Capitolo 4 - A cena con una stella (Parte 2)

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Cloe.

<<Hai voluto scegliere il posto per la cena per non farti notare e passi a prendermi con una Porche decapottabile?>> Chiedo perplessa non appena metto piede nell'auto tirata a lucido– e anche un pochino entusiasta, lo ammetto, ma solo perché fare un giro su una macchina da corsa è sempre stato uno dei miei sogni nel cassetto.
<<Buonasera anche a te.>> Mi saluta lui.
D'accordo, sono in vena di confessioni: nonostante quanto voglia far credere, pensare al suo nome rende più reale quello che sta succedendo e un pochino mi rende nervosa. Soprattutto perché è davvero dannatamente bello. Indossa una camicia dello stesso colore del mio outfit, arrotolata sulle maniche in modo da lasciare scoperti gli avambracci tonici e con un bottone slacciato di troppo che lascia immaginare una collezione di muscoli scolpiti. I jeans sono scuri e aderiscono sulle cosce solide. I boccoli appena scompigliati gli danno un'aria sbarazzina e la fossetta, in bella mostra sulla guancia, rende il viso rasato quasi angelico. Per fortuna almeno gli occhi sono coperti dalle lenti scure degli occhiali da sole. Ne sono talmente sollevata che non mi soffermo nemmeno troppo sul perché li indossi ancora, nonostante il sole sia ormai tramontato. Sarò anche una donna che nega di essere fatta di carne, ma c'è un limite a quello che uno può sopportare. Una bellezza del genere dovrebbe essere bandita dalla circolazione, per esempio.
<<Se ci fossimo accordati non saremmo riusciti a scegliere lo stesso identico colore.>> Aggiunge, muovendo l'indice tra la sua camicia e la mia tuta. <<E comunque, probabilmente il posto che ho scelto non sarà esattamente quello che ti aspettavi, perciò cercavo di compensare almeno un pochino con l'auto.>>
<<Andrà bene qualunque posto, purché il cibo sia buono. Perché, ti avverto, devo già sopportare di essere in tua compagnia, non sopporterò anche di mangiare delle invisibili porzioni da dive del cinema.>>
Lui non cerca neanche di trattenere la risata che irrompe dalla sua gola. Una risata profonda e melodiosa, tra l'altro. Ma ce l'avrà un difetto, questo qui? <<Niente porzioni minuscole, questo te lo posso promettere. Riguardo alla bontà, giudicherai tu, perché è difficile giudicare la propria opera senza essere di parte.>>
Aggrotto la fronte. <<Mi stai dicendo che hai cucinato tu? Dovrei sapere che hai un ristorante?>>
<<Non ho un ristorante. Staremo da me.>>
<<Cosa cosa cosa?!>>
<<Non dare di matto, per favore. E' un posto come un altro. E' solo per evitare la gente e poter chiacchierare liberamente. E ti assicuro che il posto in cui vivo è carino.>>
<<Ascolta, sarai anche l'interprete di un cavaliere senza macchia e senza paura, ma io non ti conosco, e per quanto mi riguarda potresti anche essere un maniaco pervertito. Oltre al fatto che ho letto da qualche parte qualcosa a proposito di una qualche azione non troppo a norma di legge verso un altro essere umano. Ora, non voglio intromettermi nella tua vita privata, ma capisci che venire da te non mi rende proprio tranquilla?>>
Per un attimo, quando nomino la notizia letta, la sua espressione si irrigidisce, ma quando finisco di parlare, torna al solito sorriso. <<All'accusa di essere un fannullone si aggiunge quella di essere un criminale. Di bene in meglio.>> Commenta, divertito. << Gli autori di quelle riviste parlano tanto e senza le giuste informazioni.>> Aggiunge poi, con un tono molto più secco. <<E posso giurarti che non sono un maniaco. Informa qualcuno di dove ti trovi, se ti fa sentire più tranquilla. Ti do l'indirizzo.>>
Poggio la testa contro lo schienale. <<Ma perché ho accettato questa proposta folle?>> Mi lagno, esasperata.
Quando lo sento ridere apro gli occhi per guardarlo.
<<Ormai sei qui, prova a lasciarti andare. Mangerai del buon cibo e assaggerai del buon vino. E poi, se non vorrai più vedermi, sarai libera di avermi fuori dai piedi.>>
<<Okay, posso farcela.>> Mormoro, più a me stessa che a lui. <<Prima di tutto, come ci si rivolge ad un attore? Devo chiamarti o pensare a te utilizzando il tuo cognome?>>
Lui arriccia il naso, ancora senza perdere il sorriso. <<Il cognome fa tanto liceo. Dici che Nic può andare?>>
<<Oh mio Dio. Nicholas Bianchini mi ha appena chiesto di chiamarlo Nic. Sto per svenire.>> E gli rivolgo un'occhiata sarcastica.
Nic – mi fa strano solo pensarlo- scuote la testa. <<E sentiamo, io come dovrei chiamarti? Non ho ancora avuto l'onore di sentirti presentare.>>
<<Io sono solo Cloe.>>
<<Hai un bel nome. Sai cosa significa?>>
<<Che per i miei genitori la vastità dei nomi italiani non era sufficiente?>>
Il suo sorriso si allarga, facendo approfondire la fossetta. <<E' di origine greca. Significa "piantina che sta nascendo". Indica speranza e prosperità.>>
<<Caspita, ti sei impegnato.>>
<<I miei nonni hanno fatto la stessa scelta con mia madre.>> Mi spiega, con un accenno di malinconia nella voce difficile da spiegare. Non che sia compito mio farlo, sia chiaro. <<E cosa fai nella vita, "solo Chloe"?>>
<<Lavoro in un'azienda di consulenza. Tu invece, sei un attore a tempo pieno?>>
<<La recitazione mi toglie parecchio tempo, in effetti. Ma mi piace anche suonare. Ho partecipato a qualche piccolo concerto informale. Ho persino suonato per strada, durante una gita a Praga con i miei amici.>>
<<Davvero?>> Non nego di essere sorpresa.
<<Sì, ed è stato anche più divertente del suonare su un palco.>>
<<Cosa suoni?>>
<<Pianoforte e chitarra. Chiaramente portare il pianoforte in strada è leggermente scomodo.>>
<<E io che pensavo girassi con un pianoforte in spalla.>>
Lui si solleva gli occhiali da sole e mi lancia uno sguardo pieno di ilarità, con quegli occhi terribilmente intensi. <<Siamo arrivati, comunque.>> Mi informa, mentre pesca il telecomando dal vano portaoggetti e comanda al cancello davanti a noi di aprirsi.
Ci ritroviamo in un giardino perfettamente curato, il verde dell'erba e delle piante spezzato solo da un vialetto in muratura che si interrompe davanti ad un paio di gradini in pietra, antecedenti alla porta di casa, una palazzina che sembra avere un paio di piani, dalle pareti tinteggiate di un bianco brillante. All'ultimo piano, intravedo un recinto di foglie avvolgere l'intero perimetro. Immagino si tratti di una specie di attico.
Lui ferma la macchina proprio nel mezzo del vialetto, e quasi sento nostalgia delle fusa appena accennate dal potente motore che riempivano l'abitacolo fino a qualche minuto fa. Sono così presa dal guardarmi intorno, mentre noto le catene di lucine bianche sospese nel vuoto tra un albero e l'altro e un rumore simile allo scroscio dell'acqua di una fontana, che non mi accorgo del fatto che il mio accompagnatore sia già sceso dall'auto, fino a quando non viene ad aprire la portiera del passeggero.
<<Benvenuta nella mia umile dimora.>> Mi accoglie con uno sguardo divertito, mentre scendo dall'abitacolo.
La brezza fresca mi accarezza i capelli che ho lasciato sciolti sulla schiena. Alzo lo sguardo verso il cielo limpido e ormai puntellato di stelle. Sono talmente stordita da un posto tanto bello che non riesco neanche a ricambiare il sarcasmo delle sue parole. <<Sembra di essere in un sogno.>>
Lui fa un sospiro di sollievo. <<Prima prova superata. Non nego che l'idea di organizzare la cena a casa un po' mi spaventava.>>
<<Diciamo che non è convenzionale. Ma dubito che in questa serata ci sarà qualcosa di convenzionale.>>
<<Mi stai discriminando anche tu, adesso. Siamo solo un uomo e una donna a cena, non c'è niente di più convenzionale, se teniamo fuori la mia professione. Ti va di rimandare il giro in giardino a dopo cena? Non so il tuo, ma il mio stomaco brontola.>>
<< Guarda guarda cosa ho appena scoperto, allora anche nel mondo del cinema è concesso avere fame.>>
<<Non ci crederai, ma ci è concesso persino respirare.>> Risponde a tono lui, mentre si avvia verso la porta. Digita qualcosa su un tastierino accanto allo stipite e io sento distintamente lo scatto della serratura.
<<Quanto è triste essere dei comuni mortali e doversi infradiciare sotto la pioggia mentre si cerca di infilare la chiave nella serratura...>>
Nicholas si volta verso le sue spalle, rispondendo al mio commento con un sorriso da una guancia all'altra.
Mi ritrovo a deglutire contro la mia volontà.
Cara madre natura, cosa diavolo aveva combinato il genere femminile per meritarsi un sorriso tanto letale?
<<Prego.>> Mi invita, scostandosi per lasciarmi passare.
Non appena metto piede sul parquet tirato a lucido, le luci artificiali brillano nell'ingresso spazioso e reso arioso dai toni del bianco e dell'argento.
Seguo Nicholas attraverso il salotto, in cui campeggia un divano in pelle bianca, valorizzato da un copridivano che ha tutta l'aria di essere un drappo di seta. La parete opposta è occupata da un televisore di ultima generazione, dallo schermo grande un numero di pollici non facilmente definibile, e ingraziosita da piccoli vasi di fiori appesi a mo' di quadri.
<<Confermo quello che stai pensando, non è un arredamento da uomo. Quei quadri sono opera di mia sorella.>>
<<Scommetto che invece il televisore è imputabile a te.>>
<<Touchè.>> Ammette, mentre si avvia lungo la scala, bianca a sua volta.
<<Quante volte al giorno vi sottoponete a tutta questa fatica?>> Borbotto quando arriviamo in cima, cercando di contenere il fiatone.
<<Ci teniamo allenati.>> Dice lui, per niente scalfito dalla salita. <<Questa è una piccola cucina "di scorta", la usiamo solo quando mangiamo qui fuori.>> Mi illustra, indicando un angolo cottura grande quanto la mia intera cucina. Qui il concetto di "piccolo" è leggermente travisato, mi pare. <<Il bagno invece è qui, se dovessi averne bisogno.>> Aggiunge, indicando la piccola porta sulla destra.
Mi limito a ringraziare, mentre lui fa scorrere la vetrata che separa l'interno dall'esterno.
Okay, adesso dovremmo seriamente discutere sul detto "I soldi non fanno la felicità." Perché posso assicurare che se io vivessi in questo posto sarei senz'altro felice.
Al centro della veranda, l'acqua di un'enorme piscina dai bordi in pietra è illuminata dal riflesso delle stesse lucine che ho visto in giardino, questa volta sospese sullo specchio scuro.
Dal lato della piscina più lontano da me sono posizionati due lettini da spiaggia in legno scuro e tela color crema, mentre davanti a me un tavolino rotondo è apparecchiato per due, coperto da una tovaglia chiara che reca sul bordo quello che sembra un ricamo a mano. Le due coppie di piatti di porcellana sono sistemate l'una di fronte all'altra, assieme a una coppia di bicchieri per lato, mentre nello spazio tra le due giace un vaso trasparente con una singola rosa, una caraffa d'acqua e una piccola candela.
<<Prego.>> Mi invita, scostando la sedia.
<<Okay, ammetto che hai più di un motivo per credere che basti una prima cena per convincere una donna a rivederti...>> Comincio con una mezza risata, guardandomi intorno mentre mi siedo.
<<... Ma non è sufficiente per convincere te.>> Conclude lui al mio posto. <<Per fortuna ho altri assi della manica, e poi la cena non è ancora iniziata. Torno subito.>> Aggiunge poi per niente scoraggiato, strizzandomi un occhio, prima di riattraversare la vetrata verso l'interno.
Torna dopo qualche minuto, reggendo da una mano una bottiglia di vino bianco e portando sull'altra un piatto piano.
<<Un ottimo cameriere.>> Commento, quando mi versa il vino posizionandosi alle mie spalle, dopo aver lasciato su un angolo della tovaglia l'antipasto, un letto d'insalata con diverse tipologie di carpaccio di pesce. <<Però, potresti aver peccato su una cosa.>>
<<Dimmi che non sei vegetariana.>> Mi supplica, mentre prende posto di fronte a me.
<<Ahimè, devo proprio darti l'infausta notizia.>>

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