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Per anni mi sono sempre chiesta quale fosse il mio posto nel mondo

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Per anni mi sono sempre chiesta quale fosse il mio posto nel mondo. Cosa ne sarebbe stato della mia vita senza mio padre. Mi sono posta mille domande e, nessuna i essa come sempre non ha mai avuta risposta. Ho cercato però, di rimboccarmi le maniche facendo cose di cui non vada fiera e, che ancora oggi mi fanno provare vergogna verso me stessa ma, non si può tornare indietro.

Purtroppo, non sempre si ha una seconda scelta e, io non ne ho avuta una.

Al ritorno da lavoro, osservavo l'angolo della mia piccola cucina e mi sedevo sullo sgabello con le spalle ricurve. Aprivo il frigo ma, lo richiudevo subito dopo poiché non c'era nulla al suo interno. Superavo il salone e, andavo nella camera di mio padre, prendevo una sua camicia e la indossavo. Ci spruzzavo sopra il suo profumo per sentirlo vicino e, parlavo a vuoto con quelle mura che ascoltavano la mia giornata e alla fine mi ritrovavo a singhiozzare, seduta ai piedi del suo letto e, dormivo lì tutte le sere, tutti i giorni della mia vita.

Mio padre era l'unica cosa che avevo, rappresentava la mia famiglia. D'allora non ne ho mai avuta una e, non la volevo. Fin quando non sono apparsi i Morrison con: i loro casini, i loro litigi e anche le imperfezioni.

D'altronde quale famiglia si può reputare perfetta?

Dopo anni sento che riesco ad identificarmi nel calore di una casa e, che posso rifugiarmi tra le braccia di una persona a cui tengo. Anche se, sento costantemente la mancanza di mio padre e a volte, ho così tanto bisogno di sentirlo accanto a me, di sentirmi dire che sto facendo la cosa giusta e di essere rassicurata, riesco ad affrontare la giornata senza ritrovarmi a piangere ai piedi del letto.

Tenendo gli occhi sul soffitto, non mi ero accorta della presenza di qualcuno nella stanza. Il letto si abbassa sotto al suo peso e, Giuliano mi cinge la vita col suo braccio. «Come mai la mia futura moglie è pensierosa?» Questa situazione ha cominciato a farmi star male. Dopo le parole di Alexander, inizio a sentirmi in colpa.

Non posso continuare così.

I sensi di colpa, riaffiorano ogni qualvolta incrocio il suoi occhi verdi e, poi la dolcezza di Giuliano mi infonde tranquillità. Sono più che sicura che possa capirlo. «Devo parlarti.» Mi metto a sedere sul letto, coprendomi con le lenzuola nonostante abbia la vestaglia che copra il mio corpo.

Lui deve accorgersi del mio istinto di protezione perché, mi accarezza il viso e mi sorride. «Se dirmi che tu e Alexander avete iniziato una specie di relazione, ti fa stare così. Allora, devo dirti che ne sono già al corrente.»

Non riesco a formulare una frase di senso compiuto. Cerco di capire da quanto lo sappia e, il suo sorriso malizioso mi dà la risposta che cercavo. «L'hai sempre saputo.» Una sola affermazione per farlo scoppiare a ridere di gusto.

La sua testa ricade all'indietro, colpendo i cuscini e continua a ridere a crepapelle. Lo guardo, impassibile assettando che questo stato d'ilarità gli passi. I suoi occhi verdi sono fissi nei miei. «Avevo qualche sospetto poi, quando ti ho chiamata a New York ho capito.» Crollo anch'io sul letto, appoggiando la testa sul suo petto. «Leyla, non devi sentirti in colpa per me. Io ho una donna che mi ama, incinta di mio figlio e che amo con tutto il mio cuore. Nonostante, questo matrimonio combinato non aiuti molto entrambi, abbiamo il diritto di essere felici.»

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