QUARANTUNO

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Alessandro

Parcheggio, scendo dall'auto e rimango a fissare il palazzo dove sono cresciuto. È una costruzione di inizio secolo, molto signorile ed elegante, nel quartiere di Campo di Marte (più vicino alle Cure però, va specificato perché i miei ci tengono). Osservo la piccola palazzina bianca a due piani della mia famiglia, ripenso a quante volte mi sono calato da quel dannato terrazzo dello studio pur di uscire di nascosto.

Il muro che da sulla strada è perfettamente riverniciato e le inferiate sopra sembrano quasi lucide, so quanto sia attento ai dettagli mio padre. Mai una volta che la sua casa non rispecchi la sua famiglia perfetta... peccato che poi ci sia io... ragazzo-padre di ventidue anni che ha scelto di rimanere a Roma pur di non farlo vergognare di lui. Sospiro passandomi le mani nei capelli. Sono passati tanti anni dal giorno in cui chiamai in lacrime i miei dopo che Camilla se ne era andata e quello che mi disse non potrò mai dimenticarlo, nonostante il tempo e tutti i modi possibili che lui abbia cercato per rimediare.

"Alessandro sei un uomo, sei responsabile per le tue azioni e devi assumerti le conseguenze. Ti sei infilato in questo casino di tua volontà, noi abbiamo un nome da difendere e onorare, non vorrai farci vergognare, vero?"

Il casino... suo nipote, quel ragazzo che amo più della mia stessa vita e per il quale entrerei in un cerchio di fuoco se solo me lo chiedesse... ecco qual è il casino.

Non ho mai detto niente a Leo di quello che è successo con mio padre, non posso rovinare il loro rapporto, tante volte mi ha chiesto il perché quando Camilla ci ha lasciati non sia tornato qui... ma ho sempre omesso questa parte della storia, dicendo che volevo dimostrare a tutti che potevamo farcela io e lui... non che non sia vero, però una mano in più da parte dei miei non l'avrei disdegnata. Non ci hanno fatto mancare nulla, anzi mi hanno perfino aperto un conto in cui versavano tutti i mesi dei soldi per una babysitter, ma a quel punto il mio orgoglio ha prevalso e ho preferito farcela con le mie forze e l'aiuto dei miei amici.

Ricordo ancora quando mia mamma è venuta a stare a Roma per un periodo per aiutarmi con Leo, per i loro amici era in Svizzera a rilassarsi per lo stress dovuto al troppo lavoro.

Non ho mai apprezzato questo lato dei miei genitori, l'ho sempre trovato falso e inutile, motivo per il quale a diciannove hanno sono andato a studiare a Roma e non sono più tornato.

«Babbo, suono?» mi chiede Leo riportandomi velocemente alla realtà.

Annuisco scaricando i due trolley dalla macchina e avviandomi dentro il cancellino nero fiammante.

«Tesoro mio» mi accoglie mia mamma Ornella, i suoi capelli corti e biondi le incorniciano il viso piccolo, gli occhi verdi come i miei brillano alla luce dei lampioni, le labbra sottili sono tirate in un sorriso felice. Mio padre Alberto abbraccia stretto Leonardo spettinandogli i capelli.

Il mio casino... basta Ale abbozzala!

«Ciao Ale» dice mio padre avvicinandosi cercando di abbracciarmi, mentre mia mamma sta letteralmente stritolando mio figlio, lascio che il corpo mi circondi e gli batto qualche pacca sulla schiena, giusto per non deluderlo... ancora.

«Com'è andato il viaggio?» chiede lui scortandoci dentro casa.

«Benissimo, erav...» dice Leo.

«Bene babbo, niente traffico io e Leo siamo arrivati in un baleno. Vero Leo?» dico cercando di fargli capire che non voglio che dica niente delle nostre compagne di viaggio.

Mi guardo intorno e noto che tutto è rimasto esattamente uguale, il grande salotto si apre davanti a noi con i suoi divani crema, l'angolino con le poltrone e gli scacchi, il camino in marmo, i lampadari esosi e costosissimi. Sembra sempre un museo e non una casa.

FulmineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora