Capitolo 20 - Ritorni (parte 2)

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Cloe. 

<<Ascoltami bene, d'ora in avanti devi fare esattamente quello che ti dico, cominciando dal non farti vedere dai miei fino a quando io non avrò finito di parlare con loro.>> Ordino al mio bizzarro accompagnatore di viaggio, nonché fautore del mio volo in prima classe, e di un viaggio in un taxi dai finestrini oscurati dall'aeroporto di Bari fino al condominio dei miei, in una zona sperduta di una cittadina già piuttosto innocua.

La fobia che quest'uomo nutre verso l'essere riconosciuto potrebbe tranquillamente rasentare il patologico. Il perché uno che detesta così tanto le attenzioni del pubblico dovrebbe decidere di fare l'attore resta tra i misteri irrisolti.

<<Sei sicura? Non rischi di insospettirli ulteriormente?>>

<<Stammi a sentire: ti ho permesso di fare delle scelte che non condividevo e che non avrei fatto di mia spontanea volontà per arrivare qui, adesso si fa come dico io.>>

<<Ti rendi conto di quante polemiche per un volo comodo e un viaggetto in taxi?>>

Gli lancio un'occhiataccia.

<<Va bene, va bene. Si fa come dici tu. Resto qui fuori, allora.>> Si offre, fermandosi a pochi passi dal portone del condominio. <<Cerca solo di non farmi morire di caldo.>>

<<Il tuo fisico conosce le terrificanti temperature estive milanesi, saprà resistere a qualche minuto all'aperto in una fresca cittadella di mare.>>

Nic mi lancia un'occhiata fulminea con quei suoi occhi che al sole virano leggermente a favore dell'azzurro. Non sono mica stata ad osservarli, no.

L'ho solo notato in una rara occhiata casuale verso le sue iridi.

Suono al citofono e, non appena il portone si apre, mi ci infilo per evitare che i miei accorrano fuori nel tentativo di privarmi del folle peso della mia valigia. Che chiaramente sono perfettamente capace di portare da sola, ma provate voi a spiegar loro che non ho più le forze di una dodicenne.

Come previsto, li vedo comparire un attimo dopo sulla soglia della porta al piano rialzato, e papà si precipita giù per la piccola rampa di scale per venire in mio soccorso.

<<Ben tornata a casa, Milanese! Lascia questa a me, la porto io.>> Si affretta a dirmi, prendendo possesso della valigia un attimo dopo avermi stretto in un abbraccio rapido ma abbastanza vigoroso da ridurre quasi in brandelli le mie costole.

Neanche il tempo di rispondere che mia madre, incurante del fatto di avere addosso pigiama e infradito, accorre a stringermi tra le braccia. <<La mia bambina.>> Mi saluta con la voce tremante, e quelle tre parole sono sufficienti perché i miei occhi si riempiano di lacrime.

<<Mi sei mancata, mammola.>> Le dico con tutto l'affetto che sento, stringendola a mia volta.

Ecco, questa è la mia famiglia. Una madre che esce di casa in pigiama per salutare la figlia che torna a casa, e un papà che con le buone maniere non ci ha mai avuto a che fare.

Due persone comuni, semplici, piene di difetti e cicatrici, che però non avrebbero potuto essere dei genitori migliori.

Ora vi starete chiedendo, cosa c'entra uno come Nicholas Bianchini in una famiglia come questa? Buona domanda, me lo sto chiedendo anch'io.

<<Dov'è la tua amica? Non siete arrivate insieme?>> Mi chiede mia madre, aggrottando le sopracciglia chiare e allontanandomi quel che basta per scrutarmi. <<Accidenti, sei ancora bianca come un latticino. Hai proprio bisogno di un po' di mare.>>

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