19. Nicolas

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Billie

La sveglia suonò. Avevo dormito poco quella notte. Tra il mio attacco di panico avuto alla villa, la presenza di Drew, il contatto con la pelle di Eco e l'imbarazzo provocato da mia madre, non riuscivo a prendere sonno. Purtroppo era giovedì, e dovevo andare a lavoro. Guardai fuori dalla finestra e la prima cosa che notai fu che il cielo era grigio e pieno di nuvole. L'aria era fresca, di notte aveva piovuto. Abbassai lo sguardo di fronte a me e vidi la casa di Eco. Da quella posizione potevo intravedere perfettamente la sua camera da letto, ma la sua finestra era coperta da un paio di tende color cobalto. Mi venne in mente ciò che disse mia madre quella notte.
Mentre pensavo a lei mi vestivo e mi pettinavo facendomi una coda bassa. Dovevo lavarmi i capelli, ma era troppo tardi ormai per farsi una doccia. Mi diressi verso la cucina. Erano le 8.30 e il negozio avrei dovuto aprirlo io alle 9. Bevvi una tazza di caffè, presi in mano un toast appena pronto, salutai di sfuggita Philipe che, come sempre, guardava il suo cellulare, e poi uscii di casa. Stranamente non mi sentivo stanca, come lo ero di solito. Ero talmente energica che un po' per l'ansia di arrivare in ritardo e un po' per la caffeina che avevo in corpo sfrecciai in pochi minuti con la mia bici verso il negozio. Arrivai di fronte al piazzale di pietra di Harmony Square, dove le auto solitamente parcheggiavano, ma mentre smontavo dalla mia bici vidi un ragazzo girato di spalle intento ad aprire la porta del Variety Store. Magari è Jack. Pensai, ma poi mi ricordai che il giovedì lui faceva il turno di pomeriggio e che se mi trovavo lì, quella mattina, era perché il negozio dovevo aprirlo io.

«Hey!» gridai lasciando cadere la bici a terra e correndo verso di lui. «Che stai facendo? Il negozio è chiuso!» dissi affannosamente dopo averlo raggiunto. Il ragazzo si girò verso di me e mi sorrise.

«Tu devi essere Billie O'Connel» disse, ma io lo squadrai perplessa. «Nicolas Smith» pronunciò, e a quel punto realizzai. Era il fratello di Jack, quello di cui mi aveva parlato Eco. Come mi aveva raccontato lei era davvero diverso da Jack. Gli occhi erano scuri, la carnagione olivastra, i capelli erano neri e riccioluti. Non si assomigliavano per nulla.

«Scusami è che non-, non ti ho mai visto e pensavo fossi un malintenzionato» affermai con un sospiro di sollievo, sperando di non risultare offensiva.

«Chi mai farebbe una rapina alle 9 della mattina in un magazzino in questo buco di città?» rispose, facendomi sorridere.

«Qualcuno appassionato di faidate, magari» dissi, e sorrise anche lui. Aprii con le chiavi la porta ed entrammo in silenzio.

«C'è puzza di erba qui dentro» disse dal nulla. «Jack e i suoi amici si saranno divertiti 'sta notte» continuò poi afferrando un posacenere pieno di mozziconi, poggiato sul bancone della cassa e mostrandomelo. «Se andrà avanti così non arriverà ai trent'anni»

«Tu non fumi, Nicolas?» domandai.

«Non ne trovo il senso, Billie. Ah e puoi chiamarmi Nic» disse pulendo il casino che c'era sul bancone. Ecco trovata un'altra differenza tra i due. Pronunciava il mio nome con una tale delicatezza che sembrava mi conoscesse da sempre.

«Allora tu chiamami Bil.»
Lui sorrise.

«Nic e Bil, suona bene. Sembra il nome di un duo comico degli anni sessanta» affermò, ed io risi prendendo scopa e paletta.

«Come sapevi che ero io e non, che ne so, semplicemente una pazza che ti sbraitava contro?» chiesi, e lui scoppiò a ridere.

«Per due motivi. Uno, Jack mi ha parlato di te e a Slaughter non ci sono altre ragazze con i capelli argentati. Due, ti ho vista ieri alla festa in villa. Eri con Eco, mi hai violentemente scontrato mentre stavate per uscire. Ti chiamava per nome»
Sobbalzai.

«Cazzo, non volevo farti male, mi ero girata per chiederti scusa ma...»

«Tranquilla, so che non l'hai fatto apposta. Anzi, scusami se ho reagito male; non avevo visto che eri tu. Non mi sarei mai permesso»
Sorrisi. Nicolas mi dava energie positive. Era carino, educato, gentile e simpatico. Tutto il contrario di Jack, insomma. Non sembravano fratelli di sangue, Nicolas aveva lineamenti decisamente più orientali. «Ah, ora che mi ci fai pensare,» cominciò a dire, «aspettami qui, vado a prendere una roba in macchina.»
Uscì dal negozio e dopo qualche secondo lo vidi tornare con una breve corsetta e la camicia di Eco in mano. Sorrisi entusiasta.

«L'hai trovata tu! Che fortuna!» esclamai afferrando la camicia. Aveva ancora l'odore di Eco impregnato.

«Già. Vi ho viste posare la camicia su un divano, ma quando ho notato che stavate andando via ho deciso di prenderla, così te l'avrei ridata e, chissà, magari avrei poi trovato una scusa per venirti a parlare.»

***

A fine giornata salutai Nicolas e, contenta di rivedere Eco per ridarle la camicia, salii sulla bici e pedalai fino a casa. Chissà che faccia farà quando mi vedrà con la sua camicia. Pensai entusiasta. Avevo passato una bella serata a parlare con Eco e Luke, il giorno prima. I loro amici erano simpatici, soprattutto Maya. Avevo fatto anche amicizia con Nicolas e, se fosse venuto più spesso, mi sarebbe anche piaciuto venire a lavoro. Anche lui era appassionato di libri, come me. Durante l'ora di pausa-pranzo, in cui il negozio era chiuso, ci siamo messi a parlare di Bronte e di filosofia. Io di questa non ne sapevo molto, ma lui la studiava al college ed era piuttosto bravo. Mi disse che se avessi voluto sarei potuta andare a casa sua, un giorno, a studiare insieme a lui. Avevo trovato un amico. E avrei dovuto raccontarlo a Eco. In nemmeno una settimana avevo provato una sfilza di nuove emozioni. Forse dovevo davvero uscire dalla mia zona di confort. Forse si poteva stare bene anche al sole, con un po' di protezione solare. La mia Eco. Anche se non era affatto mia.

Arrivai sulla strada di casa e tutti i miei pensieri positivi svanirono in un istante quando vidi Jack ed Eco parlare a pochi centimetri di distanza di fronte alla sua porta. Mi fermai improvvisamente a qualche metro da loro ma non riuscii a sentire che cosa si dicevano. Decisi di non salutarli e scesi velocemente dalla bicicletta, poi corsi in casa portandola di fianco a me, anche perché non me ne ero accorta ma già da dieci minuti aveva cominciato a diluviare ed io ero completamente fradicia.

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