39. Harry

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Dolore.

Paura.

Impotenza.

Preoccupazione.

Ultimamente è tutto ciò che provo, tutti i giorni, in ogni momento che mi è vicino, e in ogni momento in cui non lo è.

Dolore. Le sue parole hanno sempre fatto male, sempre, ma adesso che è tornato, mentre mi guarda negli occhi senza quelle sbarre che ci dividevano, le sue parole mi pugnalano peggio di un cazzo di coltello. Mi sento sempre il colpevole di tutto, quando la colpa è solamente sua.

Paura. La paura che tutto possa ripetersi proprio come dieci anni fa, e finire anche peggio, perché adesso io sono cresciuto e lui ha imparato la lezione. Mi terrebbe sott'occhio questa volta, ed è più violento di prima.

Impotenza. Fin quando non succede qualcosa di grave non posso fare nulla per incolparlo legalmente e farlo tornare al fresco, dove appartiene.

Preoccupazione. Mia madre. Sono preoccupato per lei; è per questo che non la lascio un secondo da sola. Ha bisogno di me più di chiunque altro.

Mio padre è uscito di prigione.

L'inferno è iniziato da un mese e già non ne posso più. Da un mese non vado all'università. Da un mese non mi faccio sentire dai miei amici. Da un mese non esco di casa, se non con mia madre. Da un mese non dormo come si deve. Da un mese la mia vita ha iniziato ad andare a rotoli.

Da un mese non vedo Helen. L'ultima volta che ci siamo visti non ci siamo lasciati bene e questo mi spezza il cuore. Mi ha chiamato un miliardo di volte, ha lasciato moltissimi messaggi in segreteria... ma non potevo risponderle. Non voglio trascinarla con me nel mio inferno, ma odio saperla lontana da me.

Ma l'unica cosa che voglio adesso è liberarmi di questo verme di uomo. No, non è un uomo, è un mostro. Non merita niente, niente. Fossi stato il giudice gli avrei dato l'ergastolo. Non ha ammazzato nessuno, ma è solo un pericolo; non sarebbe dovuto mai uscire di lì.

Devo prendere provvedimenti, e tocca a me, perché la mamma è distrutta. E io non ne posso più.

• • •

È come una continua ripetizione, ogni giorno è come il precedente e a volte anche peggio. Oggi è uno di questi a quanto pare.

Mio padre è ubriaco fradicio, come tutti i giorni, seduto sulla poltrona con una birra in mano.

«Harry, figliolo» mi chiama biascicando.

Mia madre mi stringe forte le mani, poi mi alzo per andare da lui. «Non ti permettere di chiamarmi così. Che c'è?» sbotto.

Un sorriso ironico compare sul suo viso barbuto. «Sei mio figlio, perché non dovrei?» È un completo psicopatico.

Con due passi lunghi sono davanti a lui e con rabbia e forza stringo il colletto della sua camicia azzurra sudata. «Non sono un cazzo per te, se non un ragazzo con un po' del tuo DNA di merda!» gli urlo in faccia. Sono stufo di lui.

Scoppia in una risata. «Ma guardati! Si vede proprio che sei mio figlio! Guardati... guardati, piccolo Davis.»

Alzo gli occhi e mi guardo allo specchio appeso al muro dietro di lui.

Vedo i miei occhi pieni di rabbia, il viso paonazzo, la mia mascella serrata, le vene sul collo che compaiono a causa della forza che sto esercitando, il mio bicipite gonfio.

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