35. Fai attenzione

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Nell'aria si sentiva qualcosa di strano. Spaventosamente strano.
Era come se l'universo mi stesse dicendo di mettermi in guardia perché qualcosa di pericoloso mi sarebbe successo a breve. Sentivo questa sensazione in corpo perennemente. Il primo avvertimento fu un incontro con Drew. Un giorno mentre mi recavo a lavoro in bici l'avevo vista sfrecciare con lo scooter di fianco a me. La strada era libera. A pochi metri più avanti le cadde a terra la borsa che aveva appeso al gancio del motorino. Si fermò, scese dallo scooter e mise -male- il cavalletto, poi mentre andava a recuperare la borsa caduta anche la moto si ribaltò verso destra.
«Porca troia, ci mancava solo questa, adesso» esclamò lei. Guardò sconfitta il suo scooter in terra ed io mi avvicinai con la bici per aiutarla a tirarlo su. Quando alzò lo sguardo notai che aveva un occhio nero.
«Non ce n'era bisogno. Grazie» disse seriosa dopo che avevamo sollevato insieme il motorino. Io sorrisi e scossi la testa come per dire "fa niente" e lei annuì.
«Io sono rimasta fedele alla vecchia bici... vedo che tu sei passata di livello» affermai scherzosamente. Lei sorrise. Quanto mi mancavano i suoi sorrisi spontanei.
«Nella vita ci si deve evolvere, non si può rimanere sempre allo stesso livello» rispose.
«Sì... è vero. Co-come stanno i tuoi?» chiesi, provando a farle capire che di lei non mi interessava. Anche se non era affatto così.
«Litigano, come sempre. Maggie e tuo fratello come stanno?»
«Bene, insomma. Stanno bene, almeno credo. E... e tu invece? Tu come stai?» dissi, e lei rimase sorpresa da quella domanda. Ci mise un po' a rispondere.
«Io sto bene. E tu?»
«Anche io» risposi, ma in fondo era chiaro che entrambe stavamo dicendo stronzate. Rimanemmo in silenzio per un po'. Volevo chiederle del suo occhio nero, ma sapevo che se lo avessi fatto se ne sarebbe andata via e quasi sicuramente mi avrebbe insultata.
«Billie-»
«Drew-» dicemmo allo stesso tempo. Per questo ci venne da ridere. «Io... volevo solo dirti che mi dispiace. Mi dispiace per... tutto quello che ti ho fatto. Ma io ti posso assicurare che non è stata una mia intenzione, se fossi stata cosciente non avrei mai baciato Adam. Si era avvicinato lui a me ed io avevo bevuto, insomma, era il tuo compleanno. Io... non ricordo nemmeno bene cosa è successo dopo. Il bacio c'è stato ma mi sono staccata subito e... non lo so. Non voglio giustificarmi ancora, è passato un anno e poi-»
«Bil, Bil, smettila. Finiamola qui. Hai ragione, è passato più di un anno da quella festa»
«Già...»
«Per me non esisti più, Billie» disse, ma la voce le si ruppe e le scese una lacrima. Salì in sella e si allacciò il casco senza guardarmi.
«Sì, capisco» mormorai. Ora lei stava proprio piangendo.
«Tu giurami solo che starai attenta, in questi giorni, ok?»
«In che senso?»
«Ti prego, Bil. Fai attenzione» pronunciò asciugandosi le guance, e partì lasciandomi lì in piedi, confusa. Salii anche io sulla bici e andai verso il negozio. Intanto aveva cominciato a piovigginare.

***

«È incredibile, davvero» disse Nicolas guardando fuori dalla porta in vetro del negozio.
«Cosa?» domandai io spazzando a terra. Stavamo per chiudere.
«Il fatto che siamo al dodici giugno ed è da giorni che il tempo fa schifo»
«Sì, hai ragione» risposi, e mi soffermai su una macchina parcheggiata fuori. Era la macchina di Eco. Mentre spazzavo a terra mi chiedevo come mai si trovasse lì. Nicolas intanto continuava a parlare ma non lo stavo minimamente ascoltando.
«Billie? Mi stai ascoltando?»
«Come? Sì, sì»
«Quindi ti va se vieni da me, dopo?»
«Oh, ma certo. Non ho l'ombrello però. E sono anche in bici, cazzo»
«Puoi stare sotto il mio. Io sono venuto in autobus, il prossimo dovrebbe arrivare tra poco» disse aprendo l'ombrello. Uscimmo dal negozio e il vento mi fece venire i brividi. Nicolas mise l'altro braccio intorno alla mia vita e mi guardò. Riuscivo a sentire il suo respiro fresco sulla faccia.
«Cavolo, che occhi...» pronunciò sorridendo spostandomi una ciocca dal viso. Sapevo che Eco ci stava guardando e il pensiero che ciò potesse darle fastidio un po' mi piaceva. Non feci in tempo a rispondergli che sentimmo il suono prolungato di un clacson. Ci girammo verso la macchina di Eco e incrociai il suo sguardo. Mi fece segno di venire da lei.
«Che ci fa Eco qua?»
«Dammi solo un secondo, Nic» dissi, e andai da Eco, bagnandomi tutta sotto la pioggia.
«Eccoti, sali. Sono venuta a prenderti» affermò lei aprendo la portiera dell'auto.
«No»
«Dai, non fare la difficile e sali»
«Ho detto di no. Non voglio salire»
«È pericoloso andare in bici quando piove»
«Vado con Nicolas infatti. A casa sua»
«Non farmi ridere, su!»
«Cos'è, sei gelosa?»
«A dire la verità sì»
«Be' allora sei un'incoerente del cazzo»
«Piantala di dire stronzate e sali, Billie. Ci stiamo bagnando tutte e mi sto innervosendo»
«Se ero solo un bacio per quale motivo ti comporti così?»
«Così come?»
«Così! Come se tu... come se io fossi... va be' lascia stare, non so nemmeno io cosa sto dicendo, non ti voglio parlare» dissi, e mi girai per tornare da Nicolas.
«Va bene, come vuoi tu! Va' pure da lui, non mi importa. Hai capito Billie? Non mi importa» la sentii esclamare dietro di me. Non mi voltai a guardarla, ma lentamente mi avvicinai a Nicolas.
«Che voleva?» domandò lui.
«Non farci caso»
«Avete litigato? Non siete più amiche?»
«Io e lei non lo siamo mai state, veramente».

Durante il tragitto in autobus tutti guardavano Nicolas. La vicenda di Jack era giunta alle orecchie di ogni cittadino, da Burford agli Slaughter. Nic mi disse che lui, Sam e sua madre Giamila avevano dovuto affrontare un interrogatorio dalla polizia. La polizia aveva trovato mezzo chilo di cocaina dentro il materasso di Jack e aveva sospettato che anche la famiglia fosse coinvolta in spaccio e in uso di droghe. Chiaramente non era così. Era comunque ormai passata una settimana da quel fatto e le acque si erano più o meno acquietate. Sam e Giamila si trovavano in ospedale da Jack e Nicolas stava a casa da solo. Appena entrata, lui aveva già preparato il tè e ci eravamo seduti nel suo accogliente salotto, circondati da libri. Tra questi me ne saltò all'occhio uno: Desidéri oltre i Confini, di Allison Taylor. Sorrisi, al ricordo dell'autrice dai capelli rossi.
«L'ho letto, è bellissimo» disse Nicolas notando la mia reazione alla vista del libro. «Tu?»
«No, ma ho sentito la sua presentazione al Literary Cafe, l'altro ieri»
«Che ci facevi tu lì? Cioè, non fraintendermi, non voglio risultare scortese ma il Literary Cafe è davvero caro»
«Sono andata con un'amica. Tu perché non sei venuto? È stata una bella intervista. Lei mi è piaciuta molto»
«L'intervistato ero io! Era il giorno dell'interrogatorio... avrei voluto esserci, io Allison la adoro. Poi è poco più grande di me» disse sorridendo.
«Cosa ti ha colpito di più di lei -emm cioè- del romanzo?» chiesi.
Nicolas bevve un sorso di tè e prese un istante per riflettere, come se stesse scegliendo le parole con cura. «Forse la descrizione dei personaggi e dei luoghi. Allison è riuscita a dipingere immagini così vivide con le parole... potevo sentire le emozioni dei protagonisti come se fossero le mie»
Mentre lo ascoltavo, il mio interesse cresceva, sia per il libro che per l'autrice dai capelli rossi.
«Le parole sono un po' come colori su una tavolozza per un pittore, no?  L'autore le mescola insieme per creare un quadro che può ispirare emozioni e pensieri diversi in ogni lettore. Ogni pagina è un nuovo pennello di significato. La letteratura è arte, Billie. Considero Allison un'artista. So che anche Eco è un'artista. Gli artisti hanno sempre un qualcosa in più degli altri. Sono superiori a noi. Platone considerava gli artisti dei fuori di testa! Erano esclusi dalla città, perché sono matti e non hanno regole, sono ingestibili. Come Allison e forse anche Eco».
Guardai fuori dalla finestra, riflettendo sulle sue parole.

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