Capitolo Trentasette || Nessuno vuole essere Robin

745 81 98
                                    

Era passato nemmeno un giorno dalla partenza di Mattia, e Giulia si sentiva già mentalmente a pezzi.

Aveva sempre percepito una connessione diversa con Mattia, rispetto Daniele e Saverio, quasi speciale. Erano sempre stati solo loro due, insieme, sin dalla sua nascita, ed era il figlio con cui aveva maggiore intesa.

Il figlio che nonostante l'età, non aveva mai smesso di rifugiarsi nelle sue braccia e nei suoi consigli, quello che le aveva permesso di conoscere il mondo da una prospettiva diversa.

E quella lontananza fisica, era molto più dolorosa di quella emotiva.

Ci provava con tutta se stessa a comprendere che Mattia stesse attraversando, e a malapena uscendo, da un periodo che definirlo grigio sarebbe stato troppo riduttivo.

Capiva che quella connessione sempre avuta sarebbe scemata, e che avvenimenti di quel tipo non potevano che segnare a vita chi li subiva. Capiva che avrebbe preferito strozzarsi con il proprio pianto da solo, piuttosto che cercarla come d'abitudine.

Capiva che quella freddezza non era cattiveria nei suoi confronti, o un modo per ferirla - sebbene lo facesse -, ma solo una richiesta di spazio.

A Mattia serviva spazio, e lei ci stava provando a lasciarlo andare, permettergli di riprovare a vivere con la stessa libertà sempre avuta, ma capiva anche che il problema non era solo Mattia.

Ovviamente chi ne aveva risentito di più non poteva che essere suo figlio, e mai avrebbe paragonato il proprio dolore al suo, ma era evidente che oltre la percezione del mondo di Mattia, fosse irrimediabilmente cambiata anche la propria.

Perché suo figlio aveva fatto incredibili passi avanti nel corso di quei due anni passati nel pieno della disperazione, e del male, che non avevano fatto altro che logorarlo fino allo sfinimento.

Mattia era arrivato in ospedale privo di sensi, e senza la possibilità di raccontare in un primo momento quanto successo, ma da sveglio, non era stato diverso.

Le prime ore, erano state condite da un silenzio assoluto, e risoluto da parte del biondo, che ad ogni domanda, si limitava con una scrollata di spalle.

I medici avevano creduto avesse dimenticato - le avevano parlato di amnesia, o qualcosa del genere - momentaneamente quanto accaduto e che forse, quel silenzio, se accompagnato da una psicologa, si sarebbe colmato.

Ma non fu così.

Dopo qualche ora Mattia aveva ripreso parola, e non c'era modo di fargli dire qualcosa di diverso da "È stato Alex, dovete fare qualcosa", nessun tentativo da parte della psicologa aveva suscitato stimoli diversi.

Proprio con quest'ultima Mattia aveva tirato su un muro, rispondendo sempre testardamente che mai si sarebbe aperto con una figura pagata per farlo parlare. Mai.

E nel frattempo, i primi segni di trauma, si erano manifestati.

Perenni incubi, tanto per iniziare.
Non c'era stato verso, sopratutto le prime notti, che Mattia passasse più di un'ora addormentato senza svegliarsi di soprassalto, urlando disperatamente aiuto.

E dalla sua parte, le aveva provate tutte.
Era rimasta più volte sulla poltrona scomoda concessa dall'ospedale, credendo ingenuamente che magari la sua presenza avrebbe potuto aiutare a farlo sentire al sicuro.

Ma no. Si era semplicemente immersa nella prima delle tante cose con cui da quel momento in avanti avrebbe dovuto fare i conti.

Svegliarlo, abbracciarlo per qualche secondo, e poi lasciarlo cadere nuovamente faccia in giù sul cuscino, in attesa del prossimo incubo.

Nessuno vuole essere Robin Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora