35. Helen

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Sto ancora pensando alle cose che ho detto a Harry. Non riesco a credere di averlo fatto. Ho ammesso di avere paura di innamorarmi... di innamorarmi di lui.

All'inizio neanche io ci credevo, ho provato a negarlo con tutte le mie forze, a convincermi che fosse impossibile. Ma eccomi qui, spaventata, perché pian piano mi sto innamorando di uno stronzo come lui. Solo che la cosa peggiore non è questa. La cosa peggiore è quello che ha fatto alla mia migliore amica.

L'ha usata e le ha "spezzato il cuore". Se venisse a sapere che io e lui siamo— non so cosa siamo o se siamo almeno una cosa — mi ammazzerebbe. Mi importa di lei, le voglio bene, non posso farle una cosa del genere. Ma che farei se amassi davvero Harry Davis? Amicizia o amore? Non ne ho idea.

Ho sentito quello che Harry ha detto prima, mentre pensava stessi già dormendo. "Io invece mi sono già innamorato."

Com'è possibile? Mi ama? Uno come lui è capace di amare? Di amare una come me?

Ora che ci penso non sono sicura che lo abbia detto veramente, forse era tutto un sogno. Ma se fosse vero—

«Piccola, il telefono. Sta vibrando, ti stanno chiamando.» La sua voce rauca e ancora impastata dal sonno mi sveglia.

Prendo il cellulare e guarda chi è. Mio padre.

«Papà, ciao» rispondo.

«Ellie! Dove diavolo sei?!» urla dall'altro capo del telefono. Harry mi guarda preoccupato.

Mi strofino gli occhi e mi schiarisco la voce. «Ti avevo detto che sarei rimasta a dormire da Bryan...» Sì, glielo avevo detto, giusto?

«No, Helen, non me lo hai detto! Cerca di tornare subito a casa, per favore!» e riattacca.

Cazzo. Ero convinta di averglielo detto. Ma perché mi trattano come se avessi ancora quindici anni?

Sbuffo irritata e mi passo le dita tra i capelli come per pettinarli.

«Sono severi i tuoi?» Harry mi chiede.

«Un po', a volte mi sembra che mi trattino come una ragazzina. Ma lo fanno solo quando sono a casa, a Seattle non mi chiamano neanche tanto spesso» gli spiego.

Si toglie la coperta ed esce dal portabagagli.

«Dove vai?» gli domando.

Mi rivolge la schiena, si stiracchia sbadigliando. Riesco a vedere ogni movimento dei suoi muscoli da sotto la canottiera. «Ti porto a casa» risponde. «O hai la macchina dal tuo amico?»

«Oh no, è venuto a prendermi lui ieri.»

Lui si mette alla guida e io accanto a lui, sul sedile del passeggero. Nel frattempo canticchio le canzoni alla radio che conosco, ha imparato a sentirmi cantare e ora so quanto gli piace.

Mette una mano sulla mia coscia ancora nuda e la accarezza il suo interno con il pollice. «Alla fine ci siamo addormentati e non abbiamo visto l'alba» dice ad un tratto.

Ridacchio. «Già, è vero.»

«Però abbiamo fatto una bella chiacchierata» e si volta per sorridermi.

Gli sorrido a mia volta, ma non gli ricordo della discussione di ieri. Certi cose fanno meno paura di notte che di giorno.

Arriviamo a casa mia e gli dico di parcheggiare sul retro. Le auto dei miei non ci sono. Certo, saranno usciti per andare a lavoro, è lunedì!

«Wow... e questa è casa tua?» esclama Harry stupito.

«Sì, non è molto.»

Spalanca gli occhi e mi guarda sconcertato. «Cosa?! Questo è un appartamento a più piani di lusso, cazzo.»

Scuoto la testa e alzo gli occhi al cielo. Mentre mi infilo i pantaloni della tuta con cui sono andata da Bryan lui scende dall'auto e fa un mezzo giro della casa a piedi. Torna quando sono pronta.

«I tuoi genitori...?» inizia a chiedere.

«A lavoro.»

Sogghigna mentre osserva ogni dettaglio del soggiorno in stile moderno. «Fantastico.» Fa qualche passo verso la scalina in vetro trasparente e sale come se avesse paura di cadere. «Helen, quando un giorno andremmo a vivere insieme voglio una casa come questa.»

Resto un attimo sorpresa. Quando un giorno andremmo a vivere insieme. L'ha detto come se fosse la cosa più certa del mondo e neanche ci ha fatto caso. Perché sto iniziando ad amare questo ragazzo? Non dovrei, ma è impossibile non farlo.

Saliamo di sopra e Harry vede subito una porta con su scritto "PALESTRA". «Non ci credo... c'è una cazzo di palestra!» è così elettrizzato all'idea che grida quasi.

Mi viene da ridere, sembra un bambino quando lo porti in un negozio di giochi in cui non si aspetta di trovare più di quello che cercava.

Vado a prendere la chiave appesa ad un gancio dentro un piccolo sportello alla fine del corridoio, torno da lui e gliela do in mano. «Apri se vuoi» gli dico sorridendo.

Gira la chiave ed entra. Si guarda attorno sbalordito.

È una bella palestra in effetti. È piena di attrezzature e tutta intorno ci sono specchi, di qua e di là. C'è l'aria condizionata, un frigorifero con acqua e bevande energetiche. Uno sportello con degli snack e una macchina per il caffè.

«È pazzesco...» dice ancora.

Mi fa piacere vederlo così, non era mai successo.

Viene verso di me e mi mette le mani sulla vita, avvicinando il mio corpo al suo. «Come mai sei così sorridente?»

Distolgo lo sguardo dai suoi occhi e mi scappa una risatina. «Sei carino quando fai così.»

Inarca le sopracciglia, sorpreso. «Carino? E io sarei carino

Annuisco sorridendo.

Piega la testa e all'orecchio mi sussurra: «Vuoi che ti faccia vedere quanto so essere carino?» Inizia a baciarmi il collo con baci umidi e caldi.

Il mio respiro è già cambiato, è pesante, leggermente affannato.

Slaccia il mio reggiseno da sotto la maglietta e mi fa cadere le spalline così da lasciare i miei seni liberi. Mi spinge indietro fino a farmi toccare con la schiena mezza scoperta la superficie dello specchio fredda, e rabbrividisco.

«Allora, vuoi?» dice, ma non riesco a ricordare di cosa mi stava parlando qualche secondo fa.

Mette le mani sotto la mia maglietta e prende uno dei miei seni con la mano. Pizzica con due dita il capezzolo e dalle labbra mi scappa un mugolio.

Sullo specchio, dietro di me, c'è un alone di calore che il vetro si è appannato.

Lui mi bacia, apre la mia bocca con la lingua e la mia inizia a intrecciarsi con la sua. Scende con le mani fino ai miei fianchi e fa per abbassarmi i pantaloni, ma lo fermo. Ci sono le telecamere.

«Harry, fermo. Non qui.» Gli indico una telecamera con lo sguardo e quando la vede capisce subito. «Vieni con me.»

Mi prende la mano e mi segue, entrambi abbiamo il respiro affannato.

In questa palestra c'è anche un bagno, e non c'è posto migliore.

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