47. Autodistruzione

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Dopo aver sistemato i piatti e aver pulito la cucina vidi Eco dalla finestra, seduta su una sedia di legno fuori in cortile. Francesco intanto si era addormentato profondamente sul divano. Passai piano vicino al letto e uscii anche io, spegnendogli la luce e lasciando accesa solo un'abatjour.
Quando lei sentì il suono della porta aprirsi si girò verso di me e accennò un sorriso.
Me la chiusi alle spalle.
«Là c'è un'altra sedia se vuoi» disse inalando fumo. La presi e gliela posizionai vicino, poi mi ci sedetti.
«Ho pulito la cucina» pronunciai.
«Non dovevi, avrei fatto io domani mattina»
«Tranquilla, pulire mi rilassa. Mi fa passare l'ansia»
Lei sospirò e si passò le mani tra i capelli, tesa.
«Che c'è?»
«Mi dispiace, Bil. Mi dispiace davvero tanto»
«Hey, guarda che la discussione di oggi per me è già acqua passata. Non fustigarti così per una cazzata come questa»
Stette in silenzio.
«Non lo leggo nemmeno quello stupido libro, se vuoi lo posso anche buttare, io-»
«Non me ne frega un cazzo di quel fottuto libro, Billie» disse secca.
«Oh...»
«Volevo solo litigare con te»
«E... perché?»
«Che cazzo ne so io del perché. Perché non sono normale, ecco perché. E tu devi starmi lontano»
A quelle parole così dure sobbalzai e sentii il magone nella gola.
«Non... non mi vuoi più?»
Si girò verso di me e mi guardò analizzandomi a fondo il viso.
«Dovrei risponderti di sì» disse. Gli occhi le si bagnarono. «Dovrei dirti che non ti voglio più vedere nella faccia della Terra... ma non posso. Perché tu sei la cosa più bella che ho in questa mia vita di merda»
Rimasi scioccata da quelle parole. «Sei l'unica persona che mi fa sentire in pace con me stessa, l'unica con cui dormo bene. Sembra una cazzata ma... mi fai stare calma», e dicendo seria queste cose pian piano si avvicinava sempre più verso di me, fino a che le nostre labbra si sfiorarono. Mi baciò, mettendo la sua mano sotto il mio mento, ma si staccò poco dopo. «Tutto questo è sbagliato, però» disse, incupendosi.
«Cosa c'è di sbagliato?»
«Io sono sbagliata per te»
«No, tu sei perfetta per me»
«Bil, ascolta. Tutto ciò... è sbagliato. Ok? Per quanto possa essere magnifico è tutto sbagliato, tutto un errore. La base su cui stiamo fondando tutto questo è già sbagliata di per sé»
«Cosa intendi per "tutto questo"?»
«Intendo noi! Noi due insieme, cazzo»
Eravamo qualcosa? Mi venne da ridere.
«Scusa, ma tu non sei proprio il tipo di persona che fa questi ragionamenti. Un mese fa non avresti mai detto cose del genere, mi sembra di star parlando con me stessa» risposi io.
Sospirò.
«Ho cambiato idea su molte cose», e guardò da un'altra parte. «Avevi ragione tu. Quella cosa che è meglio non avere un sogno. Avevi ragione»
«Eco... io dicevo quelle cose perché ero un fantasma. I fantasmi pensano così, non tu»
«Invece è la verità. Se non hai sogni non vieni delusa. "È meglio stare dietro le quinte"»
«Ma tu sei un'artista, non devi pensare come mia madre. Tu potresti davvero farcela, diventare qualcuno all'Accademia»
«Billie, parliamoci chiaro, non so nemmeno pensare a me stessa. Come cazzo credi che io possa avere un buon futuro? Ho rovinato la vita a tutti...»
«Non a tutti»
«Ho rovinato la vita anche a te, Billie»
«Dici cazzate»
«Te la rovinerò prima o poi, allora», disse guardandomi.
Non parlammo, ma dai suoi occhi scesero due lacrime. Si coprì la faccia con le mani.
«Sono un disastro»
«Apriti con me. Ti prego. Parlami» le pronunciai all'orecchio, a voce bassa. Lei fece cenno di no con la testa. «Togliti almeno uno di quei tanti pesi che hai sull'anima, Eco. Solo uno» sussurrai insistendo.
Lei sospirò e ci pensò un attimo. Si prese del tempo per pensare, poi si girò tutta verso di me e provò a parlare, ma era come se le parole non le uscissero dalla bocca.
«Fanculo, no, non riesco. Non ce la faccio a parlarne»
La baciai, accarezzandole piano la guancia e sentii il mio pollice bagnarsi di una sua lacrima scesa. Era davvero fragile come diceva di essere.
«Puoi prenderti tutto il tempo che vuoi. Possiamo anche non parlare! Possiamo anche stare in silenzio tutta la notte» dissi, e le presi la mano. Mi guardava sofferente e anche un po' incerta, come se nessuno mai avesse avuto un approccio del genere con lei. Guardammo il cielo. Poggiai di lato la mia testa alla sua e strinsi ancora più forte la sua mano gelida.

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