Le sue gambe si mossero prima che il suo cervello riuscisse a decodificare la frase appena udita.
Faceva parte della sua indole. Del suo istinto di sopravvivenza, che quel giorno aveva volontariamente di ignorare. Ignorare i consigli dei suoi amici, ignorare gli avvertimenti di sua madre, ignorare anche sé stesso.
Sentiva i polmoni, o qualcosa del genere, premergli così forte la gabbia toracica da togliergli il respiro. Ma continuava a correre ugualmente, perché sentiva i suoi passi lenti e costanti alle spalle e senza accorgersene le lacrime gli avevano già rigato le guance.
Non avrebbe mai pensato di ritrovarsi a morire così.
A sedici anni.
A casa sua.
Per mano della persona a cui aveva dedicato tutto sé stesso.Si era sempre immaginato da grande come suo padre. Sognava di diventare un ballerino, di insegnare ai suoi figli quello che gli era stato insegnato da bambino. Si immaginava il giorno del suo diploma.
Si immaginava qualsiasi cosa, perché la realtà non gli era mai piaciuta. Ed ecco com'è finita.
Cercava un'uscita, ma la testa girava così forte che gli occhi persero qualche grado, e per un attimo non riconobbe nemmeno la portafinestra da cui era entrato, solo due ore prima. Cercò di fare forza. Aprirla. Ma le impronte delle sue dita si stamparono perfettamente sul vetro, complice l'umidità mattutina, e allora singhiozzò, perché non aveva professato ancora una parola e si era limitato a seguirlo silenziosamente.
Forse curioso di vedere quanto avaramente una persona possa aggrapparsi alla sua vita.Continuò a spingere la portafinestra ma le sue dita scivolavano sul vetro liscio, e la sua testa iniziava a farsi pesante, al punto dal non concedergli più nemmeno quel poco di lucidità che gli era rimasta.
"Perché diavolo non la facciamo finita" Iniziava a domandarsi. Quei passi, con cadenza regolare, risuonavano come il ticchettio di un orologio. Di un timer, forse. Sempre a qualche passo dietro i suoi, ma che ancora gli permettevano di correre come un topo in gabbia.
Tic tac...Tic tac...
Potrei prenderti ma voglio lasciarti del tempo.
Tic tac...il tempo tuttavia sta scadendo.
Tic. Tac.Poi i suoi occhi, casualmente o per pura memoria e istinto, si spostarono verso la porta di ingresso. Socchiusa. L'ultimo impulso mentale che ricevette quella mattina, fu quello di correre verso l'uscita e di nascondersi. Il resto fu solo frutto dell'adrenalina che, inevitabilmente, il suo corpo gli aveva lasciato usufruire.
Respirava a bocca aperta, affannato e stanco, mentre saltava i quattro gradini e il tappetino di benvenuto alla casa. Nella sua casa. Di cui non era lui l'ospite, ma da cui stava cercando di scappare.
E come se lui avesse udito i suoi pensieri, sentì quei passi farsi più rapidi.
Stava uscendo.Provò ad urlare, come gli era stato insegnato a scuola, dai suoi genitori, anche solo per sentito dire, ma la voce non uscì. Almeno lui non riuscì a sentirsi.
Nessuno lo aveva preparato a quella evenienza. Nessuno mai lo aveva avvisato e lui mai si era sentito così a rischio, non si preoccupò quindi di documentarsi.Sentiva dolore alla milza, lo riconobbe perché era solito provarlo dopo il riscaldamento a danza, e gli venne spontaneo accasciarsi verso il primo punto fermo che gli capitò di fronte.
Freddo. Duro. E instabile.
Il cuore perse qualche battito.
Erano le sbarre del cancello. Del cancello di casa sua. Quello da cui era entrato.
Ed era aperto.Annaspò cercando di riprendere quanto più fiato possibile, e mentre il dolore alla milza andava man mano scemando, i passi si fecero più veloci. Più vicini. Provò a muovere la mano, la destra, ma questa per un qualche motivo si rifiutava di rispondere ai suoi comandi. Procedeva lenta, verso la grata.
"Andiamo!" Si ripeteva mentalmente, e qualche goccia di pianto gli finì tra le labbra rosee e screpolate.
La mano toccò a fatica una delle grate di ferro.
Fece per tirare a sé il cancello, ma con un botto secco, questo si serrò.
Volse lo sguardo all'insù e una grossa mano, ancor prima che riuscisse a realizzare di essersi messo da solo in trappola, lo strattonò, facendogli sbattere il viso sulla stessa struttura di ferro che stava cercando di aprire.Cadde a terra, dolorante, mentre dalla sua bocca un lamento strozzato si concesse di uscire allo scoperto, dopo quella agonia.
E pur non avvertendo la sua presenza lì, il solo sapere che ormai fosse giunta la fine dei giochi lo fece strillare come un bambino.Si portò una mano sul naso, che complice il colpo appena subìto aveva preso a perdere sangue e a bruciargli. Continuava a singhiozzare, a rotolarsi sul pietrisco del suo giardino, senza riuscire a pensare razionalmente nemmeno di alzarsi.
Lui era lì. Lo fissava con le braccia conserte e un silenzio subdolo e giudicante. Senza dire una parola respirava soltanto. Respirare.
Si ricordò di poterlo ancora fare, e cercò di concentrarsi su quello ignorando il dolore, ma niente. Gli faceva male la testa, gli premeva la milza, gli sanguinava il naso e gli dolevano le gambe. Non riuscì nemmeno più a dimenarsi al suolo.Era steso vicino il cancello, ormai serrato, con il suo aguzzino a pochi centimetri da lui che si limitava ad osservarlo e a lasciarlo crogiolare nelle sue emozioni.
"I-io" Ma un colpo di tosse secco lo costrinse a fermarsi, facendogli perdere anche quel poco di fiato che gli era rimasto.
"T-tu" Gli fece il verso, e se lo immaginò sghignazzare tra sé e sé.
Continuava a respirare, ma solo in quel momento si rese conto che qualcosa non andasse.
I suoi occhi. La sua testa. Non aveva bevuto altro se non acq- oh.
La consapevolezza lo investì in pieno come un tir."M-mio Dio-" Tossì "Mi pen- to e mi..dolgo con tut- to il cuore dei miei... peccati-" Non trattenne un singhiozzo "Perché-" Le goccioline gli arrivarono dritte in gola "Perché peccando, ho meritato i tuoi castighi-" Annaspò, e sentì una leggera risata "e molto più, perché ho of-ffeso te. Infinita...Infinitamente b-buono e degno di essere ama- to" Anche lui credeva di essere degno di ricevere amore, e con quel pensiero non gli venne in mente il resto della preghiera, imparata a memoria sin da bambino.
"G-Gesù, ti prego, perdonami"
E così dicendo, gli occhi di Mattia si chiusero, e il resto la sua mente preferì dimenticarlo.

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Nessuno vuole essere Robin
Fanfiction"La verità è che sei bravo a illuderti, Christian, e a convincerti che tutti gli schemi che ti sei auto-imposto siano la cosa più giusta per te. Mi dispiace, allora, avvisarti che, la mia verità non è quella che a te piace raccontarti" E così dicend...