90 | Sbriciolamento

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AIDEN POV

Olivia fece scorrere la chiave magnetica ed aprì la porta. Entrò nella stanza, mentre io rimasi fuori. Nel momento in cui si  voltò per guardarmi i suoi occhi diventarono lucidi.

Questo doveva essere abbastanza per lei. L'Azienda Klein possedeva molti hotel ed uno di questi si trovava proprio lì, a Los Angeles. Poteva rimanere lì finché il suo problema con Roman non si sarebbe risolto.

"Grazie molte," mi disse. "Non so cos'avrei fatto senza il tuo aiuto, nonostante non me lo meritassi. Vedendo lo stato in cui se n'è andato Roman prima, non voglio che mi trovi per il momento. Non voglio vederlo, almeno non finché non sarò sicura che non mi faccia più del male."

Annuii in silenzio, ma prima che potessi andarmene Olivia riprese a parlare, "Tu stai bene?"

La sua domanda mi distolse dai miei pensieri, facendomi accigliare.

Un'espressione preoccupata le distorse il volto. "Sembri spento da quando ti ho raccontato del giorno del nostro matrimonio. So che non avresti mai voluto rivivere quel momento. Non volevo che la verità ti ferisse più di quanto sia già accaduto in passato. Speravo soltanto che tu capissi il motivo per il quale me n'ero andata."

Olivia si coprì la bocca con la mano, ripensando a quanto fosse stata sbagliata la sua frase. Si riprese velocemente, "Non significa che avessi ragione. No, non volevo dire questo. Non ho scuse. Ciò che ti ho fatto è imperdonabile."

Non sapeva che non era quello a preoccuparmi, al momento. La mia agonia interna era dovuta a Nevaeh. I miei sentimenti per lei erano ora instillati di dubbi.

Era come se l'altra parte della mia anima se ne stesse andando. Non sapevo se il mio cuore potesse sopravvivere o meno, se l'avessi lasciata.

Non volevo fronteggiarla.

Non volevo accettare la verità.

"Ora vedo che sei davanti a me, ma è come se non ci fossi realmente," constatò Olivia. "Sei sicuro che vada tutto bene? Che non hai niente da dire?"

Scossi la testa. Ma poi, dopo un momento di silenzio, aggiunsi, "Tornerò."

Addolcì lo sguardo nel sentire le mie parole. Le voltai la schiena e mentre mi incamminavo verso l'ascensore, riuscii a sentire i suoi occhi puntati sulla mia schiena.

Dopo aver raggiunto il pianto terra ed essere uscito dall'hotel, mi appoggiai le mani sulle ginocchia, facendo un respiro profondo. Non era un sospiro di sollievo. Era una tortura.

Stavo annaspando. Il mio petto si alzava e si abbassava velocemente.

Nevaeh.

Ripresi a camminare. Il sole stava calando ed io dovevo andare in aeroporto perché le avevo promesso che sarei tornato. Ma ora come ora, le mie gambe mi stavano trascinando verso una meta sconosciuta.

Alla cieca, trascinai i piedi all'interno di un vicolo, sorreggendomi contro il muro per mantenermi in piedi. Non chiamai neanche l'autista. Non avevo idea di cosa cazzo stessi facendo.

Il mio cellulare vibrò, ma io lo ignorai. Non avevo neanche bisogno di controllare chi fosse il mittente della chiamata. Era Ashton.

Il mio cellulare stava esplodendo ed io mi chiesi perché quell'uomo mi stesse torturando tanto per farmi tornare a Seattle.

Mi appoggiai al muro e chiusi gli occhi, quando crollai contro di esso. Stavo ancora cercando di recuperare il respiro.

Avevo bisogno di Nevaeh. Ne avevo un fottuto bisogno. Avevo bisogno della mia Heaven.

Destinati a stare insiemeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora