TRE

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Andrea

Alle 19.30 chiudo il negozio. Luci, mandate, bandone e lucchetto.

Esco in strada annusando la prima brezza primaverile romana, inebriata dalla gioia dell'arrivo dell'estate.

Faccio esattamente sette passi verso destra ed entro nel portone di casa.

Il mio appartamento, o meglio la mia casa è esattamente nello stesso palazzo del negozio.

Il palazzo, nel cuore di Trastevere, che Nonna Clara ha lasciato a me e a mio fratello Giulio, quando le ho detto di aspettare Azzurra.

Lei ha semplicemente lasciato casa sua per trasferirsi a Firenze, città in cui è cresciuta, insieme a Nonno Armando e così si dividono tra il capoluogo toscano, Roma e un piccolo paesino di mare maremmano.

È da lei che ho ereditato l'amore spassionato per il mare.

La divisione è andata così: negozio e attico per me, primo e secondo piano per Giulio, che vive a New York, che gestisco e affitto per conto suo.

Chiamo l'ascensore e mi lascio portare fino al terzo piano, devo chiamare nonna, volevo andare a trovarli con Azzurra uno di questi weekend.

Entro in casa e vengo accolta da Let it go di Frozen a tutto volume, lascio borsa e giubbotto all'ingresso e vado verso il salotto.

La visione che mi accoglie mi fa morire dal ridere Azzurra ovviamente è Elsa e Martina (la mia aiutante/babysitter/amica) è Anna, le trovo assorte in un'interpretazione da Oscar che non può che farmi ridere.

«Eiii! Io voglio essere Sven!» grido durante la canzone.

«Mamiiii!» mi urla Azzurra correndomi incontro.

«Ciao nana!» trillo prendendola in collo e baciandole le guanciotte ancora un po' paffutelle.

«Ciao Marti, grazie per...» dico indicando il suo travestimento da Anna.

Lei sorride e scuote la testa «Lo sai che adoro Azzurra, avrei fatto anche la renna o il sasso» dice ridendo.

«Forza nana, vai in camera tua, mettiti i vestiti da casa e lavati le mani. Mentre mamma e la Marti fanno due chiacchiere da grandi» le dico dolcemente.

«Ma anch'io sono grande» ribatte lei.

«Lo so, ma vuoi sentire parlare di lavoro?» le chiedo seria.

«Mmm... no!» dice le bevendosi la mia piccola bugia e se ne va.

«Ti va un prosecchino?» chiedo a Marti.

«Certo!»

«Andiamo in cucina» dico io.

«Ma mi vuoi raccontare chi era quel fico di oggi? O dobbiamo ancora far finta di niente» ribatte lei entrando in cucina.

Martina è una studentessa di architettura leggermente fuori corso, ha solo qualche anno meno di me, esattamente cinque, ed è all'ultimo anno da almeno due, non credo abbia nessuna voglia di laurearsi e cercare un altro lavoro.

«Sinceramente? Non ne ho idea. È entrato durante la mia pausa pranzo perché stava scappando da qualcuno o qualcosa» rispondo ridendo.

«Vedi che scordarsi di chiudere la porta ogni tanto frutta qualcosa di buono?» dice lei sorseggiando il Valdobbiadene millesimato.

«Macchè te non hai capito. Aveva una faccia, aveva appena visto un fantasma. Era bianco e sconvolto. Non me la sono sentita di cacciarlo fuori».

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