Capitolo Quarantuno || Hanging doubts, question marks

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Una delle cose che aveva sempre vissuto come fosse una gran fortuna, era di avere un amico che sin dal primo respiro, si trovava lì.

Non aveva dovuto presentarsi, stringergli la mano, chiedergli quale fosse la sua squadra del cuore o se preferisse contare o nascondersi a nascondino.
No, non ce n'era stato bisogno.

Era nato, e Alex era già suo amico del cuore.

Aveva imparato a parlare, a restare in piedi e camminare, a leggere, scrivere, giocare a calcio, mangiare composto a tavola, ballare, sempre con qualcuno al suo fianco che gli indicasse che quello fosse il suo amico.

Era cresciuto con suo padre che gli ricordava che loro sarebbero stati inseparabili a vita, legati, in un rapporto quasi fraterno, non vincolante solo per via di quel sangue diverso. Ma a lui non sarebbe mai dovuto importare.

Alex era suo fratello.

Perciò quando aveva voglia di urlare, e piangere dopo un litigio con sua sorella, doveva rivolgersi a lui.

Quando una giornata andava storta, e si sentiva per niente capace in confronto a tutti quanti i compagni, doveva cercare lui.

Quando si sentiva allegro e aveva voglia di giocare tornando a casa sporco di terra dalla testa ai piedi, era lui che doveva chiamare.

Non gli avevano mai dato una risposta che non prevedesse la sua vicinanza ad Alex, e di conseguenza, più per abitudine che per pigrizia, non l'aveva mai cercata.

Perché non credeva ce ne fosse bisogno.

Che senso aveva affannarsi e spingersi oltre la propria comfort zone, se già aveva a propria disposizione un migliore amico, che gli sarebbe stato sempre e comunque accanto?

Perciò era cresciuto, e continuava ancora a farlo, riempendo la propria vita di tante persone diverse, a cui aveva ceduto nel bene e nel male un pezzo del proprio cuore, e delle proprie attenzioni, ma che sempre si erano dovute limitare dietro a quella onnipresenza.

Loro non erano Alex.

Loro non c'erano sin dal primo giorno.
Dal giorno zero.
Alex sì.

E questo non significava volergli meno bene, o non tenerci. Solo, aveva sempre quella vocina in testa che gli spiegava con tono dolce ma sicuro - tipico utilizzato con i bambini - che non dovesse cercare altrove, se non lui.

Ed anche se a vent'anni non era più un bambino ed era grande abbastanza per decidere da solo con chi fosse meglio confidarsi, quell'abitudine, e quella certezza, era così radicata dentro di lui da essere diventata parte del suo carattere.

E quindi si era cullato del fatto che un migliore amico lo avesse, era buono, dolce e attento a lui, e gli bastava.

Tutti gli dicevano bastasse, quindi ci credeva.

E allo stesso tempo, gli era stato insegnato che chiunque torcesse un capello ad Alex, fosse un nemico. Qualcuno che volesse interrompere il loro rapporto idilliaco e reciproco, e che doveva essere fermato a tutti i costi.

E guai a mettersi in mezzo.

Quindi, sceso di sotto, con tutti i suoi amici radunati attorno al tavolo a bisbigliare tra loro, e qualcuno particolarmente vicino ad Alex intento a disinfettare un bel taglio, praticamente al centro del viso: sulla fronte, si sentì bruciare.

Perché quell'abitudine nonostante tutto era lì e gli suggeriva che qualcuno avesse attaccato Alex e lui non aveva mosso assolutamente un dito per impedirlo, rimanendo a guardare.

Come un allarme, che gli urlava nella testa Ehi, pronto, ci sei? Fai qualcosa.

Lo sguardo di tutti gli saettò addosso, in automatico, ma lo ignorò, tornando a sedersi esattamente dov'era stato poco prima, cacciando la testa all'indietro, con uno sbuffo.

Nessuno vuole essere Robin Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora