Capitolo Quarantadue || Tu mi hai capito

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A svegliarlo, ad un orario assolutamente indecente, furono quattro mani, che senza alcuna delicatezza presero a scuoterlo e richiamarlo.

Intontito, e con un buco alla testa, sollevò appena una palpebra, giusto per accertarsi che il mondo non stesse cascando e che nulla di grave stesse accadendo.

Nulla che gli interessasse, si intendeva.
Non era Slavik venuto a salutarlo e nemmeno il suo cantante preferito, che desiderava dedicargli un concerto privato,  come in uno dei suoi tantissimi sogni - quando non erano incubi, ovviamente-.

Erano solo Sissi e Dario.

E voleva sempre un bene dell'anima ai due, ma con quelle fitte alla testa che si ritrovava a dover sopportare senza sapere il perché - ma immaginandolo - probabilmente non avrebbe guardato in faccia niente e nessuno.

"Matti" Lo chiamò Sissi, picchiettandogli con la mano sulla spalla "È urgente" Sussurrò lei.

E proprio non capiva cosa avesse da parlare così piano, se tanto ormai l'aveva svegliato. Ma non era in vena di creare polemiche, piuttosto, preferì soffocare un lamento, con la faccia premuta contro il cuscino.

Si voltò, in un modo assolutamente poco delicato, affondando il viso sulla prima superficie confortevole e morbida che gli capitò davanti, tenendo ancora gli occhi serrati.

Qualsiasi cosa fosse, finché stava così comodo, poteva aspettare.

Sentì un risolino provenire da uno dei due amici, e qualche bisbiglio.

"Sono carini però"

Quello era sicuramente Dario.

"Una foto gliela posso fare?"

Si lamentò ancora, a tono più sempre più alto, per far capire ai due di essere infastidito non solo dal loro chiacchierare, ma anche dai postumi di una serata per cui avrebbe messo su la firma per dimenticare.

"Piano, Mattia" Lo sgridò Dario, ridendo "C'è gente che dorme"

"E chi, se ormai mi avete svegliat-"

Un mugolio fin troppo vicino al suo timpano, e quindi all'orecchio, lo fece interrompere di colpo.

Aprì entrambi gli occhi, e la sola cosa che vide fu: nero.
Si sollevò appena, confuso, e solo da quella prospettiva potè ricostruire la posizione che aveva assunto nel corso della notte.

Quel nero appena visto, apparteneva a tanti e disordinati capelli ricci, su cui aveva poggiato la fronte, come fossero il migliore dei cuscini. E certo quei ricci non gli appartenevano, non lui che li aveva sempre avuti così chiari da somigliare alla paglia.

Quei capelli erano di Christian.

Così come le gambe a cui aveva attorcigliato le proprie e le mani che nel sonno aveva stretto.
Quel mugolio infastidito apparteneva a Christian come ogni cosa in quella stanza, e nella sua testa, che riconduceva sempre e solo a lui.

a Christian.

Il moro però continuava a dormire beato, senza accennare a volersi risvegliare, e forse fu meglio così, perché se solo avesse aperto gli occhi, si sarebbe imbattuto in due iridi azzurre come il cielo fissarlo scioccate.

Si sarebbe imbattuto in altre quattro paia di iridi divertite, che la sapevano fin troppo lunga e che al contrario delle precedenti, non avevano affatto dimenticato l'ammissione fatta la notte precedente.

Non che servisse la conferma, insomma, anche un cieco e un sordo avrebbero capito immediatamente che dalla parte di Christian ci fosse un sentimento ben radicato e profondo nei confronti del biondo, ma sentirglielo dire, beh, era comunque tutt'altra storia.

Nessuno vuole essere Robin Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora