OTTO

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Andrea

Un raggio di luce mi colpisce in pieno viso, svegliandomi, le tempie mi pulsano violentemente e mi fa male tutto. Ma... cosa... è successo ieri sera?

Ma quanto cavolo ho bevuto?

Apro piano un occhio, mettendo a fuoco la stanza intorno a me.

Soffitto bianco. Lenzuola verde oliva chiaro. Un comodino in legno scuro su cui è appoggiata una abat-jour bianca. Una finestra alla mia destra con tende color crema che ricadono morbide verso il pavimento in parquet bianco anticato. Alla mia sinistra un enorme armadio in legno scuro con le ante a specchio.

Un ricordo della notte prima mi colpisce: un flash del riflesso nello specchio dei nostri corpi avvinghianti insieme, la scia di fuoco lasciata dalla sua bocca sul mio corpo fremente.

Cerco di tornare lucida.

Non sono a casa mia.

Porca troia!

Dove sono?

Spalanco gli occhi, sento una presenza accanto a me nel letto, mi volto piano e trovo il bell'architetto addormentato come un sasso accanto a me. Dorme a pancia sotto, senza maglietta, con il volto girato verso di me, il braccio opposto sopra la testa, intravedo un tatuaggio: Leonar... e un insieme di puntini che credo sia una costellazione. Il viso è rilassato, le labbra appena schiuse e i capelli scuri sono spettinati sulla federa.

Quanto è bello... basta Andrea! Oddio ma se lui è nudo... scosto leggermente il lenzuolo, indosso solo una t-shirt bianca da uomo: la sua immagino.

Dove sono le mie mutande?

Cazzo Andrea! Cosa hai combinato?

Mi alzo piano cercando di non svegliarlo, devo andare via da questa casa.

Raccolgo mutandine, gonna, stivali, che sono sparsi per la camera e mi precipito fuori, chiudendo pianissimo la porta.

Non devo svegliarlo. Non devo svegliarlo.

Mi serve un bagno. Devo vedere in che condizioni sono dopo questa nottata. Una delle migliori della mia vita.

Basta Andrea! Concentrati!!! Dice la vocina nella mia testa. Ha ragione.

Mi ritrovo in un corridoio bianco con tre porte oltre quella appena chiusa, fortuna assistimi.

Apro la seconda porta a destra: bagno! Esulto piano.

Faccio pipì, brucia, che cazzo abbiamo fatto stanotte? Mi lavo il viso e mi rivesto velocemente, tenendo la t-shirt bianca che infilo dentro la gonna, non ho trovato il mio top. Mi dispiace amico, sei un caduto di guerra, non posso cercarti.

Fisso il mio riflesso allo specchio: i capelli sono una tragedia, completamente arruffati e la frangia è ammazzettata sulla fronte, gli occhi sono rossi e ho il mascara sbavato, un disastro.

Allo stesso tempo però il mio viso è rilassato e soddisfatto, cerco di scacciare i ricordi della nottata appena trascorsa, qualche breve flash mi colpisce ma non posso mettere ordine tra i miei presunti ricordi adesso.

Prima mi serve un caffè.

Merda, non ho trovato nemmeno la borsa e il giubbotto. Mi serve il mio telefono, devo chiamare Martina. Sarà incazzata come una iena per la mia sparizione di ieri sera.

Decido di non mi rimettere gli stivali per cercare di fare meno rumore possibile, e in punta di piedi cerco l'uscita.

Accanto alla porta trovo il mio giubbotto di pelle e la mia Yves Saint-Laurent nera in terra.

FulmineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora