18. Helen

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«Alzati e usciamo fuori» mi dice mentre mi lega le onde dei miei capelli in una coda bassa. Non mi chiedo neanche perché avesse un elastico al polso, non sono così ingenua.

Piego la testa da un lato e ridacchio, passo una mano tra i suoi capelli e glieli spingo all'indietro. «Sta diluviando» e quando lo dico si sentono dei tuoni.

Fa spallucce. «Sì, e allora?» Mi spinge all'indietro e mi fa alzare. «Forza, andiamo!» Prende la mia mano e mi trascina fuori.

Davanti al blocco del mio appartamento c'è un giardino e di dietro il parcheggio.
Nel momento in cui mettiamo un piede fuori siamo già tutti bagnati. Piove molto, ma le gocce d'acqua sono leggere.

Mi porta nel parcheggio, tenendomi per mano. «Ti piacerà» mi assicura mentre si guarda attorno.

Siamo arrivati al centro, dove c'è una sorta di piazzola per permettere alle auto di girare.

«Guarda, non capisco come dovrebbe fare a piacer—» Vengo colta di sorpresa.

Le sue mani sono ferme sui miei fianchi, le sue labbra improvvisamente premute sulle mie con gelosia. I nostri corpi sono attaccati, come i nostri vestiti sulla pelle a causa della pioggia. Schiude le mie labbra con la lingua, e così prende possesso della mia bocca, prende possesso di me, e glielo lascio fare.

Si stacca dal bacio, ma i nostri corpi sono ancora un tutt'uno. «Dimmi che non ti è piaciuto e ti ammazzo, perché sto morendo di freddo» dice sorridendo.

Gli do un altro bacio, a stampo questa volta. «Mi è piaciuto. Come nei film» aggiungo.

Mi mette una ciocca di capelli che è uscita dalla coda dietro l'orecchio e mi bacia la fronte. «Era questo il mio obbiettivo.» Mi prende un'altra volta per il polso e mi tira con sé. «Saliamo in macchina. Mi servono dei vestiti asciutti.»

«Non è meglio se resto qua? E poi sei sicuro che vuoi salire in macchina? I sedili—»

Mi interrompe ed apre lo sportello per me. «Sono di pelle, si asciugano. Ora sali.»

Faccio come mi dice e poi sale anche lui in auto. La mette in moto e subito accende l'aria condizionata calda. Stiamo in silenzio qualche secondo per riprendere fiato e scaldarci.

«Ci prenderemo un bel raffreddore, ma ne sarà valsa la pena, no?» dice ad un tratto, mettendo una mano sulla mia coscia, squadrandomi dal basso all'alto.

Annuisco e subito dopo starnutisco. Come non detto. «Hai un fazzoletto?» gli chiedo.

Scuote la testa ridendo. «Purtroppo no.»

I finestrini sono tutti appannati, mi chiedo come dovremmo fare a partire senza che si veda nulla. Intelligentemente, Harry accende lo sbrinatore.

Aspettiamo che i vetri si disappannino in silenzio. Mi prende una mano e se la porta alle labbra, mi guarda intensamente negli occhi e non riesco a trattenere un sorriso. Non credevo che questo ragazzo fosse capace di tanta delicatezza.

«Mi stai sorprendendo» gli dico, mentre fa manovra per uscire dal parcheggio.

Ha un braccio dietro il mio poggia testa mentre guarda dietro per fare retromarcia, e i muscoli del suo braccio si tendono, i suoi addominali sono ancora più evidenti per la canottiera umida. Sento il bisogno di accavallare le gambe, è troppo.

Nota che lo faccio e quando mi guarda devo distogliere per forza lo sguardo. «Ti sto sorprendendo» ripete, e mette una mano tra le mie gambe per togliere la destra da sopra la sinistra.

Allora accavallo la sinistra sulla destra. «Hai detto tu di essere pieno di sorprese» gli ricordo, cercando di sembrare più indifferente possibile al suo tocco.

Sposta anche la sinistra. «Lo sono.»

A questo punto non mi resta che stringere le cosce l'una contro l'altra.

Si accorge che sono in tensione, quindi mi mette una mano sulla coscia e mi massaggia piano. «Proprio non ce la fai? Rilassati.»

Sbuffo. «Ti odio, davvero.»

Scoppia a ridere. «Perché? Perché non riesci a guardarmi senza bagnarti?»

Mi soffoco con la mia stessa saliva. «Harry!» esclamo coprendomi il viso con le mani. Però è vero, ha ragione, e questo potrebbe diventare un problema.

Frena e non mi sono accorta nemmeno che siamo arrivati a casa sua. «Aspettami qua, torno subito» e, prendendomi il mento con una mano, mi bacia prima di lasciarmi in macchina.

Sto iniziando a chiedermi se questo è davvero così sbagliato. Sì, non è iniziata con il piede giusto, ma quando riusciamo ad andare d'accordo... andiamo più che d'accordo, anche oltrepassando i limiti. Forse potrei abituarmici, ma so che non siamo solo noi due in questo mondo. Il problema è che non so cosa stiamo facendo.

So solo che appena torniamo a casa non dobbiamo lasciarci distrarre da niente. Noi arriviamo, io canto, lui suona, fine. Niente di più, niente di meno.

Lo vedo dopo circa dieci minuti, la sua figura alta e le sue spalle larghe. Si avvicina in lunghi passi e noto che ha— un borsone?

«Ehi, piccola.» Getta il borsone dietro e poi mi bacia, come se fosse la cosa più normale del mondo.

«Che c'è lì dentro?» Sono curiosa, non sono riuscita a trattenermi dal chiedere.

«Ho pensato che sarebbe comodo avere dei vestiti sempre a portata di mano, no?» mi spiega.

«Mhm, hai ragione.»

Prende la mia mano sinistra e la mette sul cambio, sopra la sua. Questo gesto è così semplice che... non lo so. Devo smetterla di divagare così. So bene che non potremmo avere niente noi due, che questo deve essere al massimo puro divertimento.

«Sei silenziosa» mi fa notare.

Sbuffo. «Preferiresti che parlassi tutto il tempo? Ero persa tra i miei pensieri, scusa.» Forse ho reagito esageratamente.

Si ferma nel parcheggio di casa mia. «Ehi, Helen, calma. Stavo solo dicendo.»

Certo che entrambi abbiamo un bel caratterino con cui fare i conti. Ecco, ora ricordo perché non lo sopporto, e perché lui probabilmente non sopporta me.

Scendiamo dalla macchina e lui chiude lo sportello con forza. Ho capito, l'atmosfera tranquilla e serena è definitivamente rovinata. Dio, quanto è suscettibile.

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