Capitolo Due || La Palestra del Linguistico

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Un anno dopo.

Il Liceo Linguistico Giovanni Falcone era in festa. Gli studenti correvano da una parte all'altra, con in mano chi i gavettoni, chi i secchi, chi le uova, chi la farina, e chi, cercava di svignarsela senza sembrare reduce da una puntata disastrosa di Masterchef.
Era l'otto giugno, l'ultimo giorno di scuola, e questo significava soltanto una cosa: Vacanze.

O falò con il dizionario di latino.
Ma sopratutto vacanze.

Ogni anno i professori vietavano l'utilizzo acqua o qualsiasi tipo di alimento all'interno delle mura scolastiche per i festeggiamenti, e puntualmente qualcuno - solitamente dell'ultimo, che dopo anni di torture ormai non doveva più sottostare a nessuno - dava inizio alle danze e dichiarava guerra a chiunque gli passasse davanti.

Il professor Castoldi, di filosofia, ormai sulla soglia della pensione,  ad esempio cercava di godersi gli ultimi istanti insieme ai suoi alunni. Addirittura si era fatto trovare preparato, con il secchio del mocio riempito fino all'orlo e uno spirito giovanile che nessuno gli aveva mai visto a lezione.

La professoressa Manzoni - caso vuole che insegni italiano ai ragazzi di quinto - era tutto il contrario.
Giovane, fresca di laurea in lettere e corsi su corsi per avere una cattedra, ma di stampo vecchio e rigido. Girava per la scuola minacciando di farla pagare a chiunque durante gli esami di maturità, e cercando di proteggersi dai suoi stessi studenti, che in tutta risposta la puntavano, un po' per dispetto  e un po' per vendicarsi di tutti i quattro presi nei compiti di analisi del testo.

Il professor Corvi, invece, se l'era data a gambe circa mezz'ora prima del suono della campanella.
Una leggenda all'interno della scuola diceva che un anno, uno studente di quarto, approfittando del caos generale di farina, uova e acqua, gli avesse rigato la macchina incidendo una parola che inizia con S e termina con "tronzo".
Da quel giorno, l'otto giugno, Emiliano Corvi esce prima, e frega tutti gli studenti vendicativi del corso B.

Allo stesso modo del professor Corvi, Dario Schirone, studente del quarto anno, cercava di uscire dal giardino scolastico pulito e possibilmente asciutto. Insieme a lui, Silvia, la sua ragazza. Che teoricamente non frequentava quella scuola ma era riuscita ad intrufolarsi fingendosi una ragazza di quinto, come un sacco di volte prima di quella, finché l'altezza glielo consentiva.

"Mi sa che ci tocca"
Dentro di sé sapeva che entrando a scuola si sarebbe inevitabilmente sporcata, sebbene sperasse di sbagliarsi.

"No, usciamo dalla parte della palestra"

Dario, sebbene fosse più piccolo - anche se non di molto - di Silvia, sapeva essere testardo e impuntarsi. E aveva deciso che quel giorno lui e la sua ragazza sarebbero usciti freschi, sicuramente, ma non fradici.
Gli occhi chiari e i riccioli scuri, misti al corpo non del tutto maturato di lui, potevano farlo sembrare piccolo, bambino.
Balle, pensava sempre Silvia.
Il suo ragazzo poteva essere accomodante come petulante peggio di una suocera, specie nei suoi momenti di testardaggine.

"C'è una parte della palestra?"

"Da sempre"

"E me lo dici ora? Dopo non so...Tipo un anno che rischio di sembrare una spacciatrice per entrare qui e vederti?"

"Ti amo anche per questo"

"Ruffiano" Sbuffò "Usciamo dai, ho fame"
Il ragazzo la prese per mano e fece retrofront e, ripercorrendo il cortile scolastico al contrario, raggiunsero la famigerata palestra.

Nessuno vuole essere Robin Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora