Billie
Quando mi svegliai la mattina dopo la stanza era tutta illuminata dalla luce bianca del sole ed Eco stava ancora dormendo profondamente. Guardai l'orario dal cellulare, stordita e accaldata. Erano le 11.47. Avevo diverse chiamate perse da parte di mia madre e Finneas.
"Sto bene." scrissi solamente a mio fratello.
A casa mia era impossibile svegliarsi così tardi perché, anche se avevo ormai finito con la homeschool, mia madre voleva che mi trovassi sempre qualcosa da fare. Ora che me ne ero andata da lì, quel risveglio era una sorta di "iniziazione", il primo passo verso una nuova vita, una vita con Eco. Almeno così credevo.«Eco... alzati, manca dieci a mezzogiorno» mormorai scuotendola lievemente. Era dolcissima mentre dormiva, con i capelli un po' scompigliati. Mugugnò.
«Ancora cinque minuti» disse con gli occhi chiusi, stendendo le braccia verso di me nonostante non mi vedesse. Mi afferrò con forza e mi fece sdraiare di nuovo attaccata a lei.
«Se perdi la mattina perdi tutta la giornata»
«Ormai la mattinata è persa quindi stiamo ancora cinque minuti nel letto»
«Ma dobbiamo fare un sacco di cose, io e te, oggi» dissi. Le diedi un veloce bacio a stampo e mi alzai. Si lamentò e si girò dall'altra parte.
Mi diressi lentamente verso la cucinetta.
«È possibile che tu abbia solo birra e Cocacola in questo frigorifero?» pronunciai aprendolo.
«Senti, è tutto ciò che mi è bastato finora...» rispose, «solitamente non ho molti ospiti, sai»
«Be', non possiamo andare avanti solo di questo»
«Che vuoi dire?» disse togliendo il cuscino dalla faccia, ghignando. «Se hai intenzione di vivere qui non se ne parla proprio»
«Come dici? Vivere? No, certo che no. Dicevo solo... se dobbiamo passare del tempo qui per shooting e quant'altro... poi non mi va proprio di tornare a casa da mia madre in questo momento e credevo...»
«Ho capito che intendi. Possiamo stare qui per un po', Fata. Ma prima o poi tornerai a casa tua, da tua madre, te lo dico già» disse sbadigliando.
«Oh... ma sì sì, certo. Ha senso che tu voglia stare per conto tuo» dissi, con tono affranto. Si mise a pancia in su e si coprì la faccia con le mani, sospirando.
«Capiscimi, Billie. Non è perché io non ti voglia qui. È solo che lei è comunque tua madre e non puoi scappare di casa e stare via per sempre»
«Perché no?»
Lei rise e si stiracchiò. «Perché tu sei una piccola e povera ragazza! Non sapresti che fare, sperduta in questo mondo malvagio pieno di criminali minacciosi e di gente che si droga!» disse ironicamente, in modo patetico. Ci guardammo. «Sei minorenne, Billie, e sembra un sequestro di persona» aggiunse seria mettendosi a sedere.
«Questa sarà la mia sindrome di Stoccolma, allora» pronunciai vaga. Sorrise.
«Sai una cosa? Sarà divertente la convivenza ma... dobbiamo assolutamente comprare un letto nuovo. Mi fa malissimo la schiena, cazzo» disse facendo una torsione del busto per stirarsi.
«Cominciamo prima a comprare del cibo»
«Qualcosa c'è in freezer se cerchi. Qualche pizza surgelata». Si alzò.
«Scusa? Pizza surgelata?»
«Sì, allora?»
«Allora pensavo che fosse un'empietà la pizza surgelata per voi italiani»
«Fata, ti sei scelta l'unica italiana con un difetto di fabbrica» disse venendo vicino a me, dandomi un bacio nell'angolo della bocca. «Non so cucinare. Sono solo luoghi comuni» continuò poi accendendosi una sigaretta.
«Però fumi come tutti i francesi» dissi io provocandola. Lei sorrise.
«Pensavo dicessi che sono passionale come loro»
«Anche, sì» risposi mettendo in forno le due pizze, dure come il cemento. «Non capisco come fai a fumare appena sveglia di mattina»
«Non è mattina. È mezzogiorno».
Si sedette sopra il tavolo con le gambe a penzoloni. Io alzai gli occhi al cielo. «Dimmi un po', quali sono i programmi di oggi? Tu che sei sempre organizzata, illuminami» chiese, continuando a inalare fumo.
«Tu potresti cominciare ad andare in una piazza turistica qua a Burford, con tutto l'occorrente di un'artista di strada. Io devo andare da Kim alle 15»
«Ricevuto, capo» disse guardando in basso. Vi fu un breve silenzio tra noi, mentre aprivo le finestre per far arieggiare la stanza. «E tu vai a psicanalizzarti» continuò ironica, senza togliere lo sguardo da terra.
«Sì, è così»
«Non pensavo ti vedessi ancora con Kim» affermò perplessa.
«Sì, be'... mi aiuta tanto»
«E io no?»
«Certo che mi aiuti anche tu, solo in modo... diverso»
«Non le racconterai nulla, vero?»
«No, ovvio che no. Voglio solo parlarle di una cosa»
«Perché non puoi parlarne con me?»
«Perché è una cosa mia, Eco» risposi mettendomi tra le sue gambe. Aveva lo sguardo incazzato ma anche un po' triste. Le presi le mani e gliele baciai.
«Tranquilla, non dirò niente. Parlerò solo ed esclusivamente di me»
«Ok, mi fido» disse, ed io allora la baciai.
«Mentre le pizze cuociono mi vorrei fare una doccia» aggiunsi accarezzandola. Mi sentivo addosso ancora quelle manacce della sera prima, che mi tocchignavano e mi tenevano ferma, mentre guardavo coi miei occhi Adam dare un pugno a Eco. Dovevo ripulirmi da tutto ciò.
«Vengo anch'io con te»
Avvampai al pensiero di me e lei sotto la doccia insieme. Sorrisi e mi baciò. Quando il nostro bacio si fece più passionale sentii il tavolo vibrare. Era il suo telefono. Volse lo sguardo verso di esso mentre io continuavo a baciarle il collo, in piedi in mezzo alle sue gambe perfette.
«Merda, devo rispondere per forza» pronunciò. Diedi una sbirciata e lèssi il nome sul display: una certa "Sarah <3". Spalancai gli occhi.
E ora chi cazzo è questa? Pensai, piuttosto angosciata. Eco rise divertita dal mio sguardo.
«Hey, sta' tranquilla, non è nessuno, ma devo rispondere» disse ridendo, come se mi avesse letto la mente. Mi baciò la fronte. «Tu entra in doccia, io ti raggiungo». Scese dal tavolo e rispose alla telefonata, mettendosi affacciata alla finestra.
Io me ne andai in bagno.
Una volta in doccia mi sentivo molto meglio al tocco dell'acqua tiepida sul corpo. Era da un po' che non facevo gli esercizi che mi aveva dato Kim, come quello di mettermi la crema facendo pressione e cercando di sentire al tatto la mia pelle. Ora che stavo con Eco mi percepivo sempre più reale, sempre più una persona vera e non solamente una tela bianca. Avevo trovato la mia pittrice, quella che mi avrebbe dato colore e vita. Intanto la sentivo parlare al telefono mentre la aspettavo, con il cuore che batteva all'impazzata e con una voglia immensa di lei. Cercavo di capire cosa si stessero dicendo, ma il rumore dello scroscio non me lo permetteva.Aspettavo... aspettavo... aspettavo.
Quando capii che stavo solo sprecando tempo e acqua mi decisi a uscire. Aprendo lievemente la porta del bagno la guardai parlare e ridere al cellulare con quella Sarah, mentre fumava un'altra sigaretta. Mi chiedevo quale fosse l'argomento così importante e divertente da loro discusso.
Quando finii di prepararmi uscii ancora con i capelli bagnati, proprio nel momento in cui Eco aveva riattaccato.
«Sei già uscita? Stavo per venire da te»
«Sentivo le pinne crescermi al posto delle braccia»
Mi guardò storto. «Non importa. Le pizze le hai tirate fuori?» chiesi spazzolandomi.
«Porca troia!» esclamò, e corse di fretta verso il forno. Lo aprì e uscì un fumo nero paragonabile a quello delle industrie a New York nel 1800. Mise le pizze carbonizzate su un vassoio e mi guardò. Mentre lei imprecava io ridevo dal nervoso.
Cosa avrebbero concluso due ragazze mentalmente instabili come noi, se non sapevamo nemmeno stare al mondo?***
Mi portò Eco da Kim con la sua auto. La mia bicicletta era ancora nel cortile di casa mia e in qualche modo dovevo recuperarla, per potermi muovere in autonomia. A dire la verità avrei dovuto prendere da lì anche qualche mio vestito e biancheria, compito che forse avrei affidato a Philipe. Ancora non ci credevo al fatto che fosse gay. Era proprio il colmo!
Durante il tragitto ricevetti una mail dalla receptionist del centro psicologico. Diceva che Kim non stava bene e che mi avrebbe ricevuto direttamente da casa sua, perché ci teneva a vedermi. Subito sotto c'era l'indirizzo di Kim. Riferii il tutto a Eco, che fece in tempo a correggere la direzione, lamentandosi di questo improvviso cambio di programma.
«Porca puttana, l'ingresso è più grande di casa mia e tua insieme» commentò Eco una volta arrivate a destinazione. Burford aveva dei quartieri ricchi veramente stupendi e Kim abitava proprio in uno di questi. Ora che la frequentavo più spesso mi ero resa conto che Burford era davvero una bella città. Lower e Upper Slaughter, seppur verdi, naturali e antiche, sembravano catapecchie in confronto a quel quartiere lì. Ancora non ero mai andata a vedere il vecchio quartiere in cui abitava Eco prima. Di sicuro avrei cambiato idea sulla bellezza apparente di Burford.Diedi un bacio a Eco, la ringraziai e scesi dall'auto.
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Girl ~Billie Eilish~
Fiksi PenggemarBillie è una ragazza di diciassette anni che ha sempre vissuto nell'ombra. Dopo la morte del padre, il fidanzamento della madre e la perdita delle sue due uniche migliori amiche, Billie non si sente parte di questo mondo e sfoga i suoi malesseri par...