Il piccolo Nico... che dire... anche lui piangeva forte. Avrebbe voluto avvicinarsi alla madre, abbracciarla forte, condividere il dolore. Avvicinarsi a lei però era impossibile in questo momento. Avrei voluto soccorrere tutti e tre, ma pensai prima a Marghe. Aveva bisogno di me in questo momento. Appena avevo provato a consolarla era scappata. I medici erano stati costretti ad iniettarle un potente sonnifero per poter calmarla. Ora se ne stava lì, addormentata su un letto. Se pensavo che Luce non c'era più, se guardavo come era ridotta Marghe, mi saliva una rabbia enorme nel petto. Perché di questa morte c'era un responsabile: Manuel. Avrebbe potuto donare il suo midollo, avrebbe potuto salvare Luce. Era la persona che odiavo di più al mondo. La cattiveria umana non ha una fine. Ma come si fa? Lasciare morire una ragazzina di quindici anni per dei rimorsi del passato... perché i genitori devono mettere sempre di mezzo i figli? Quando i genitori litigano, in un modo o nell'altro i figli soffrono. E questa volta non ce l'aveva fatta. Luce se ne era andata.


"Dottore, mi scusi, quando si sveglierà più o meno?"

Chiesi al medico che aveva adagiato con calma Marghe sul letto dopo averla fatta addormentare.

Lui si girò verso di me.

" Non lo so di preciso, ma le abbiamo iniettato una dose molto potente per permetterle di tranquillizzarsi e dormire un po. Forse domani sarà sveglia."


"Va bene. Può starle vicino? Io ho una questione imporante da compiere. Torno il prima possibile"


Lui mi guardò con sguardo compassionevole.

Probabilmente gli facevamo molta pena.


"Ma certo. Ah, il bambino che era qui fuori è stato preso dalle assistenti sociali dell'ospedale. Non smetteva di piangere... probabilmente lo staranno consolando e forse anche lui avrà preso un leggero sonnifero"


"La ringrazio tanto"

Dissi al medico.
Mi guardai intorno per vedere se Tommaso fosse da quelle parti, ma non lo vidi. Più tardi lo avrei cercato e lo avrei aiutato a superare anche questo terribile momento. Ora probabilmente aveva bisogno di riflettere e stare da solo. Anche io se avessi avuto la sua età avrei voluto passare del tempo da solo dopo una tragedia del genere. Inoltre sapevo che fra i due c'era del tenero. Povero figlio mio...

Mi misi in mcchina e concentrai la mia rabbia in un solo nome: Manuel.

 IL CAPOLAVORO CHE È IN ME 2 // ULTIMO Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora