2. Vecchi vicini di casa

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Upper Slaughter. Ecco che eravamo arrivate a casa.
I venticinque minuti di macchina per arrivare ad Upper Slaughter partendo da Burford erano sembrati infiniti: forse perché lo stereo non funzionava e avevo lasciato le cuffiette a casa.

Per tutta la durata del viaggio nessuna delle due proferì parola.
Io e lei scendemmo dalla macchina e mi voltai verso la casa di fronte alla nostra, quella che apparteneva alla famiglia Green. Be' ora non più.
Pensai a quello che mi aveva appena detto mia madre in auto: la loro casa era stata venduta.

Erano brave persone, i Green. Avevano circa sessant'anni, ma non avevano figli. Erano solo loro due e, sebbene ci avessi parlato di rado, sapevo che era buona gente. Finneas mi mandò a bussare alla loro porta, quella sera, quando a mio padre venne un malore che poi si rivelò fatale. Corsi da loro spaventata e con tutta la mia voce gridai: "Aprite! Vi prego! Aiuto!", sbattendo insistentemente le mani contro la loro porta. Quando la aprirono si diressero di corsa verso casa mia, mentre io li seguivo cercando di non farmi cedere le gambe. La signora Green chiamò un'ambulanza, mentre il signor Green, che prima di andare in pensione era un dottore, eseguì le manovre di rianimazione su mio padre ma senza ottenere alcun risultato. Ricordo che Finneas era accasciato sul suo corpo inerme, con la sua testa tra le mani. Non avevo mai visto mio fratello piangere e gridare in quel modo, disperatamente. Al contrario di lui, io ero totalmente paralizzata, immobile, come una statua. E mentre la signora Green chiamava mia madre ed ognuno era occupato a fare qualcosa per salvare la vita di mio padre, io me ne stavo ferma in un angolo ad osservare la scena e a non capirci più niente. Non riuscivo nemmeno a piangere. Vedevo mio padre morire, e non mi era scesa neppure una lacrima. Ero semplicemente... inutile. E Kim dice proprio che tutto iniziò da lì. Che fu in quel momento che iniziai a vedere la mia vita come una spettatrice a teatro, incapace di poter cambiare ciò che stesse guardando o che le stesse accadendo intorno, come se stesse assistendo ad una terribile tragedia. Fu in quel momento che iniziai a vivere in modo passivo. Ricordo che mi tremavano le gambe e che non riuscivo a respirare. Mi ero messa le mani in tasca per prendere lo spray per i miei frequenti attacchi d'asma, ma non c'era; lo avevo asciato sulla mia scrivania, però la strada verso camera appariva più lunga e difficoltosa, la stanza girava tutta intorno senza fermarsi, era tutto sfocato e i suoni sembravano amplificati. Persi i sensi e caddi a peso morto per terra, picchiando la testa sul pavimento e facendomi uscire il sangue dal naso. Ricordo che con gli occhi ancora mezzi chiusi e offuscati vidi la signora Green preoccupata venire verso di me.
"Billie! Billie mi senti?" fu l'ultima cosa che mi ricordo di aver sentito, prima di risvegliarmi nel divano dei Green, che si preoccuparono di preparare a me e a Finn un bagno caldo e la cena, che ovviamente non mangiammo.
E adesso che ero scesa dall'auto di mia madre e guardavo quella stessa casa, che ora era ricolma di scatoloni in giardino, che profumava di novità, e l'entusiasmo di quella nuova famiglia che sistemava i mobili si riusciva perfino a vedere nell'aria, mi tornarono in mente tutti questi ricordi nauseanti. Solo io, Finneas e i Green potevamo capire; solo noi potevamo sapere che cosa avevamo provato quella sera, che cosa era successo dopo, che cosa era successo nel mentre, gli sguardi di mio padre e le grida di Fin. Quella casa era forse l'ultimo ricordo che avevo di mio papà. I nuovi arrivati non sapevano mica che dormii in una di quelle stanze per tredici notti di seguito quando mio padre era sotto sedazione in ospedale. La nuova famiglia avrebbe annullato qualsiasi tipo di ricordo che persisteva in quella casa ancora nitido. "Sì, ma ormai è nostra" avrebbero detto, e avrebbero avuto anche ragione nel dirlo. La bella storia d'amore di due anziani senza figli e sì, anche la paura e il terrore di me e mio fratello, sarebbero spariti per sempre. Ma forse era giusto così. Come ogni cosa, deve finire anche questo in qualche modo. Mi dispiaceva molto per i Green, ma ogni volta che mi avvicinavo alla loro porta di casa era come rivivere la morte di mio padre. Voltai quindi lo sguardo dall'altra parte e mi fiondai direttamente in camera mia.

Mi buttai sul letto senza nemmeno togliermi le scarpe e rimasi per qualche secondo a pensare con la faccia schiacciata contro il cuscino. Tirai poi il telefono fuori dalla tasca ed iniziai a scorrere nella galleria. Sorrisi alla vista delle foto e dei video che avevo salvati con Zoe e Drew. Foto al mare, in bicicletta, al ristorante, a casa di Zoe, prima di dormire, mentre cucinavamo. Feci partire il video del mio quindicesimo compleanno e mi si bagnarono gli occhi quando vidi che c'era ancora mio papà nello sfondo. Ci trovavamo tutti quanti in salotto ed indossavamo un imbarazzante cappellino da festa colorato. Nel video ero inginocchiata a terra e stavo aprendo l'enorme pacco regalo di Drew e Zoe, che stava filmando la scena. Ero così felice in quel video. Scartavo il pacco e ridevo di gusto alla vista della vasta quantità di polistirolo che avevano usato Drew e Zoe come imbottitura per non danneggiare il vero regalo all'interno della scatola: una cornice con tutte le nostre foto, che ora era ancora appesa sulla parete di camera mia e che non avevo il coraggio di togliere. Mi venne da piangere, ma non lo feci. Ridevamo tutti, quella sera. Tutto era così curiosamente magnifico, e mai mi sarei immaginata che qualche mese dopo se ne sarebbe andato tutto quanto a puttane.
Passai velocemente la mano destra sulla mia guancia per asciugare la lacrima appena scesa. Mi mancavano tutti. Mio fratello, le mie migliori amiche, mio papà, perfino la danza nella chiesetta del mio quartiere. Non avevo più niente. Indossai quindi le cuffie, chiusi gli occhi e mi addormentai con le risate delle persone che più amavo in sottofondo, immaginando di essere ancora nel mio salotto a ridere con loro.

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