Capitolo Trentadue || Stanchezza

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Christian sapeva che prima o poi, quel momento, sarebbe arrivato, in un modo o nell'altro. Quello che non si aspettava, era la reazione di Mattia, a quel confronto.

Sembrava stranamente tranquillo, o magari era solo pensieroso, e ancora scosso dalle prove in compagnia della Celentano.

Comunque, sembrava sereno, e non avrebbe mantenuto quell'atteggiamento per molto.

Al contrario, Christian, non era tranquillo per niente.

Aveva in testa troppe cose da dire, dettagli da puntualizzare e accuse da muovere, così tanti argomenti da aprire, da non sapere cosa fosse meglio esplicitare per primo.

Nemmeno lui era mai stato un asso nel parlare.

Mattia quantomeno, fallendo, ci provava, e ci metteva il suo massimo impegno nel farsi comprendere. Non ci riusciva, veniva sempre frainteso, ma almeno tentava.

Christian era nettamente più tragico. Aveva smesso di parlare, del tutto. Perché tacendo tante cose le aveva evitate, e non lo avevano ferito.

Solo con un pizzico di rabbia, quel silenzio di autodifesa, diventava rancore. Un livore che lo portava ad esplodere, e a non ragionare su quanto diceva.

Non gliene importava niente, in quei momenti, di poter ferire qualcuno. Lui scattava, e chi riusciva a salvarsi, bene, chi no...

Per fortuna quei momenti erano rari.
Aveva imparato a conoscersi e a contare fino a trecento prima di impazzire, per questo erano poche le cose che lo facevano davvero innervosire. Alle restanti non dedicava più di un'occhiataccia.

Però, in quel momento, di rabbia e rancore, ne aveva eccome, e non solo un pizzico.

Glielo voleva far sapere, quanto dolore avesse causato alle persone, che con quel faccino innocente aveva trascinato anche lui nei suoi giochetti, ma aveva compreso in tempo con chi stesse avendo a che fare.

Non gliene importò niente, in quel momento, della sua situazione pessima a casa, delle difficoltà nella danza, del suo piangere per ogni minima cosa.

Non gli dispiaceva, non si sentiva in dovere di nulla.

Mattia se lo meritava, quel dolore.

Lo meritava perché continuava ad insistere sparando bugie, comportandosi solo a seconda dei suoi comodi, ed era maledettamente facile correre a piangere, quando le cose non giravano che avrebbe voluto.

Così maledettamente facile piagnucolargli davanti come un cucciolo di cane a cui viene calpestata per sbaglio la coda, cercando di accalappiare quanto più pena possibile.

Mattia era penoso.

Cercava pena, e la suscitava negli altri.

Sbatteva gli occhi, fingeva di non capire, era ingenuo, e poi sotto era una serpe, una delle razze peggiori, che pugnala alle spalle e muove le persone come pedine.

Oh, ma Christian quella volta non gliel'avrebbe certo fatta passare con due pacche sulla spalla, un abbraccio e un mi dispiace.

C'erano delle somme da tirare e dei conti da pareggiare, ed era bene che il biondo capisse che non avesse a che fare con un cretino, un completo idiota.

No, lui era molto più sveglio, e meno fesso di quanto Mattia potesse immaginare.

"Come, scusa?" Domandò quello, confuso, e questo non fece altro che alimentare la propria rabbia.

Dal più leggero dei movimenti, dalla prima all'ultima parola pronunciata, era tutto finto, e più ci pensava, più quella rabbia ribolliva dentro sé.  Lo stava ancora prendendo in giro.

Nessuno vuole essere Robin Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora